The Tender Land – Piccolo Regio Puccini, Torino
Con una mossa di sapiente lungimiranza il Teatro Regio di Torino porta per la prima volta in Italia The Tender Land di Aaron Copland, peraltro accostandola alle recite appena terminate di La Fanciulla del West, il capolavoro pucciniano. Pioniere della musica colta americana, il newyorchese Aaron Copland è noto soprattutto per i suoi risultati nella musica sinfonica, per il balletto e le colonne musicali cinematografiche, The Tender Land è infatti la sua seconda ed ultima opera. Nonostante il forte desiderio di approcciarsi al genere un certo timore lo frenò fino alla commissione della Lega dei compositori americani del 1952 ed il progetto di seguire le orme di Menotti mettendo in scena un’opera televisiva per il canale NBC. Furono le indagini del comitato del Senatore McCarthy a mettere un freno allo slancio creativo di Copland e del suo librettista Erik Johns, che per l’occasione utilizzò lo pseudonimo Horace Everett, ed il progetto dalla televisione si spostò al teatro. Furono purtroppo poche le lodi alla prima del 1° aprile 1954 avvenuta al New York City Opera. La spiazzante drammaturgia ed il soggetto, all’epoca inusitati per il teatro d’opera, sono molto probabilmente le cause dell’iniziale insuccesso di questo lavoro dal carattere intimo ma tenacemente progressista. Copland e Johns rimisero successivamente mano al materiale nel 1955 e l’opera cominciò ad avere più fortuna, anche grazie alla riduzione per orchestra da camera di Murry Sidlin del 1987, ed è su quest’ultima che è caduta la scelta per questa prima italiana al Piccolo Regio Puccini di Torino.
Cosa hanno dunque portato in scena di così spiazzante per il pubblico del 1954 Copland e Johns? The Tender Land è il racconto di una giornata cruciale nella vita della giovane Laurie Moss, diciottenne in procinto di diplomarsi che vive con l’apprensiva madre, il burbero nonno e la sorellina Beth in una fattoria del Midwest ai tempi della grande depressione. Mentre si organizza la festa per il diploma di Laurie e circolano preoccupanti voci su violenze ai danni delle ragazze del vicinato da parte di sconosciuti vagabondi, ecco che si presentano alla fattoria dei Moss due giovani scalcagnati in cerca di lavoro. Martin e Top, questi i nomi dei due, convincono il pur sospettoso nonno a farsi assumere per il raccolto primaverile, e vengono invitati alla festa, dove tra Martin e Laurie è colpo di fulmine. I due, seppur cerchino cose molto diverse, si professano amore e vengono scoperti dal nonno a scambiarsi un bacio. Martin e Top vengono velocemente allontanati, Laurie decide di partire insieme a loro ma mentre la ragazza si prepara Top convince Martin che la vita da vagabonda non farebbe per Laurie e i due se ne vanno senza di lei. Rimasta sola, la coraggiosa Laurie saluta la mamma e la sorella, e parte ugualmente.
Sono stratificate e ingannevolmente semplici le tematiche affrontate nell’opera: dalla ricerca di sé e dell’autodeterminazione all’affresco e alla critica sociale (critica quanto mai radicata nell’era maccartista vissuta da Copland e dalla sua generazione) ed altrettanto stratificata e ingannevolmente semplice è la musica di Copland, il cui notevole slancio melodico e lirico si accompagnano ad una sofisticata ricerca armonica, intelligentemente informata dal punto di vista drammaturgico. Scorre infatti sempre fluida la narrazione musicale, accompagnando l’azione in palcoscenico in un’atmosfera meditativa e sognante di grande fascino dalle tinte malinconiche, con alcune venature più aspre nei momenti di tensione. Questa sfaccettata partitura è affidata per l’occasione alla bacchetta di Alessandro Palumbo, al debutto alla direzione di quest’opera e nel Regio torinese, che ne coglie appieno lo spirito eclettico e guida in maniera eccellente l’ensemble orchestrale mantenendo costante la tensione drammatica con misurato vigore e all’occorrenza lasciando spazio all’effusione più estatica e lirica; davvero indimenticabile il finale del I atto “The promise of living”, cuore tematico (musicalmente e drammaturgicamente) dell’intera opera.
