Turandot – Teatro Municipale, Piacenza
Piacenza, 22/03/2024
Gli enigmi di Turandot in scena al Teatro Municipale di Piacenza.
“Dimmi, qual sia quella terribil fera
quadrupede, ed alata, che pietosa
ama chi l’ama, e co’ nimici è altera,
che tremar fece il mondo, e che orgogliosa
vive, e trionfa ancor”
Così chiede la principessa Turandot a Calaf nella commedia di Carlo Gozzi del 1762. La risposta al terzo ed ultimo enigma della principessa è: “Turandot” così come lo è anche nella omonima ed incompiuta opera di Puccini del 1924. In questo 2024, centenario pucciniano, anche il Teatro Municipale di Piacenza vuole omaggiare il compositore e lo fa proprio con il suo ultimo capolavoro. L’allestimento scelto è quello visto nel 2003 al Teatro Comunale Pavarotti-Freni di Modena e coprodotto con il Teatro Municipale di Piacenza, il Teatro Alighieri di Ravenna ed il Teatro Galli di Rimini.
Lo spettacolo, pensato nella regia e nelle scene da Giuseppe Frigeni, è oggi ripreso da Marina Frigeni che collabora anche alle coreografie. Riportiamo qui quanto scritto nel gennaio 2020, quando lo spettacolo andò in scena al Teatro Regio di Parma. Scrivemmo allora: “Una scena minimale ed evocativa che gioca su pochi ed essenziali elementi simbolici, soprattutto sul grande gong usato da Calaf e qui reso segno sottilissimo che rimanda al Tao, con il suo alternarsi dei principi maschile e femminile, simboleggiati dal bianco e dal nero. Questi colori sono spesso presenti in molti oggetti sulla scena, soprattutto nel secondo atto. L’intera vicenda, ad esempio, si svolge sopra una grande scalinata nera, comprensiva di una parte mobile al centro, che svela uno spazio aperto riservato ora ad accogliere le teste mozzate dei pretendenti uccisi ora il corpo di Liù dopo il suo tragico suicidio. I personaggi si muovono con pochi gesti stilizzati e grande cura è senza dubbio rivolta alla caratterizzazione di Liù, quasi una profetessa della vittoria di Calaf. Nell’interpretazione del regista però la vicenda non si conclude con l’atteso trionfo dell’amore, ma con un Calaf che sembra ripudiare Turandot e che, dopo averle sottratto il manto regale, si avvia solitario verso il trono. La principessa di gelo invece si accascia a terra nel punto esatto dove giace il corpo di Liù, probabilmente a suggerire l’incontro tra due donne vittime di una sorta di violenza maschile, almeno psicologica. Funzionali nella loro semplicità i costumi a cura di Amélie Haas dalle tinte pastello e dai rimandi alla tradizione cinese. Belle e puntuali le luci, a cura del regista, impiegate anche per sottolineare il fondale animato da un continuo gioco di apertura e chiusura di quinte mobili. Molto curate le movenze sceniche dei singoli e delle masse corali, poste sempre ai lati della scena”. A distanza di qualche anno non possiamo che confermare le impressioni positive su una produzione elegante, evocativa e piacevolissima da vedere vent’anni dopo il suo debutto.
Complessivamente buono, pur con alcuni distinguo, il versante musicale dello spettacolo.
Nel ruolo del titolo Leah Gordon al suo debutto come Turandot. Il soprano canadese possiede una vocalità importante e che non difetta in volume. Convince particolarmente per un registro centrale pieno e gradevole ma, nella salita all’acuto, ha una tendenza a schiacciare il suono che viene a perdere in proiezione. Perfettibile inoltre la pronuncia. Scenicamente la sua figura elegante, slanciata e composta disegna una principessa adeguatamente imperiosa ed enigmatica.
Calaf è Angelo Villari. Il tenore offre una interpretazione nel solco della tradizione italiana grazie alla sua voce dal colore luminoso ed avvolgente. La linea di canto si dimostra sicura, sfrontata e muscolare anche se nel finale si fa sentire un pò di stanchezza. In linea con la regia, il suo principe ignoto è un combattente spavaldo e un po’ arrivista ma che dona anche al pubblico pennellate di colore e sentimento nella celeberrima “Nessun dorma”.
Ottima impressione desta la prova di Jaquelina Livieri. La sua voce, ben impostata, ammalia il pubblico con un piacevole timbro lirico che corre sicuro nella sala. Al tempo stesso risultano però riuscitissimi i pianissimo, quasi uno squarcio nell’anima della fragile protagonista. Composta e sottilmente affascinante la presenza sul palco: contemporaneamente dolce e determinata. Una prova decisamente riuscita.
