Otello – Teatro La Fenice, Venezia
Otello di Giuseppe Verdi inaugura la stagione della Fenice di Venezia.
Il capolavoro di William Shakespeare, musicato da Giuseppe Verdi nel 1884-1886, non è solo un viaggio fra i più oscuri sentimenti umani ma è anche un grande omaggio a Venezia e al suo impero. Se il solo primo atto è ambientato nella Serenissima, nei restanti ci troviamo a Cipro, comunque domaine della Repubblica Veneta fino al 1573. Ci è parsa quindi splendida l’idea del regista Fabio Ceresa e dello scenografo Massimo Checchetto di omaggiare l’arte più antica e tipica della cultura lagunare: quella ricca di mosaici d’oro e di influenze bizantine, quella in cui possiamo immergerci varcando, ad esempio, il portale di San Marco.
“Una grande Bibbia d’oro, istoriata, miniata, fregiata: un Messale del Medio Evo in grande scala. Da otto secoli, una città sfoglia questo monumento come un libro illustrato” così diceva Théophile Gautier riferendosi alla basilica marciana e in piccolo è la stessa sensazione provata alla apertura di sipario. Sul palco della Fenice si materializza una grande struttura d’oro e pietre preziose, un trittico, che ci è parso quasi un frammento della preziosa Pala d’oro di San Marco. I personaggi dell’opera si muovono indossando costumi dorati, complessi ed ingombranti (a cura di Claudia Pernigotti) che rimandano direttamente alle raffigurazioni pittoriche bizantine di re, imperatori e cherubini. Le luci di Fabio Barettin, ed i video di Sergio Metalli, amplificano la sensazione di trovarsi immersi in una preziosa opera d’arte spesso con le fattezze di mosaico grazie a proiezioni video. Una splendida e riuscitissima intuizione che ha intelligentemente ragionato sugli stilemi della prima arte lagunare e ha reso lo spettacolo solenne e eccezionalmente ricco. I cantanti erano poi accompagnati da bravi mimi (movimenti coreografici Mattia Agatiello) materializzazione dei sentimenti più estremi dell’essere umano. Furie dai costumi argentei per la gelosia e un leone d’oro, simbolo di nobiltà spirituale ed identità della Repubblica che alla fine lo stesso Otello decapiterà. Un plauso quindi a questa produzione che ha saputo essere visivamente appagante, originale e al tempo stesso sempre coerente con la vicenda narrata.
L’esecuzione musicale vede nella concertazione di Myung-Whun Chung un indiscusso riferimento. Il maestro coreano, fine conoscitore di questo capolavoro verdiano, ne offre una lettura pervasa da continua tensione, dando vita ad un racconto cupo ed inquieto. Perfetta è la scelta dei tempi e delle dinamiche, queste ultime combinate tra loro come tessere armoniosamente intrecciate in un affresco sinfonico vivido ed appassionato. Il racconto musicale viene così articolato con lucida consapevolezza ed esaltato nella sua più autentica drammaturgia. Efficaci del pari risultano, pertanto, le scene corali, su tutte l’impetuosa tempesta iniziale, come le numerose oasi liriche, drappeggiate con ricchezza di particolari. L’Orchestra del Teatro La Fenice, sollecitata da cotanto genio direttoriale, appare in forma a dir poco smagliante e sigla una prova che non può di certo passare inosservata per la compattezza e l’impeto di un fraseggio musicale duttile e, al tempo stesso, nitido.