Di grande suggestione e stratificata al pari dell’opera stessa la regia curata da Paolo Vettori e profondo è lo scavo dei personaggi: un albero genealogico che affonda le proprie radici nella terra d’origine di Laurie è il perno dell’impianto scenico (di Claudia Boasso), rosso come la striscia di terra in proscenio, terra contenuta nel titolo e terra che è Laurie stessa, fertile suolo della vita che costruirà per sé stessa una volta partita da casa. Le soffocanti cure materne la vorrebbero tenere lì, a ripetere la vita che lei stessa ha vissuto e che tutti i loro antenati hanno vissuto, cullando lei e Beth come bambole, guidandole e proteggendole. Preda di una timorosa nostalgia ella non si abbandona ad un flirt con il postino Splinters, ma sotterra i propri sentimenti come pensa sia suo dovere fare. Laurie spezza questo ciclo andandosene, lasciando la “casa di bambole” e la propria terra. Quella terra che le ha dato i natali e quegli antenati, da cui desidera così ardentemente emanciparsi e che compaiono tra i rami dell’albero come cornici animate festeggiando con la famiglia e gli amici della ragazza il suo diploma, Laurie li porterà sempre con sé, come tutti noi facciamo con le nostre origini, pur avendo acquisito una nuova consapevolezza. Il fiore germogliato dall’incontro con Martin, questa consapevolezza che il rischio è l’unico modo in cui si possa veramente vivere, è il dirompente, importantissimo testimone che Laurie tramanda alla sorellina Beth e a tutte le donne (e uomini) delle generazioni successive con il proprio esempio. Strazianti le frasi finali dell’opera, affidate alla madre di Laurie, pronunciate mentre sotterra la bambola con le sue sembianze per poi stringere al petto quella con le sembianze di Beth. Riuscirà anche Beth a spezzare il ciclo generazionale? Squisito, inoltre, l’omaggio al cinema di Charlie Chaplin e al suo Charlot lungo il corso dello spettacolo negli interventi del coro e nelle figure dei due vagabondi Martin e Top. Squisiti anche i costumi di Laura Viglione ed eccellente il lavoro sulle luci di Gianni Bertoli.
Giovane e talentuoso il cast vocale, alle prese con i rispettivi ruoli ovviamente per la prima volta: Irina Bogdanova conferma le ottime impressioni lasciate in altre numerose occasioni, il timbro vellutato del soprano, la sicurezza in ogni registro e la perizia nel fraseggio le consentono di rendere un ritratto sfaccettato e vigoroso della giovane Laurie, dalla splendida aria d’ingresso “Once I thought I’d never grew tall as this fence” al commovente addio finale. Altrettanto eccellente è Michael Butler nel ruolo di Martin, risolto con perizia anche nei momenti più ardui. Il giovane tenore americano conquista quindi per musicalità, squillo e charme della resa attoriale, e forma una riuscitissima coppia scenica naturalmente con Irina Bogdanova ma anche con Andres Cascante, bravissimo interprete del ruolo di Top. Il duo al suo ingresso fa tornare alla mente il Gatto e la Volpe di Collodiana memoria con i loro duetti/presentazione vivaci e dalle tinte folk. La bella voce baritonale di Cascante ben complementa e supporta quella di Butler e convince appieno in ogni momento. La tormentata Ma di Laurie è la Ksenia Chubunova che abbiamo anche imparato a conoscere durante la sua permanenza nel Regio Ensemble. La voce ha un impasto timbrico irresistibile e convince appieno anche il coté attoriale della sua performance.
Benissimo anche il Grandpa di Tyler Zimmermann che offre la sua voce sempre ben timbrata, sonora ed il giusto equilibrio tra bonarietà e burbera scontrosità al suo personaggio. Sempre efficaci gli interventi di Valentino Buzza nei panni del postino Mr. Splinters, molto ben eseguiti, ed impeccabile Giulia Medicina nei panni della consorte Mrs. Splinters, un ruolo invero troppo breve per la sua splendida voce di mezzosoprano. Benissimo anche Davide Motta Fré e Junghye Lee negli anch’essi brevi ruoli dei coniugi Jenks. Completano il cast Eun Young Jang (Young girl e voce fuori scena), Giovanni Castagliuolo (First Man) e Roberto Calamo (Second Man). Bravissima la giovane Layla Nejmi, interprete del ruolo di Beth. Importanza non secondaria ha nel secondo atto il coro, qui chiamato dalla regia a dare vita allo stuolo di antenati della famiglia Moss che benevolmente accompagna la giovane in questo rito di passaggio e come sempre la compagine preparata da Ulisse Trabacchin offre una splendida interpretazione. Non rimane che ribadire il plauso al Teatro Regio per la scelta di offrire al pubblico torinese, che festeggia calorosamente tutti gli interpreti alla prima, l’opportunità di godere di questo interessante lavoro ingiustamente bistrattato e senza dubbio incompreso.
The Tender Land
OPERA IN TRE ATTI
Musica di Aaron Copland
Libretto di Horace Everett
Prima esecuzione in Italia
Personaggi e Interpreti
Laurie Moss soprano Irina Bogdanova°
Martin tenore Michael Butler
Grandpa Moss basso Tyler Zimmerman°
Ma Moss contralto Ksenia Chubunova°
Top baritono Andres Cascante°
Mr. Splinters tenore Valentino Buzza
Mrs. Splinters mezzosoprano Giulia Medicina
Mr. Jenks baritono Davide Motta Fré
Mrs. Jenks soprano Junghye Lee
Young Girl e Voce fuori scena soprano Eun Young Jang
First Man tenore Giovanni Castagliuolo
Second Man baritono Roberto Calamo
Beth Moss voce bianca Layla Nejmi / Minerva Bonizio
° Artisti del Regio Ensemble
Alessandro Palumbo direttore d’orchestra
Paolo Vettori regia
Claudia Boasso scene
Laura Viglione costumi
Gianni Bertoli luci
Ulisse Trabacchin maestro del coro
Orchestra e Coro Teatro Regio Torino
Nuovo allestimento Teatro Regio Torino
Foto di Daniele Ratti cortesia del Teatro Regio