Trittico – Bologna, Comunale Nouveau
Un Trittico realizzato nella forma di un affascinante itinerario nell’oltremondo dantesco quello andato in scena a Bologna e coprodotto con il Teatro Verdi di Trieste per celebrare il centenario della morte di Giacomo Puccini. La regia di Pier Francesco Maestrini rappresenta infatti ciascuna delle tre opere mettendola in parallelo con le cantiche della Commedia, dall’Inferno al Paradiso, in un transito dalle tenebre alla luce e dal deserto alla città, creando tuttavia un percorso meno lineare di quello del Poeta, in cui l’ascesa appare problematica e dove si sovrappongono di continuo situazioni che appartengono ai differenti regni ultraterreni. Un’idea azzeccata e suggestiva, ispirata certamente dal Gianni Schicchi e dal Canto XXX e che viene estesa con appropriatezza agli altri due pannelli del Trittico, pensato tra l’altro anche dal suo stesso autore come un passaggio dall’oscurità al chiarore del giorno. Un allestimento che è inoltre capace di valorizzare il non facile palcoscenico del Comunale Nouveau, sfruttandone la struttura cinematografica e impiegando un susseguirsi di proiezioni con pochi arredi al centro e ai lati a mo’ di cornice, secondo le scenografie di Nicolas Boni e le luci di Daniele Naldi.
Ne Il tabarro il battello è al barca di Caronte che traghetta i dannati verso il loro supplizio, un rotolare massi come i prodighi e gli avari e che rimanda anche al duro lavoro dell’equipaggio. La Senna non è però lo Stige o l’Acheronte ma addirittura una landa rocciosa e desolata che ci traporta idealmente nell’Arizona di Manon o in quell’altro “popoloso deserto che appellano Parigi”. Un’aridità assoluta abitata in modi diversi dai personaggi, tutti feriti e induriti ma che non cessano di perseguire una qualche felicità.
Tra questi, spicca per intensità drammatica la Giorgetta di Amarilli Nizza, che scolpisce una figura tormentata ma non ancora del tutto ripiegata su stessa e quindi capace di slanci appassionati. Ogni proiezione è nitida e perfettamente controllata, anche se con un corpo vocale contenuto, e il fraseggio è sempre organizzato con cura e cesellato con rigore. Rende “E’ ben altro è il mio sogno” e il duetto d’amore con un’espressività luminosa, incrinando così la fosca atmosfera del quadro.
Di notevole spessore tragico anche il Michele di Dario Solari, con un canto omogeneo e consistente, inizialmente poco accentato ma che intensifica via via la propria forza drammatica e che culmina in “Nulla! Silenzio!” e in un finale intensamente coinvolgenti.
Mikheil Sheshaberidze è un Luigi solido e appassionato, con proiezioni voluminose e definite. Interpreta “Hai ben ragione! meglio non pensare” con schietto dolore e fermezza virile, mentre si fa più morbido e delicato nel duetto d’amore.
Si staglia con rilievo nella desolazione del paesaggio la vivacità della Frugola di Cristina Melis, con una linea sinuosa e un’ampia gamma di variazioni dinamiche. Ha uno stile marcato nel dialogo con Giorgetta ed è poi più lirica nel passaggio del soriano.
Diretto e modulato il canto del Talpa di Luciano Leoni, squillante il Tinca di Xin Zhang, anche se non troppo saldo.
Colpisce la rotondità e l’ampiezza melodica di Marco Puggioni come Venditore di canzonette; leggiadri gli scambi dei due amanti di Tatiana Previati e Cristobal Campos.
Con Suor Angelica il viaggio approda alla spiaggia del Purgatorio, con il mare, le rocce e le arcate spezzate di una navata o di un chiostro, e le suore ci si presentano come fossero le anime purganti al seguito di Catone, per l’appunto il suicida che Dante vuole salvato dalla Grazia. Soavi taluni frangenti con i dialoghi delle religiose e di forte impatto il colloquio con la Zia Principessa con tanto di oscuro valletto. In scena, anche un albero secco, come portato dalla mareggiata e che pare l’emblema della condizione di sradicamento della protagonista. E proprio questo tronco, all’apice della disperazione, diverrà parte della selva dei suicidi, con proiezioni che ci riportano indietro dentro l’Inferno, ma che ci fanno intravedere in extremis un cielo che forse si spalanca.
Qui l’interpretazione della Nizza diviene di un’incisività addirittura tagliente. All’inizio, rende con grande dolcezza il dolore di Suor Angelica, che esplode poi in forme appassionate nel dialogo con la Zia. E’ straziante in “Senza mamma”, con una straordinaria tenuta delle note e uno strepitoso “amor”, e ritorna soave in “Amici fiori”, per congedarsi infine, in perfetta intonazione e sicurezza nei registri, nella pagina conclusiva struggente e sospesa.
Sbalzata con grinta la Zia Principessa di Chiara Mogini, con gravi consistenti e battute scolpite. Resa con efficacia l’ambiguità del personaggio, la cui assertività assume qui tratti terribili e sinistri.
Manuela Custer è una Badessa salda e definita ed Elena Borin ha un’articolata emissione come Suora Zelatrice; ferma e garbata la Maestra delle Novizie di Federica Giansanti e chiara e luminosa la Suor Genovieffa di Vittoriana De Amicis.
Trasparenti i cori delle suore, affiatate e coordinate da Gea Garatti Ansini, e ben assortite come soliste, con la Suor Osmina di Maria Cenname, l’introversa Dolcina di Mariapaola Di Carlo, la Suora Infermiera di Laura Chierici, le Converse di Anna Grotto e Federica Fiori, la Novizia di Laura Stella e le vivaci Cercatrici di Tatiana Previati e Hyensol Park.
