Anna Bolena
Piacenza, Teatro Municipale, 16/02/2024
Dopo trentasette anni di assenza Anna Bolena, il capolavoro di Gaetano Donizetti, torna al Teatro Municipale di Piacenza.
Anna Bolena, figura chiave della storia britannica, ha saputo generare leggende, racconti, opere libri e film. Ma per parlarvi di quanto andato in scena a Piacenza noi ci vogliamo ispirare ad una piccola miniatura, che ritrae Anna a soli venticinque anni. Questo prezioso oggetto, uno dei pochi sopravvissuto alla damnatio memoriae subita della regina, è conservato nella Buccleuch Collections, in Inghilterra, misura solo due centimetri e mezzo ed è stato dipinto da Lucas Horenbout nel 1525. Lo scegliamo perché rappresenta Anna come una semplice ragazza, scissa dalla gravosa storia che tutti conosciamo. Lo spettacolo a cui abbiamo assistito cerca proprio, similmente, di ripulire la figura storica per lasciarci la donna che Anna Bolena è stata, con le sue paure, i suoi tormenti e soprattutto con il suo difficile amore. L’allestimento, coprodotto con Lac Lugano Arte e Cultura, Fondazione I Teatri di Reggio Emilia, Fondazione Teatro Comunale di Modena e Associazione “I Barocchisti”, vede alla regia Carmelo Rifici. Il lavoro svolto con lo scenografo Guido Buganza ci porta in una sorta di giostra atemporale: una grande pedana rotante disegna gli ambienti in cui si muovono i protagonisti. Una scelta che il regista spiega, nel libretto di sala, come una sorta di via crucis laica della protagonista. Uno spettacolo che mediamente funziona salvo che per alcune ridondanze visive, a volte poco intellegibili e alcuni vistosi sfasamenti temporali, in primis i pittori all’inizio dell’opera che rompono un po’ la credibilità scenica. Splendide e veramente riuscite le luci minimali e radenti di Alessandro Verazzi. Interessanti i costumi di Margherita Baldoni che sono una sorta di rilettura moderna e alleggerita degli abiti cinquecenteschi. Ben pensati i movimenti scenici di Alessio Maria Romano.
La messa in scena di questo titolo, caposaldo nella produzione del genio bergamasco, pone non poche complessità da un punto di vista esecutivo.
Il Maestro Diego Fasolis, forte della sua pluriennale esperienza nel repertorio della cosiddetta musica storicamente informata, propone una lettura che, attraverso la presenza in buca di un ensemble di strumenti originali, cerca di riportare la partitura, eseguita nella sua pressoché totale integralità, alle sue primigenie sonorità. L’accordatura del diapason a 430Hz, infatti, mette in evidenza dinamiche più asciutte, combinate ad una scelta di tempi per lo più stretti e spediti. Poco spazio viene lasciato al sentimentalismo degli afflati tipicamente romantici, nel preciso intento di porre maggiormente l’accento sulla essenza drammaturgica della vicenda. Meticoloso è, dunque, il lavoro sulla compagine de I Classicisti, evoluzione di quei Barocchisti di cui Fasolis stesso è leader. Durante l’esecuzione si colgono, dunque, dettagli sonori rifiniti e accuratamente sbalzati che, sapientemente combinati tra loro, danno origine ad un racconto raffinato ed essenziale. Una operazione musicale che, nel dichiarato intento di contestualizzare la partitura nel suo periodo compositivo, sembra complessivamente funzionare grazie, anche, alla solidità della compagnia di canto impegnata sul palcoscenico.
Carmela Remigio mette la propria arte al servizio di una prova totalitaria. L’esecuzione, mossa da una linea vocale morbida e ben proiettata, non è mai esibita con un semplice fine edonistico. La lunga frequentazione del repertorio belcantista, in primis mozartiano, fa sì che il soprano abbia oggi raggiunto una notevole consapevolezza del fraseggio, articolato con la giusta intenzione teatrale sin nel più piccolo inciso. L’artista plasma il personaggio di Bolena in aderenza con le peculiarità attuali di uno strumento più maturo rispetto ad un tempo e, coerentemente con il progetto registico di Rifici e la lettura di Fasolis, pone l’accento sulla femminilità di questa donna ripudiata che cerca di combattere con fierezza contro un sistema che la vede soccombere senza possibilità di difesa.
