Così fan tutte – Pisa, Teatro Verdi
Gli umani si amano, i cuori si spezzano. E gli Dei stanno a guardare. Questo sembrerebbe a prima vista raccontarci la galleria di immagini entro la quale è andato in scena a Pisa Così fan tutte di W.A. Mozart, a conclusione di una stagione lirica che si è dimostrata varia e interessante. L’allestimento è di Stefano Vizioli che si avvale delle scene di Milo Manara, il cui tratto inconfondibile inscrive la vicenda in una cornice mitologica dove le divinità olimpiche si affacciano sul mondo per assistere alle infedeltà dei quattro amanti. Presenze in realtà non troppo distaccate, ma piuttosto incuriosite e in un certo qual modo perfino partecipi: nei tondi sullo sfondo vediamo infatti rappresentati gli amori dei Celesti così come narrati nelle Metamorfosi di Ovidio, dal ratto di Ganimede a Venere e Callisto, da Leda con il cigno ad Europa con il toro. In particolare rilievo sono le avventure di Giove, che campeggia con l’aquila al centro degli affreschi nella dimora delle due dame ferraresi. Il desiderio ci viene quindi presentato nella molteplicità delle sue forme e dei suoi travestimenti e la mascherata di Guglielmo e di Ferrando pare così avere i suoi prodromi nel cielo.
I disegni di Manara hanno colori delicati, con fauni e ninfe di un erotismo intenso ma garbato, e sembrano parlarci della felice età dell’oro, con una leggerezza e un’innocenza che riescono sempre seducenti, ma che non sottolineano adeguatamente i passaggi più tormentati e la tragica disgregazione degli affetti.
I costumi, anch’essi disegnati da Manara, hanno tinte leggere in continuità con le pitture e nelle loro fogge settecentesche ricreano atmosfere raffinate da boudoir.
Se la struttura è multiforme e policroma, il palco è interamente lasciato ai movimenti dei personaggi, con pochi arredi in stile rococò, mentre il fondale rappresenta perlopiù l’elemento marino, evocando così l’instabilità e la trasformazione.
Le luci di Nevio Cavina sono tenui e poco modulate – probabilmente per porre in risalto i quadri dipinti- ed avrebbero potuto sottolineare con maggiore contrasto le fasi drammatiche. Suggestive comunque le sequenze con le figure in ombra e lo sfondo illuminato, che creano mistero e sospensione.
In definitiva, un Così fa tutte che si intesse in una trama di riferimenti tanto al mondo galante e libertino quanto all’Arcadia settecentesca e che realizza un insieme armonico ed unitario, prendendo spunto dalle citazioni mitologiche del libretto e ponendosi in dialogo con il classicismo delle forme mozartiane.
In questo senso, la direzione di Aldo Sisillo crea da parte sua strutture definite e trasparenti, che mettono in evidenza la ricchezza melodica della partitura, pur privilegiando la misura rispetto alla vivacità, con accordi precisi e nella morbidezza degli archi e dei fiati. Di incantevole delicatezza le parti d’insieme, dal terzetto “Soave sia il vento” al quintetto e al concertato, grazie soprattutto alla fermezza di un gesto pacato che mette in sintonia l’orchestra con il palco.
Brillante ed affiatato l’intero cast degli interpreti.
Spicca per potenza ed estensione, soprattutto nelle parti d’insieme, la Fiordiligi di Maria Mudryak, fluida ed elegante nei duetti, ma con recitativi non altrettanto rifiniti. Di notevole vigore in “Come scoglio immoto resta” pur con qualche forzatura negli acuti, rende poi “Per pietà, ben mio perdona” con una linea modulata e una sicura tenuta delle note.
Chiara e luminosa la Dorabella di Lilly Jørstad con un’interpretazione più a fuoco al secondo atto, dove la proiezione acquista di nitidezza e il canto si fa maggiormente articolato. Morbida e vivace la sua aria “E’ amore un ladroncello”.
Antonio Mandrillo è un Ferrando solare e di ampio respiro, anche se in certi passaggi l’intonazione appare lievemente precaria. Riccamente melodico, rende “Un’aura amorosa” in uno stile sognante e appassionato e dà spessore drammatico alla cavatina “Tradito, schernito”.
Con una vocalità omogenea e compatta, Jiri Rajnis è un Guglielmo dal fraseggio vario e incisivo. Vigoroso e brillante tanto in “Non siate ritrosi” quanto in “Donne mie, la fate a tanti”.
Delinea una Despina fresca e giovanile Francesca Cucuzza, saldamente impostata ed in una cospicua varietà di accenti e sfumature. A un canto che è levigato nella forma ma grintoso nell’intenzione, unisce costantemente una recitazione comica ed energica.
Profondo e autorevole il Don Alfonso di Emanuele Cordaro, che ben raffigura il filosofo ironico ma di grande umanità. Se all’inizio il fraseggio risulta un poco uniforme, nella seconda parte diviene più scolpito ed incisivo, con una caratterizzazione più marcata e convincente.
D’effetto gli interventi del Coro Archè che canta dalle barcacce. Diretto da Marco Bargagna, esordisce in una modalità un po’ opaca, ma dà poi prova di una valida modulazione con accurate variazioni d’intensità e suggestivi sfumati.
E mentre Giove continua a guardare dall’alto, restando comunque saldamente legato a Giunone, nella scuola degli amanti le coppie finalmente si ricompongono: forse riconciliate, ma sicuramente benedette, nella loro fragilità, da note che trasfigurano il mondo.
Fragorosi consensi per lo spettacolo nel suo complesso, con molti appalusi a scena aperta, soprattutto per la Mudryak, la Cuccuzza e Mandrillo.
COSÌ FAN TUTTE
Dramma giocoso in due atti
Libretto Lorenzo Da Ponte
Musica Wolfgang Amadeus Mozart
Personaggi e interpreti
Fiordiligi Maria Mudryak
Dorabella Lilly Jørstad
Guglielmo Jiri Rajnis
Ferrando Antonio Mandrillo
Despina Francesca Cucuzza
Don Alfonso Emanuele Cordaro
Maestro Concertatore e Direttore d’orchestra Aldo Sisillo
Regia Stefano Vizioli
Scene Milo Manara realizzate da Benito Leonori
Costumi Milo Manara realizzati da Roberta Fratini
Luci Nevio Cavina
Maestro al cembalo Riccardo Mascia
Assistente alla regia Pierluigi Vanelli
Assistente direttore d’orchestra Gianluca Piombo
ORT – Orchestra della Toscana
Coro Arché diretto da Marco Bargagna
Photo by Kiwi