Splendida la prova degli affiatatissimi Ping Pong e Pang, rispettivamente Fabio Previati, Matteo Mezzaro e Saverio Pugliese. Colpisce l’amalgama delle voci, perfettamente eufoniche, e la coerenza e sincronia dei movimenti scenici. Fabio Previati convince con la sua voce dal colore screziato e ben timbrato, Matteo Mezzaro affascina con uno strumento luminoso e duttile ed infine Saverio Pugliese si segnala per una emissione morbida e naturale. Una interpretazione che regala dignità a questi personaggi che non scadono mai nel macchiettismo.
Giacomo Prestia interpreta Timur: un prezioso cameo. Il noto basso, dotato di uno splendido velluto vocale, sa essere sul palco un re triste ed anziano ma anche un padre affettuoso e sensibile.
Raffaele Feo interpreta l’imperatore Altoum, nonostante la giovane età riesce a piegare, in modo convincente, la voce, per disegnare l’anziano regnante. Al di là di questa voluta caratterizzazione il suono corre squillante ed ampio nella sala e convince il pubblico presente. Efficace ed elegante la presenza scenica.
Completa la locandina il sicuro Benjamin Cho che interpreta in modo sonoro Un mandarino.
A capo della Orchestra dell’Emilia Romagna Arturo Toscanini troviamo Marco Guidarini. La sua linea predilige sonorità decise, nette ed impattanti. Questo impeto in alcuni frangenti tende a non supportare adeguatamente i cantanti che risultano spesso sovrastati dal magma sonoro. Una lettura, quella del direttore, piuttosto convenzionale e che resta ad una certa generica superficie senza cogliere le infinite sfumature di cui lo spartito è ricco.
L’orchestra risponde alla direzione assecondandola al suo meglio, offrendo una prova piuttosto riuscita pur mettendo in evidenza alcuni scollamenti rispetto al palco.
Il Coro Lirico di Modena e il Coro del Teatro Municipale di Piacenza collaborano, diretti da Corrado Casati per dare vita a quello che è uno dei protagonisti più importanti di questo melodramma. I due cori, spesso disposti ai lati del palco, offrono una prova maiuscola per l’uso dei colori e l’intensità di un suono vibrante di emozione.
Successo al termine dell’opera per tutta la compagnia ed in particolare per Jaquelina Livieri e Angelo Villari.
L’opera si conclude augurando: “diecimila anni all’imperatore”, e noi li auspichiamo per la musica immortale di Giacomo Puccini.
Marco Faverzani | Giorgio Panigati
Modena, 16/03/2024
Il Teatro Comunale di Modena, in occasione di Turandot di Giacomo Puccini con la regia di Giuseppe Frigeni e la direzione di Marco Guidarini, oltre alla consueta prima del venerdì sera e la replica della domenica, ha previsto un’ulteriore recita per il sabato pomeriggio, avvalendosi di altri due cantanti per i ruoli principali.
La principessa di gelo è stata quindi interpretata da France Dariz che ha esibito una vocalità consistente e di notevole estensione, proiettando con cura acuti tersi e definiti, ma perdendo un po’ di omogeneità nelle regioni gravi. Rende con intensa espressività la grande aria “In questa reggia”, con un passo solennemente cadenzato e una sicura tenuta delle note, unendo ad un canto nobile, quasi sacrale, una gestualità geometrica e marcata che bene si integra con il carattere dell’allestimento. Non altrettanto incisiva è invece la prima parte del duetto con Calaf, dove l’accento si fa più debole e opaco, mentre però i passaggi conclusivi ritrovano un carattere smagliante e levigato e conquistano una cifra spiccatamente appassionata.
L’altro protagonista è Mikheil Sheshaberidze, Principe ignoto dalla voce potente che si mantiene salda nei centri e si slancia con forza in acuti svettanti, ma diminuisce di volume nel registro inferiore. Il fraseggio è piuttosto uniforme e manca di incisività soprattutto nei dialoghi, mentre le arie presentano una linea più mossa e di maggior impatto drammatico, con un “Non piangere Liù” a cui manca un poco di dolcezza e un “Nessun dorma” che straborda di energia. Un Calaf che è dunque un eroe tutto d’un pezzo, con una recitazione fin troppo ingessata, e forse non soltanto per una certa rigidità dell’interprete, ma anche per le discutibili scelte del regista che lo vuole interamente proteso all’affermazione di sé.
Davvero pregevole tutto il resto del cast, che merita tra l’altro un plauso particolare per avere cantato nella replica a meno di un giorno dal debutto. In primis, eccelle la bravura di Jaquelina Livieri che delinea una nobilissima Liù con un canto trasparente e di raffinata purezza. Fin dalla romanza “Signore, ascolta!” esprime una sofferenza intensa ma composta, con salite di notevole impatto drammatico, anche se lievemente taglienti, e una sicura tenuta delle note. Rende con toccante tragicità l’intera sequenza della morte – sublime vertice di questa edizione – dove con grazia e fermezza realizza l’incanto di chi per amore si dona senza riserve.