In Gianni Schicchi, dove ci si aspetterebbe il Paradiso, ci ritroviamo invece nel cuore delle Malebolge, con una vallata di corpi ammassati, il letto di Buoso Donati al centro ed i parenti che ruotano intorno come gli ipocriti con le cappe dorate, nei fantasiosi costumi di Stefania Scaraggi. Questo è certamente il quadro più complesso, sovraccarico di elementi e citazioni, dove i comprimari sono morti che si rianimano e i frati stanno sulle nuvole, e con la città di Firenze che proprio nel lieto finale viene colpita da un’eruzione vulcanica: un po’ troppo come fuochi d’artificio per festeggiare e quindi l’immagine genera qualche apprensione sulla possibile sorte di Lauretta e Ranuccio.
Il tutto comunque riesce davvero molto divertente, raffinato e perfino esilarante, grazia ad un valido cast di interpreti capitanati da Roberto De Candia. Il suo Gianni Schicchi si presenta come un toscano spontaneo e sagace, che con una vocalità piena e rotonda rende ogni passaggio con accuratezza e varietà d’espressione, dando prova di grande duttilità nel plasmare differenti forme di canto, sempre ironico e abilissimo nell’alternare modi diversi.
Per bravura fa da vera antagonista allo Schicchi la Zita di Manuela Custer, impetuosa e travolgente, con una dizione scandita e un’espressività scolpita e di grande comicità.
Di ottima estensione e volume il Rinuccio di Francesco Castoro che dà ampio respiro ad ogni melodia. La sua aria smaltata “Firenze è come un albero fiorito” ha la forza del sogno e dell’utopia. Da parte sua la Lauretta di Darija Augustan è fresca e leggiadra, pur tra mostri sulfurei, e rende “O mio babbino caro” con nitore ed eleganza.
Comico e profondo il Simone di Mattia Denti e saldamente impostato il Betto di Luciano Leoni.
Molto accurato il Gherardo di Xin Zhang con la Nella brillante di Vittoriana De Amicis e il Gherardino grazioso e intonato di Michelle Lamieri; grintosa la Cesca di Laura Cherici con il Marco di Michele Patti tonante e sbalzato.
Marco Gazzini è un grottesco Maestro Spinelloccio, versatile nel canto e nella recitazione, così come Bryan Sala come Notaio dalla chiara dizione. Ben caratterizzati anche il Pinellino di Zhibin Zhang e il Guccio di Giulio Iermini, entrambi con movimenti convulsi ed originali.
Questa grande macchina teatrale procede costantemente sostenuta dalla direzione di Roberto Abbado, che crea un flusso sonoro preciso e compatto, dove viene dato notevole spazio alla cantabilità e agli impasti cromatici. Meticolosa l’esecuzione de Il tabarro, con un finale turgido e partecipato, mentre la lettura di Suor Angelica ha un taglio prevalentemente spirituale, che lascia un po’ da parte la sensualità, con esiti di raffinata delicatezza ma di moderata incisività. Analitica la narrazione del Gianni Schicchi, con una particolare attenzione al ritmo e ai tempi e con aperture di luminosa poeticità.
Un lungo spettacolo seguito con grande partecipazione ed entusiasmo, con un pubblico che accoglie con speciale calore le interpretazioni della Nizza e di De Candia e che applaude con forza Solari e la Melis, la Mogini, la Custer e Castoro, Abbado e l’Orchestra.
TRITTICO
Musica di Giacomo Puccini
Direttore Roberto Abbado
Regia Pier Francesco Maestrini
Orchestra, Coro e Tecnici del TCBO
MAESTRO DEL CORO
Gea Garatti Ansini
Coro di Voci Bianche del TCBO
MAESTRO DEL CORO
Alhambra Superchi
SCENE Nicolas Boni
COSTUMI Stefania Scaraggi
LUCI Daniele Naldi
ASSISTENTE ALLA REGIA Michele Cosentino
IL TABARRO
MICHELE Dario Solari
GIORGETTA Amarilli Nizza
LUIGI Mikheil Sheshaberidze
FRUGOLA Cristina Melis
TINCA Xin Zhang
TALPA Luciano Leoni
UN VENDITORE DI CANZONETTE Marco Puggioni
UN AMANTE Cristobal Campos
UNA AMANTE Tatiana Previati
SUOR ANGELICA
SUOR ANGELICA Amarilli Nizza
LA ZIA PRINCIPESSA Chiara Mogini
LA BADESSA Manuela Custer
LA SUORA ZELATRICE Elena Borin
LA MAESTRA DELLE NOVIZIE Federica Giansanti
SUOR GENOVIEFFA Vittoriana De Amicis
SUOR OSMINA Maria Cenname
SUOR DOLCINA Mariapaola Di Carlo
LA SUORA INFERMIERA Laura Cherici
PRIMA CERCATRICE Tatiana Previati
SECONDA CERCATRICE Hyeonsol Park
LE CONVERSE Anna Grotto | Federica Fiori
UNA NOVIZIA Laura Stella
GIANNI SCHICCHI
GIANNI SCHICCHI Roberto de Candia
LAURETTA Darija Augustan
ZITA Manuela Custer
RINUCCIO Francesco Castoro
GHERARDO Xin Zhang
NELLA Vittoriana De Amicis
BETTO DI SIGNA Luciano Leoni
SIMONE Mattia Denti
MARCO Michele Patti
LA CIESCA Laura Cherici
MAESTRO SPINELLOCCIO Marco Gazzini
SER AMANTIO DI NICOLAO Bryan Sala
GUCCIO Giulio Iermini
PINELLINO Zhibin Zhang
GHERARDINO Michelle Lamieri
Foto: Andrea Ranzi