Spettacoli

La traviata – Firenze, Teatro del Maggio

La traviata in scena al Teatro del Maggio , benché la direzione di Renato Palumbo e la regia di Stefania Grazioli non offrano nel complesso particolari motivi di interesse, si impone tuttavia con rilievo per le interpretazioni di Carolina López Moreno e di Lodovico Filippo Ravizza. Il duetto tra Violetta e Germont padre emerge infatti per trasparenza e intensità, costituendosi come una delle due vette di questa edizione; l’altra punta di diamante è poi rappresentata dall’apertura e dall’aria nella scena della camera, momento capace di far decollare un terzo atto che si snoda per intero con vibrante compattezza, mostrandoci le reali potenzialità di una produzione che forse necessita di un ulteriore rodaggio.

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Giovanni Sala e Lodovico Filippo Ravizza

La Violetta della López Moreno, che debutta nel ruolo, è personaggio davvero “umano, troppo umano”, colto nella verità tanto della sua forza quanto della sua fragilità, avvalendosi di un’espressività appassionata e di un’eccellente tecnica di modulazione. Nell’aria al primo atto esibisce un’ampia varietà di fraseggio e di accento, in un abile gioco di volumi e con una cabaletta di grande agilità, mentre gli acuti riescono tuttavia poco sfogati e l’intenzione moderatamente emozionante. Un pathos di raffinato lirismo prende invece forma nel duetto con Giorgio Germont, con un canto legato, mezze voci e una sicura tenuta delle note. E’ energica negli scambi “Non sapete quale affetto”, dolentissima e delicata nel cantabile “Dite alla giovine sì bella e pura” fino al congedo tra baritono e soprano reso in modi sospesi e incantevoli. Di grande vigore e omogeneità in “Amami Alfredo”, è assai distesa e controllata al quadro successivo. “Addio del passato bei sogni ridenti” è plasmata in uno stile palpitante, con una linea continuamente rimodulata e con accurati effetti di forte e di piano. E’ infine assai luminosa nella parte concluisva, suggellando con fermezza un’interpretazione raffinata.

Lodovico Filippo Ravizza da parte sua delinea un Germont padre in cui ritroviamo la solidità e la spietatezza del mondo borghese, il sincero affetto paterno e l’ambiguo turbamento nei confronti di Violetta. La voce è rotonda e compatta, la dizione chiara e scandita, con gravi robusti e limpidi acuti. Tracciato con intensità l’intero duetto con la protagonista, con “Pura siccome un angelo” sbalzata con grande omogeneità e con un “Un dì quando le Veneri” scolpita con accenti marcati. E’ luminoso in “Di Provenza il mare, il suol”, con sicure mezze voci e una valida regolazione dei volumi. Ha un canto autorevole e solenne nel secondo quadro, per esprimere nel finale il proprio rimorso con varietà d’espressione.

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Carolina López Moreno

Meno convincente invece l’Alfredo di Giovanni Sala, con una vocalità che manca di brillantezza e una linea poco articolata. Riesce quindi debolmente appassionato al primo atto e nell’aria del secondo non esprime né freschezza né felicità. Resi però con maggiore grinta il nervosismo del gioco e la sequenza che segue; si riscatta infine al terzo atto, soprattutto con una “Parigi o cara” definita e luminosa, mostrandoci un’attitudine che ha faticato ad emergere.

La Flora di Aleksandra Meteleva è una femme fatale dalla voce brunita e dallo stile incisivo. Olha Smokolina delinea con limpidezza un’Annina devota e dolente.
Vivace e solidamente impostato il Gastone di Oronzo D’Urso, ma poco sicuro e definito il Barone di Yurii Strakhov. Elegante il Marchese di Gonzalo Godoy Sepúlveda, scolpito e drammatico il Dottor Grenville di Huigang Liu , diretti e scanditi il Giuseppe di Alessandro Lanzi, il Commissionario Lisandro Guinis e il Domestico di Nicolò Ayroldi.

