Bianca e Falliero – ROF 2024, Pesaro
“Non conosco una via infallibile per il successo, ma una per l’insuccesso sicuro: voler accontentare tutti”. Queste parole di Platone ci paiono utili per cercare di delineare i motivi dello storico insuccesso di Bianca e Falliero, opera di Gioachino Rossini tratta dal dramma Les Vénitiens ou Blanche et Montcassin di Antoine-Vincent Arnault, nata per l’inaugurazione scaligera del 1819. Come ben spiegato nel saggio, a firma di Gabriele Dotto, presente sul libretto di sala, i motivi dello scarso successo dell’opera, il volere accontentare tutti ci permettiamo di dire, sono molteplici, nonostante l’ampio ed iniziale gradimento del pubblico milanese. Ricordiamo ad esempio come le recensioni del debutto abbiano arrecato alla composizione una brutta fama e come la censura sia intervenuta per limare i seppur minimi riferimenti patriottici. L’uso poi di autoimprestiti, su tutti il rondò finale da La donna del lago, ha messo il componimento in una sorta di cattiva luce, ampliata poi dal forzoso e poco credibile lieto fine che il librettista Felice Romani decide di imporre, modificando il finale originale. Una catena di motivi che portano l’opera a scomparire dalle scene fino alla ormai storica ripresa del Rossini Opera Festival del 1986. Nell’anno di Pesaro capitale italiana della cultura, si sceglie ancora di proporre questo lavoro poco noto e lo si fa affidando il progetto visivo a Jean-Louis Grinda, noto ai più per essere stato per molti anni direttore dell’Opéra di Monte-Carlo. Lo spettacolo, che il regista confeziona con l’aiuto dello scenografo e costumista Rudy Sabounghi, è di taglio tradizionale. Nelle brevi note di regia leggiamo che poco conta l’ambientazione storica, qui vaghi cenni ci portano nell’epoca della guerra civile spagnola, ma per Grinda è preferibile creare una base quasi neutra su cui la musica di Rossini possa esprimersi al meglio. Le vicende sono proposte come una sorta di ricordo: una anziana Bianca, quasi sempre presente sul palco, rivive gli avvenimenti della sua giovinezza, o almeno così ci è parso di capire. Una regia garbata che, se forse manca di una idea particolarmente forte e vincente, riesce comunque ad accompagnare piacevolmente lo spettatore, grazie ad uno spettacolo sempre funzionale nei cambi scena eseguiti a vista, efficiente e ben concepito. Particolarmente riuscite le luci di Laurent Castaingt che, come dichiarato, devono contribuire a sottolineare e far risaltare la musica. Una lettura quindi che visivamente sceglie di non imporsi con violenza ma fare un passo indietro rispetto alla note di Rossini e questo non è necessariamente e sempre un male.
Lo spettacolo si avvale di una esecuzione musicale di alto livello.
Roberto Abbado, con il suo gesto preciso e sorvegliato, offre una lettura ispirata e stilisticamente consapevole della partitura. La concertazione del maestro milanese appare equilibrata nella scelta dei tempi e delle dinamiche, queste ultime tratteggiate con pennellate di suono di squisita morbidezza. Arie, duetti e pezzi di insieme vengono così valorizzati attraverso sonorità delicate ed avvolgenti, in un racconto musicale sviluppato con crescente emozione. Il gesto direttoriale trova magnifica corrispondenza nella ottima prova della Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai, capace di esaltare la scrittura rossiniana con limpidezza e brillantezza. Un plauso particolare, poi, va rivolto ad Andrea Severi, maestro al fortepiano, che, con il giusto estro esecutivo, ha accompagnato i recitativi secchi coadiuvato, nel continuo, dal violoncellista Jacopo Muratori e dal contrabbassista Matteo Magigrana.
La compagnia di canto vede primeggiare la splendida Bianca di Jessica Pratt. Il soprano risolve la lunga ed impervia scrittura con sicurezza e la giusta pertinenza stilistica. L’irrobustimento del registro centrale, oggi, non ha scalfito la luminosità di quello acuto e, soprattutto, sovracuto, raggiunto con indiscutibile facilità. Alla bravura della esecutrice corrisponde la credibilità dell’interprete assicurata, tra l’altro, da un utilizzo piuttosto espressivo del virtuosismo e dall’abile ricorso a filati e mezze voci. Ne sortisce un personaggio ben caratterizzato nella ferma volontà di combattere per difendere il proprio amore verso Falliero.
Quest’ultimo è portato sulla scena da Aya Wakizono, mezzosoprano dotato di indubbia musicalità. La linea di canto, dal caratteristico colore chiaro, coniuga morbidezza e controllo tecnico, rifuggendo inutili forzature, specie nel registro più grave. Una vocalità, la sua, che si impone per la facilità della salita verso la regione acuta, dove suona quasi sopranile. Credibile ed accorato, sulla scena come nell’accento, l’interprete che spicca, soprattutto, per la toccante esecuzione della scena del carcere di secondo atto. L’affiatamento timbrico e vocale con la Pratt, infine, assicura la buona riuscita dei bellissimi duetti tra le due cantanti.
