Spettacoli

Turandot – Teatro alla Scala, Milano

Il Teatro alla Scala celebra il centenario pucciniano con uno spettacolo colossal. 

“Il sublime e il kitsch non sono lontani tra loro: quando lo splendore di un paesaggio diventa quasi insostenibile, a che cosa mai si può pensare se non a una cartolina?” Così scriveva il poeta Mario Andrea Rigoni e queste parole ci paiono adatte a presentare lo spettacolo pensato da Davide Livermore che cura regia e scene con Eleonora Peronetti e Paolo Gep Cucco. Un allestimento che, vogliamo chiarirlo subito, è grandioso, appagante, ricco e roboante, ma terribilmente in bilico per tutta la sua durata fra il bello e il kitsch. Siamo in una Pechino atemporale e vagamente steampunk: all’interno di questo mondo prendono vita le tante, a volte troppe, trovate dello spettacolo. Abbiamo sicuramente apprezzato la grande ricchezza delle scene e delle masse impiegate, le splendide proiezioni, firma tipica del regista, sviluppate con i sempre bravi D-Wok e, questa volta, concentrate in una grande sfera che creava uno splendido effetto tridimensionale. Così come è scenicamente riuscito il cavallo creato come una sorta di marionetta gigante. Meno indovinate, invece, alcune scelte come le brutte maschere esibite da Ping Pong e Pang con le fattezze di Calaf, il palloncino rosso che ci ha ricordato Stephen King e che esibiva l’inerme e nudo Principe di Persia (ma era necessaria la sua nudità?). Inoltre abbiamo trovato poco riuscito il tributo a Puccini dopo la morte di Liù, con candeline elettriche accese da tutto il teatro che hanno però creato qualche problema nella distribuzione e nella comprensione d’uso fra l’irrequieto pubblico del caldo luglio milanese. Fantasiosi, colorati e vari i costumi di Mariana Fracasso, efficaci le luci di Antonio Castro. Nel complesso comunque uno spettacolo grandioso, forse più areniano che scaligero ma pieno e ricco non di trovate intellettuali o di sconvolgimenti ma di un concreto e riuscito senso di ciò che il regista intende per teatro. 

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Brian Jagde

Una produzione che colpisce nel segno soprattutto grazie all’eccellenza della esecuzione musicale.

La presenza del nome di Anna Netrebko in cartellone basterebbe, di per sé, a donare quel pizzico di glamour ad ogni produzione, oltre ad assicurare il sold out al botteghino. Del resto, quando il soprano russo calca il palcoscenico riesce a regalare una performance di livello superiore, una magica alchimia tra canto ed interpretazione al servizio della creazione di un personaggio sempre affascinante e carismatico. E questa epifania si compie, ancora una volta, in occasione della “sua” Turandot. Sin dal suo ingresso in scena, nel secondo atto, si rimane affascinati dalla oggettiva bellezza di una vocalità sontuosa e compatta, che rifulge nella pienezza dei centri e nella luminosità del registro superiore. E se il registro grave suona talvolta un filo artefatto, è ben poca cosa dinanzi allo splendore di filati e pianissimi di adamantina purezza che sembrano fluttuare in sala come nuvole leggere. E poi c’è il personaggio, costruito attraverso un fraseggio articolato con cura e una presenza scenica di ammaliante seduzione. 

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Sung-Hwan Damien Park, Chuan Wang e Jinxu Xiahou

Rosa Feola, l’altra figura femminile della vicenda, è una Liù che, con la sua forza espressiva, arriva dritta al cuore del pubblico. La pastosità e la morbidezza della linea di canto consentono al soprano di pennellare la scrittura pucciniana con disinvoltura e con una molteplicità di colori tali da rappresentare al meglio il pathos e la drammaturgia dei diversi momenti. Riuscitissima e, quanto mai incisiva, la caratterizzazione del personaggio che, in linea con il progetto registico di Livermore, viene rappresentato come una donna forte e coraggiosa, pronta a sacrificarsi sino alla morte per un amore di ideale purezza.