Come sopra rilevato, la direzione di Renato Palumbo diviene più incisiva nell’atto conclusivo, con un preludio screziato e intenso, una migliore tensione narrativa e una più varia dinamica. Il suono si fa più consistente e definito già a partire dalla festa in casa di Flora, mentre i quadri precedenti procedono con monotonia e con una certa difficoltà a tenere insieme tutti gli elementi. Di ciò risentono anche gli interventi del Coro, soprattutto quello del brindisi che non si staglia con brillantezza; ben modulato “Si ridesta in ciel l’aurora” e più energici le Zingare e i Mattatori fino al coinvolgente concertato che chiude il secondo atto.

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Carolina López Moreno e Giovanni Sala

Il nuovo allestimento di Stefania Grazioli si mostra alquanto aderente a partitura e libretto, con l’inserimento di alcune trovate rispettose ma in verità poco originali e che ci rimandano ad altre regie. I primi tre quadri prendono forma in una modalità sostanzialmente tradizionale, nell’ ambientazione ottocentesca di Roberta Lazzeri e nei costumi ricchi ed eleganti di Veronica Pattuelli. La ricostruzione degli interni ha comunque tratti stilizzati, forse a parlarci di un tardo romanticismo ormai in dissoluzione o a suggeririci il carattere onirico di tutta quanta la vicenda. Nel preludio e nel terzo atto infatti la scena è più astratta e ci induce a pensare che si tratti di un sogno, alludendo ad una storia già finita che ricomincia e che forse si ripete ciclicamente, perché in Violetta può specchiarsi ogni fanciulla che si affaccia alla vita. Se i movimenti sono vivaci e ben organizzati, sono le luci di Valerio Tiberi l’aspetto di maggiore fascino, per lo più calde e soffuse, talora terse e solari, ma con repentine virate a tinte fredde per creare un effetto di fermo immagine. In questo senso risultano particolarmente suggestivi quelli a casa di Flora, che isolano il personaggio nella solitudine del suo dramma, mentre tutto intorno il moto si arresta. Nel medesimo quadro spicca anche il balletto con le sontuose gonne delle zingarelle e con la coreografia Elena Barsotti che racconta simbolicamente la tragedia della protagonista. Colpisce inoltre anche l’inginocchiatoio in scena sia al principio che alla fine, come un relitto dimenticato, estremo appello di un naufragio esistenziale.

Applauditissima a scena aperta la commovente aria conclusiva della López Moreno, come anche il suo duetto con Ravizza e di quest’ultimo anche “Di Provenza il mare, il suol”. Grande entusiasmo poi per entrambi nel finale, consensi per tutti gli altri con qualche debole e sparuta contestazione per Sala, Palumbo e la Grazioli.

LA TRAVIATA
Melodramma in tre atti di Francesco Maria Piave

Musica di Giuseppe Verdi 

Maestro concertatore e direttore Renato Palumbo

Regia Stefania Grazioli
Scene Roberta Lazzeri
Costumi Veronica Pattuelli
Luci Valerio Tiberi
Movimenti coreografici Elena Barsotti

Maestro del Coro Lorenzo Fratini

Violetta Valéry Carolina López Moreno
Alfredo Germont Giovanni Sala
Giorgio Germont, suo padre Lodovico Filippo Ravizza
 Flora Bervoix  Aleksandra Meteleva
Annina Olha Smokolina
Gastone, Visconte di Létorières Oronzo D’Urso
Il Barone Douphol Yurii Strakhov
Il Marchese d’Obigny  Gonzalo Godoy Sepúlveda
Il Dottor Grenville  Huigang Liu
Giuseppe  Alessandro Lanzi
Un Commissionario Lisandro Guinis
Un domestico Nicolò Ayroldi

Orchestra e Coro del Maggio Musicale Fiorentino

Foto: Michele Monasta – Maggio Musicale Fiorentino