Articolato ed incisivo il terzetto dei ministri con il luminoso Pang di Saverio Pugliese, il melodico Pong di Matteo Mezzaro e il Ping di Fabio Previati dall’emissione riccamente modulata. Di grande affiatamento, realizzano con cura e destrezza tanto i momenti brillanti quanto quelli drammatici o di sognante lirismo.
Giacomo Prestia è un Timur intenso dalla frase scolpita e penetrante, mentre Raffaele Feo, con un timbro luminoso ed una dizione scandita, interpreta l’imperatore Altun in uno stile autorevole e accorato. Di salda intonazione ma non troppo consistente il Mandarino di Benjamin Cho e dolcissime e leggiadre le ancelle di Haoyoung Yoo e Eleonora Nota.
In buona sintonia con il palco la direzione di Marco Guidarini, che mantiene costantemente la tensione drammatica realizzando un suono turgido e compatto alla guida dell’Orchestra Toscanini. Rende con grande vigore e precisione l’intera sequenza iniziale del Principe di Persia ed in generale tutte le scene d’insieme, con taluni passaggi che riescono tuttavia fin troppo roboanti. Al contempo, l’impiego di pause marcate conferisce al racconto un ampio respiro e pone in evidenza i momenti cruciali del dramma.
Ben integrato inoltre dal gesto di Guidarini ogni intervento del Coro Lirico di Modena e del Teatro Municipale di Piacenza, diretto da Corrado Casati. Compagine corale che dimostra grande forza e compattezza, con efficaci variazioni d’intensità e di colore nei passaggi con le Voci Bianche del Teatro di Modena guidate da Paolo Gattolin. Solenni e monumentali poi gli interventi durante gli enigmi e del finale.
La regia di Giuseppe Frigeni, ripresa da Marina Frigeni, colloca l’azione in un ambiente geometrico ed oscuro, con uno sfondo a pannelli scorrevoli che si apre all’azzurro del cielo e al verde della primavera come all’inaccessibile sacralità di Altun eTurandot, proiettando così un presente cupo e opprimente verso un possibile oltre. I costumi di Amélie Haas, ispirati alla cultura cinese, hanno un taglio rigoroso ma fiabesco, così come le luci disegnano sempre atmosfere incantate, pur descrivendo situazioni terribili. Di geometrica proporzione anche i movimenti delle masse corali e la gestualità dei singoli personaggi, quasi a riflettere le simmetrie della drammaturgia musicale. Una rappresentazione dunque coerente ed unitaria, dove fino ad un certo punto tutto funziona e convince, eccezion fatta per la durezza e la rigidità del protagonista maschile, che forse non è accidentale ma da mettere in relazione con la scena conclusiva. Il finale, appunto. Turandot, dopo aver dichiarato il suo amore, fa per accarezzare Calaf che invece la scaraventa a terra e si avvia verso il soglio imperiale. E quindi, mentre il finale di Alfano celebra, anche se non con poca retorica, la congiunzione della Luna con il Sole e la trasformazione operata dall’amore, ci troviamo davanti ad una scena di violenza e ci viene da pensare che forse non abbiamo assistito ad altro se non ad una lotta per il potere. Forse un nobile richiamo alla nostra attualità, ma certamente un dire altro dalla fiaba, anzi dal mito di Turandot, che ne esce contratto e depotenziato. Vero è che il finale di Berio è più sospeso e malinconico, ma non mette comunque in dubbio quel cambiamento e quella parità che si realizzano durante il duetto d’amore, scritto tra l’altro per una buona metà dallo stesso Puccini. Anche la fantasia ha un suo ordine simbolico ed il compito degli artisti è di organizzare l’immaginazione. Che poi quest’armonia si realizzi nella vita, è un’altra storia.
Spettacolo accolto con un vero tripudio, con fragorosi consensi soprattutto per Guidarini e la Dariz, Sheshaberidze e la Livieri (questi ultimi due molto applauditi anche a scena aperta).
Andrea Poli
TURANDOT
Opera in tre atti e 5 quadri
Libretto di Giuseppe Adami Renato Simoni
Musica di Giacomo Puccini
Turandot Leah Gordon / France Dariz 16/03
Altoum Raffaele Feo
Timur Giacomo Prestia
Calaf Angelo Villari / Mikheil Sheshaberidze 16/03
Liù Jaquelina Livieri
Ping Fabio Previati
Pang Saverio Pugliese
Pong Matteo Mezzaro
Un mandarino Benjamin Cho
Orchestra dell’Emilia Romagna Arturo Toscanini
Coro Lirico di Modena e Coro del Teatro Municipale di Piacenza
Maestro del Coro Corrado Casati
Direttore Marco Guidarini
Regia, scene e luci Giuseppe Frigeni (riprese da Marina Frigeni)
Costumi Amélie Haas
Foto: Rolando Paolo Guerzoni