Brian Jagde veste i panni di Calaf, in luogo del previsto Roberto Alagna, ritiratosi dalla produzione per una annunciata indisposizione. Il tenore è in possesso di uno strumento che, per colore e smalto timbrico, può configurarsi tra i più interessanti dell’attuale panorama tenorile internazionale. L’emissione è sicura ed omogenea in tutti i registri, specie nella regione superiore, svettante e ben proiettata. Credibile e complessivamente coinvolto l’interprete, particolarmente attento nel disegnare l’animo eroico ed impavido del Principe ignoto.

Ben affiatato ed amalgamato, vocalmente come sulla scena, il terzetto delle maschere ove si impongono Sung-Hwan Damien Park, un Ping dalla vocalità rifinita ed avvolgente, Chuan Wang, un Pang squillante e ben controllato, Jinxu Xiahou, un Pong dallo strumento ampio e sonoro.

Vitalij Kowaljow è un Timur che si impone per l’ampiezza di una linea di canto serotina e di avvolgente calore. Di granitica solennità l’accento, combinato ad una presenza scenica credibile ed austera.

Raúl Giménez, con il suo timbro chiaro ed acuto, dà vita ad un Imperatore Altoum dal fraseggio che si colora di qualche accento talvolta troppo lezioso.

Adriano Gramigni è un mandarino che convince per sicurezza e limpidezza vocali.

Completano la locandina le brave Silvia Spruzzola e Vittoria Vimercati, le ancelle di Turandot, dalle fila del coro del Teatro alla Scala e Haiyang Guo, il Principino di Persia, allievo dell’Accademia di perfezionamento per cantanti lirici del Teatro alla Scala.

In buca, Michele Gamba imprime alla narrazione musicale un incedere drammatico e teso, a tratti dark, in perfetta rispondenza con la chiave di lettura offerta sul palco da Livermore. Il direttore riesce a cogliere la molteplicità e la complessità dinamico-sonora della partitura, qui eseguita con il finale musicato da Franco Alfano, mettendo in evidenza un costrutto che, al netto di qualche eccesso di volume, risulta votato ad una efficace espressività teatrale. Lodevole l’intesa con i complessi scaligeri, impegnati a sottolineare, con pregevoli brillantezza ed uniformità, la modernità della scrittura pucciniana.

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Brian Jagde e Rosa Feola

Resta da riferire, poi, della eccellente prova del coro scaligero che, produzione dopo produzione, sembra superarsi in bravura e rigore esecutivi. Merito, senza dubbio, della esperta guida di Alberto Malazzi che riesce ad infondere alla compagine la giusta combinazione tra pertinenza stilistica, intensità, compattezza e potenza. 

Una serata in grande stile, premiata dai calorosi consensi di una sala esauritissima e che si accende di vivo entusiasmo soprattutto nei confronti dei tre protagonisti principali e del direttore.

TURANDOT
Dramma lirico in tre atti e cinque quadri
Libretto di Giuseppe Adami e Renato Simoni
dalla fiaba teatrale omonima di Carlo Gozzi
Musica di Giacomo Puccini

La principessa Turandot Anna Netrebko
L’imperatore Altoum Raúl Giménez
Timur Vitalij Kowaljow
Il Principe Ignoto (Calaf) Brian Jagde
Liù Rosa Feola
Ping Sung-Hwan Damien Park
Pang Chuan Wang
Pong Jinxu Xiahou
Un Mandarino Adriano Gramigni
Prima ancella Silvia Spruzzola
Seconda ancella Vittoria Vimercati
Il principe di Persia Haiyang Guo *

* Allievo dell’Accademia Teatro alla Scala

Orchestra e coro del Teatro alla Scala
Direttore Michele Gamba
Maestro del coro Alberto Malazzi
Regia Davide Livermore
Scene Eleonora Peronetti, Paolo Gep Cucco, Davide Livermore
Costumi Mariana Fracasso
Luci Antonio Castro
Video D-Wok

Foto: Brescia Amisano Teatro alla Scala