Sugli scudi la prova di Dmitry Korchak che domina la parte di Contareno con assoluta padronanza vocale e scenica. La vocalità del tenore si piega alle esigenze della scrittura rossiniana senza perdere di omogeneità tanto nei centri, vibranti e ben torniti, quanto nella regione acuta, sempre appoggiata e adeguatamente proiettata. Una menzione particolare merita la bella esecuzione dell’aria “Figlia mia, se forza al core”, risolta con tecnica sorvegliatissima e protervia d’accento. Come nel caso delle due protagoniste, anche Korchak mostra una spiccata incisività espressiva, grazie alla quale riesce a tratteggiare un personaggio sempre credibile e coinvolto.
Molto bene il Capellio di Giorgi Manoshvili, in possesso di uno strumento sonoro dal suggestivo colore serotino. Autorevole e pertinente l’accento così come accorata è la statuaria presenza scenica.
Nicolò Donini riesce a sbalzare con un canto adeguatamente solenne il personaggio del doge Priuli.
Completano la locandina la squillante Costanza di Carmen Buendía, l’efficace Claudio Zazzaro, impegnato nel duplice ruolo di un Ufficiale ed un Usciere, e il puntuale Dangelo Díaz, un Cancelliere.
Efficace e sempre valido l’apporto del Coro del teatro Ventidio Basso, guidato con perizia da Giovanni Farina.
La serata ha visto la partecipazione di un pubblico numerosissimo che, dopo aver sottolineato con calorosi consensi i numeri principali della partitura, riserva una accoglienza entusiasta soprattutto nei confronti del terzetto dei protagonisti e del direttore.
Marco Faverzani | Giorgio Panigati
Il Rossini Opera Festival ripropone, per la terza volta nel corso della sua storia (quarta, considerando una ripresa), uno dei capolavori meno rappresentati dal Cigno pesarese; e la speranza, nell’anno della capitale italiana della cultura, è quello di dare massimo risalto a questo titolo ingiustamente scomparso dal repertorio, poiché ricco di pagine strabilianti musicalmente e drammaturgicamente.
Lo spettacolo di Jean-Louis Grinda, con scene e costumi di Rudy Sabounghi e luci di Laurent Castaingt, è particolarmente evocativo e sa raccontare bene la vicenda, rendendo la musica e il canto protagonisti, pur mantenendo sempre il filo della narrazione, vittima solo di un palcoscenico purtroppo sacrificato dagli spazi dello Scavolini, dove i grossi piedistalli diventano talvolta ingombranti.
Alberto Zedda definiva Bianca e Falliero l’ultimo gradino del filone classico di Rossini prima di Semiramide e Roberto Abbado, dall’alto della sua inconfutabile professionalità, sa perfettamente aderire allo stile, guidando sapientemente buca e palcoscenico in un amalgama davvero funzionale. Il suo gesto elegante risuona in una esecuzione raffinata, con l’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai che si prodiga in suoni ricercati.
Jessica Pratt è una protagonista indiscussa e trova nel ruolo di Bianca, particolarmente complesso, un “drammatico d’agilità di superlative risorse” (Alberto Zedda), un vero terreno d’elezione dove mostrare tutte le sue abilità. Lo stesso vale per la coprotagonista Aya Wakizono nei panni di Falliero. Entrambe risolvono scrupolosamente le loro pagine, un “punto di arrivo di una evoluzione tecnico-vocale più in là della quale è impossibile andare” (Alberto Zedda).
Dmitry Korchak è un Contareno magistrale, non solo in tutto ciò che comporta il canto rossiniano, di cui è depositario di conoscenza e competenze universalmente riconosciute, ma qui sfoggia abilità d’accento davvero sorprendenti, in un ruolo che è un vasto affresco dipinto di intervalli, pause, guizzi, colorature che ne dipingono il carattere drammatico e manipolatorio.
Molto bena anche per il Capellio di Giorgi Manoshvili, il Coro del Teatro Ventidio Basso guidato da Giovanni Farina e per i ruoli di contorno, particolarmente per la Costanza di Carmen Buendía.
William Fratti
BIANCA E FALLIERO
Melodramma in due atti
Libretto di Felice Romani
Musica di Gioachino Rossini
Edizione critica della Fondazione Rossini di Pesaro,
in collaborazione con Casa Ricordi,
a cura di Gabriele Dotto
Priuli Nicolò Donini
Contareno Dmitry Korchak
Capellio Giorgi Manoshvili
Falliero Aya Wakizono
Bianca Jessica Pratt
Costanza Carmen Buendía
Ufficiale/Usciere Claudio Zazzaro
Cancelliere Dangelo Díaz
Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai
Coro del Teatro Ventidio Basso
Direttore Roberto Abbado
Maestro del coro Giovanni Farina
Regia Jean-Louis Grinda
Scene e Costumi Rudy Sabounghi
Luci Laurent Castaingt
Foto: Amati Bacciardi