Trittico Balanchine/Robbins – Teatro alla Scala, Milano
La stagione del balletto scaligero 2024 si chiude con il Trittico Balanchine/Robbins, un classico del balletto contemporaneo composto da Theme and Variations (1947) di George Balanchine, su musiche di Čajkovskij e due creazioni del suo erede Jerome Robbins, Dances at a Gathering (1969) e The Concert (1956) su musiche di Chopin.
Il primo pezzo, che OperaLibera ha visto interpretato dalla coppia scaligera per eccellenza, Nicoletta Manni e Timofej Andrijashenko, è una tipica creazione balanchiniana di danza assoluta, astratta, classicissima, ma punteggiata di licenze geniali, passi indefinibili che come lampi accendono un linguaggio solo apparentemente canonico. Il brano è in effetti un omaggio alla tradizione dei balletti imperiali russi, rievocati da scene e costumi di Luisa Spinatelli e alla danza classica per antonomasia, che il coreografo traghetta nel Novecento, indagandone tutto il potenziale e la capacità di continuare a rinnovarsi e ad esprimersi in un linguaggio moderno. Il balletto, privo di qualsivoglia tema narrativo, basato su uno schema molto rigoroso che alterna assoli, passi a due, brani dei solisti e parti d’insieme, assomiglia a un vero e proprio “saggio” di danza; Manni e Andrijashenko ne sono gli interpreti ideali, messi alla prova, eccellentemente superata, da pezzi di bravura ricchi di virtuosismi e dettagli anticlassici, accompagnati da ottimi solisti e dal corpo di ballo, tutti tecnicamente ineccepibili. La musica è il vero tema narrativo del balletto, trasposizione visuale della partitura di Čajkovskij, aulica, sostenuta e a tratti drammatica negli assolo e nei passi a due, corale, incalzante e fastosa nei momenti di insieme, sempre ben diretta da Fayçal Karoui.
Il secondo pezzo, Dances at a Gathering, è tanto vicino quanto lontano dal primo: in un’atmosfera sospesa, essenziale ed intimista, lontana dai fasti imperiali di Theme and Variations, si svolgono degli incontri tra dieci danzatori. Pur nella totale assenza di narrazione e ambientazione, la carica interpretativa, le emozioni palpabili, le interazioni tra i protagonisti sono così profonde che lo spettatore è portato a immaginarsi una storia di amicizie e amori. Robbins mette in scena i rapporti umani tra i danzatori, provocati da azioni e reazioni, intessuti di scambi di sguardi e gesti che esprimono un senso di gioia diffusa frammista a una vena malinconica. I ballerini si alternano entrando e uscendo di scena, le coppie non sono mai fisse, trasmettendo un senso di armonia e comunità ideale priva di tensioni e conflitti seppur attraversata da una certa inquietudine. Tecnicamente il balletto è caratterizzato da numerose prese, lift, salti e passaggi veloci in un continuum di movimenti incalzanti e fluidi che dura quasi un’ora. La musica di Chopin, tipicamente nostalgica e perfettamente interpretata da Leonardo Pierdomenico, varia dai momenti di maggior tensione ai brani vivaci delle mazurche. Luci e costumi (originali di Joe Eula), leggeri e dai toni pastello, accentuano l’atmosfera sognante del balletto. Particolarmente felice la scelta del cast di Dances at a Gathering, Nicoletta Manni, Martina Arduino, Alice Mariani, di maggior esperienza, accanto alle giovanissime e perfettamente inserite Letizia Masini e Asia Matteazzi. Tra gli uomini gli ottimi Claudio Coviello, Timofej Andrijashenko, Darius Gramada, Rinaldo Venuti e Gabriele Corrado.
Altrettanto riuscito il cast di The concert per il quale occorrono eccellenti doti interpretative, mimiche e tecniche per un balletto senza storia e senza parole, ma che riesce nel suo intento comico. The concert si apre con un gruppo di astanti che si reca ad ascoltare un concerto per pianoforte – il bravissimo Leonardo Pierdomenico, in scena, si conferma anche ottimo attore – e prosegue poi con brani danzati tra i quali, memorabili, quello delle sei ballerine che si esibiscono commettendo errori e la danza delle farfalle innamorate. Un linguaggio, quello di Robbins, che non tradisce la danza, ma anzi ne svela l’inconsueta capacità di essere anche divertente, senza indulgere troppo al mimo, che pure ha la sua parte.
Un lirismo visionario perfettamente reso tangibile anche dai meravigliosi costumi originali di Irene Sharaff, con quel tono di azzurro dell’accademico che da solo fa ridere o le farfalle con le calze a righe e le scene di Saul Steinberg. Persino i brani di Chopin risultano allegri in questo balletto comico talmente riuscito che il pubblico ride, fatto insolito alla Scala.
Foto: Brescia/Amisano Teatro alla Scala