Passando alla compagnia di canto, sorretta con meticolosa cura dal podio, l’attesa era tutta per il debutto, desiderato e da tempo rimandato, di Francesco Meli, al suo primo incontro con il Moro veneziano. Il tenore genovese, a confronto con un ruolo tra i più temibili, non solo della produzione verdiana, mette in evidenza, ancora una volta, la classe del grande artista. Sin dall’ingresso in primo atto, abbiamo la sensazione di trovarci dinanzi ad un Otello differente da certi modelli cui la tradizione ci ha da tempo abituati. Ne sortisce un personaggio che, coerentemente con le peculiari caratteristiche vocali di Meli, viene sbalzato nel suo più dolente intimismo piuttosto che nella sua vena eroica. La scrittura vocale, affrontata con evidente professionalità, viene risolta con abilità esecutiva, facendo leva sulla luminosità di un timbro pastoso. Se l’esecutore sa essere sorvegliato e misurato, l’interprete risulta sempre centrato e credibile nella sua raffinata compostezza. Colpiscono, in particolare, la pulizia della dizione e la capacità di dosare il suono con il giusto intento espressivo.
Questo Otello di Meli, trova un ottimo contraltare nello straordinario Jago di Luca Micheletti. Ad un anno di distanza dalle magnifiche recite piacentine, il baritono bresciano ripropone la sua interpretazione di questo grande personaggio e ne offre una visione ancora più matura e consapevole. La morbidezza e la compattezza della linea, dal fascinoso timbro brunito, si combinano in una prova esaltata dalla proiezione e dalla rotondità dell’emissione. E, soprattutto, siamo dinanzi ad un artista totale, un abile demiurgo che fa del canto uno strumento di autentica espressività nel più totale rispetto dell’intenzione del compositore. Il carisma della presenza scenica e l’eleganza delle movenze (siamo pur sempre di fronte ad un cantante che è anche un ottimo regista e attore di prosa), concorrono a rendere ancor più straordinaria la prova di Micheletti.
Non possiamo non riferire, inoltre, della palese intesa con Meli, evidente soprattutto nella infuocata esecuzione del duetto conclusivo del secondo atto.
Corretta, nel complesso, la prova di Karah Son. Il soprano trova nel registro acuto, piacevolmente timbrato, e nella morbidezza dei filati, i punti di forza della propria vocalità. Particolarmente riuscita è, in tal senso, la grande scena che apre l’ultimo atto e, specialmente, la levigata esecuzione dell’”Ave Maria”. Sotto il profilo interpretativo, questa Desdemona sa essere convincente pur non risaltando per particolare personalità o incisività dell’accento.
Tra le parti di fianco si impone, con il suo timbro screziato, Anna Malavisi, una Emilia vocalmente ben caratterizzata e scenicamente sempre partecipe.
Francesco Marsiglia presta il proprio strumento, dal caratteristico colore chiaro, al personaggio di Cassio, sbalzato a dovere anche nell’accento.
Puntuale ed efficace il Roderigo di Enrico Casari, sempre incisivo il Montano di William Corrò, corretto il Lodovico di Francesco Milanese.
Completa la locandina Carlo Agostini nel ruolo di un araldo.
Di altissimo livello il contributo della compagine corale del Teatro La Fenice, guidata con gesto encomiabile da Alfonso Caiani. Un plauso speciale, infine, alla spiccata musicalità dei Piccoli Cantori Veneziani, ottimamente istruiti da Diana D’Alessio.
Allo spettacolo arride un successo festoso che diventa apoteosi all’apparire in proscenio di Micheletti, Meli e Chung.
OTELLO
Dramma lirico di quattro parti
Libretto di Arrigo Boito
Musica di Giuseppe Verdi
Otello Francesco Meli
Jago Luca Micheletti
Cassio Francesco Marsiglia
Roderigo Enrico Casari
Lodovico Francesco Milanese
Montano William Corrò
Un araldo Carlo Agostini
Desdemona Karah Son
Emilia Anna Malavasi
Orchestra e Coro del Teatro La Fenice
Direttore Myung-Whun Chung
Maestro del coro Alfonso Caiani
Piccoli Cantori Veneziani
Maestro del coro voci bianche Diana D’Alessio
Regia Fabio Ceresa
Scene Massimo Checchetto
Costumi Claudia Pernigotti
Light designer Fabio Barettin
Video designer Sergio Metalli
Movimenti coreografici Mattia Agatiello
Foto: Michele Crosera