Spettacoli

Turandot – Livorno, Teatro Goldoni

Una Turandot che ci parla del Novecento, della sua musica e della sua sperimentazione teatrale, quella andata in scena al Teatro Goldoni di Livorno con la direzione di Pietro Mianiti e la regia di Daniele Abbado. Negli stessi giorni della Turandot fiorentina, stupendo monumento della tradizione cinese che celebra l’armonia universale, qui ci viene offerta una visione del tutto differente e che ci immerge nelle inquiete atmosfere del XX secolo, con il finale sospeso di Luciano Berio, i riferimenti alla rivoluzione culturale maoista e l’idea di un teatro nel teatro alla ricerca di una nuova identità. Lo spettacolo, nato nel 2021 come produzione del Festival Puccini, è stato riproposto a Torre del Lago nel corso dell’ultima stagione ed è stato recensito su queste pagine nel luglio 2023, al cui articolo rimandiamo per una più completa valutazione. L’allestimento viene ora ripreso da Emanuele Gamba e adattato alle minori dimensioni del palco del Goldoni, dove inevitabilmente si perde un po’ il gioco scenografico delle torri componibili. A risaltare maggiormente sono però i movimenti, con coreografie accuratamente studiate, e i colori di alcuni costumi che interrompono la tinta notturna della rappresentazione. Il discorso intorno al teatro emerge poi con rilievo, assumendo nel secondo atto caratteri spiccatamente circensi. Di cruda suggestione la sequenza del Principe di Persia e la morte di Liù e di notevole effetto il distaccato apparire di Turandot e il bruciare gli enigmi una volta risolti.

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Marco Miglietta, Paolo Ingrasciotta, Francesco Napoleoni

Se la regia di Abbado-Gamba ha per tema la ricerca, il finale di Berio accenna soprattutto all’incompiutezza, tanto della vicenda quanto della musica, in una tensione drammatica che si allenta tra le riprese del duetto e le ampie parentesi strumentali, fino a sfumare senza trionfalismi in forme rarefatte. Un terzo atto reso con trasparenza e morbidezza dalla direzione di Mianiti, che da parte sua ci offre dell’intera opera una lettura incisiva e moderna, con ritmi e colori che ci proiettano nel cuore del Novecento. Se l’attacco manca un poco di forza, il primo e il secondo atto si snodano poi con grande energia e fluidità, con volumi robusti e sonorità definite, tra cui spicca la rotonda consistenza degli ottoni. Non troppo convincente però l’inizio del terzo atto, mentre vengono sbalzate con intenso lirismo sia la morte di Liù che le scene conclusive.
Assai ben integrato con l’orchestra il Coro del Teatro Goldoni diretto da Maurizio Preziosi, con interventi precisi e vigorosi, alleggeriti dalla ordinata delicatezza del Coro di voci bianche guidato da Laura Brioli.

Anastasia Boldyreva è una Turandot algida e penetrante, che al momento opportuno sa delineare efficacemente il passaggio dal distacco alla passionalità. La voce da mezzosoprano, omogenea e voluminosa, mostra tuttavia qualche difficoltà a mantenersi nelle regioni più alte e ci appare in affanno per tutta la grande aria e la scena degli enigmi. E’ comunque più morbida e disinvolta nel duetto ed esprime dolcezza e spontaneità nel finale.

Amadi Lagha è un Calaf energico e smagliante, che mantiene costantemente una dizione scandita e rotonda e proietta con forza acuti definiti e luminosi. Per tutto il primo atto esibisce un fraseggio puntuale e smaltato, mentre al secondo e all’inizio del terzo ci appare meno saldo e anche lui un po’ affaticato. Da rilevare l’effetto drammatico del suo “Il mio nome non sai” cantato a fior di labbra e lo slancio dell’acuto di “Nessun dorma”. Ritrova infine sicurezza e vigore nel duetto e nel finale, dando prova di un’ottima capacità di modulazione.

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Amadi Lagha e Anastasia Boldyreva

Emanuela Sgarlata si conferma una Liù commovente e di estrema delicatezza, di notevole estensione e di maggiore fluidità rispetto all’esecuzione di Torre del Lago dello scorso luglio. La prima aria risulta tuttavia un poco tagliente, perdendo così di dolcezza; rende poi con nitidezza “Tanto amore, segreto inconfessato”, mentre la melodia della seconda parte dell’aria viene continuamente spezzata nelle arcate dei fiati.

Ha una voce morbida e un fraseggio elegante il Ping di Paolo Ingrasciotta, affiancato dal Pong luminoso di Marco Miglietta e dal vivace Pang di Francesco Napoleoni. I tre, assai ben coordinati, rendono con efficacia tanto i momenti brillanti quanto quelli lirici ed esprimono quel tanto di incertezza e di malinconia che è un tassello essenziale dell’impostazione registica.

Abramo Rosalen è un Timur autorevole e lacerato, con un’emissione compatta declinata in un canto accorato e incisivo. Struggenti le sue ultime note e il suo inabissarsi nella scena.

Chiaro ed omogeneo Rocco Sharkey, dalla linea sinuosa e definita con la quale interpreta un Altoum ieratico ma pieno di pathos.

Di buon volume e con proiezioni vigorose il Mandarino di Tomohiro Nomachi e delicate e trasparenti le ancelle di Alessia Battini e Sara Fogagnolo.

Grande entusiasmo da parte del pubblico per l’intero spettacolo. Molto applaudite la Boldyreva e la Sgarlata, fragorosi consensi per Mianiti e un trionfo per Lagha.

TURANDOT

Opera musicale in tre atti e cinque quadri
Libretto di Giuseppe Adami e Renato Simoni
Musica di Giacomo Puccini

personaggi e interpreti:

Turandot
Anastasia Boldyreva
Calaf Amadi Lagha
Liù Emanuela Sgarlata
Timur Abramo Rosalen
Ping Paolo Ingrasciotta
Pang Francesco NapoleoniPong Marco Miglietta
Altoum/Principe di Persia Rocco Sharkey
Mandarino Tomohiro Nomachi
Due Ancelle Alessia Battini, Sara Fogagnolo

Direttore Pietro Mianiti

Regia Daniele Abbado ripresa da Emanuele Gamba
Scene/Light designer Angelo Linzalata
Costumi Giovanna Buzzi
Coreografia Simona Bucci

Orchestra del Teatro Goldoni
Coro del Teatro Goldoni
Maestro del coro Maurizio Preziosi

Coro di voci bianche del Teatro Goldoni
Maestro del Coro voci bianche Laura Brioli

Foto: Andrea Trifiletti – Team Bizzi