Al suo fianco brilla Arianna Vendittelli che, con la freschezza di uno strumento limpido e di buon volume, affronta la parte di Jane Seymour, qui proposta in tessitura sopranile. Vendittelli supera agevolmente le innumerevoli asperità della parte, sino ad offrire una esecuzione particolarmente efficace dell’aria di secondo atto “Per questa fiamma indomita”, valorizzata dal buon controllo del canto d’agilità. Da sottolineare, inoltre, il riuscito amalgama timbrico tra Vendittelli e Remigio, specie nel confronto di secondo atto dove le due artiste risaltano, tra l’altro, per un fraseggio incalzante e di notevole presa teatrale.
Simone Alberghini, nei panni di Enrico VIII, offre una prova in crescendo e che si apprezza, in particolare, per la cura di un fraseggio sempre sfumato e pertinente.
Ruzil Gatin è un Percy assai degno di interesse. Il tenore, infatti, possiede una vocalità rigogliosa che, soprattutto nella regione più acuta, mostra un notevole squillo. Gatin è un esecutore piuttosto corretto e preciso, capace di provarsi, con la giusta morbidezza, anche in belle mezzevoci.
Un plauso particolare va rivolto a Paola Gardina che, con uno strumento compatto dal caratteristico colore ambrato, presta a Smeton il giusto rilievo. La morbidezza dell’emissione e la pienezza dei centri, uniti ad un fraseggio elegante e composto, contribuiscono a creare un ragazzo spensierato ed innamorato, destinato a cadere vittima del suo stesso ardore giovanile.
Luigi De Donato, Rochefort, si impone per una vocalità sonora e di buon volume che risalta facilmente anche nelle scene di insieme.
Alterna, al contrario, la prova di Marcello Nardis nel ruolo di Hervey.
Di buon livello l’apporto del Coro Claudio Merulo diretto con grande maestria da Martino Faggiani. Una menzione particolare merita, nello specifico, la compagine femminile per la toccante esecuzione della pagina che precede la grande scena della follia della protagonista in secondo atto.
Vivo successo al termine con punte di particolare interesse per Remigio, Vendittelli, Gardina e Fasolis.
Marco Faverzani | Giorgio Panigati
Piacenza, Teatro Municipale, 18/02/2024
Lo spettacolo di Carmelo Rifici, con scene di Guido Buganza, costumi di Margherita Baldoni, luci di Alessandro Verazzi e movimenti scenici di Alessio Maria Romano, propone un’ambientazione atemporale giocata su simboli e richiami, piuttosto che sul realistico, ed è una scelta piuttosto accattivante che, grazie alla scenografia rotante, suggerisce facilmente i diversi momenti e movimenti. Purtroppo in diverse situazioni pare “volere ma non potere” e se parte con idee apparentemente interessanti, poi queste non sempre vengono sviluppate rischiando la noia.
È invece sempre sull’attenti la sublime direzione di Diego Fasolis alla guida de I Classicisti, donando all’intera opera, con grande omogeneità di stile, non solo gusto belcantista, ma anche accenti e colori romantici.
La protagonista è l’espertista Carmela Remigio, che si prodiga con la sua consueta classe e professionalità, arrivando con grande emozione al finale primo “Giudici… ad Anna!!” e altresì considerevole trasporto al finale ultimo.
La affianca uno stupendo Percy di Ruzil Gatin, che debutta il suo primo Donizetti serio con immenso trasporto, sapendo portare in scena – con la sua bellissima voce limpida, corredata di acuti luminosi e gravi ben timbrati – un canto romantico ricco di colori.
Arianna Vendittelli ha la giusta vocalità per dare a Giovanna la collocazione che merita all’interno dell’economia dell’opera, soprattutto nelle parti più patetiche che la vedono affranta e addolorata. Lo stesso vale per Simone Alberghini che non veste i panni di un Enrico VIII statuario, lasciandosi corrompere dalla storia reale, invece sa gestire molto bene le emozioni alterne dell’uomo/Re con grande eleganza.
Molto bene anche per lo Smeton di Paola Gardina e il Rochefort di Luigi De Donato.
Ottima la prova del Coro Claudio Merulo di Reggio Emilia guidato da Martino Faggiani.
William Fratti
Modena, Teatro Comunale, 25/02/2024
“E’ mio delitto/ l’aver creduta/ felicità suprema/ l’essere d’un re consorte” canta amaramente Anna Bolena, mentre gli eventi la conducono inesorabilmente al patibolo, prigioniera della trama ordita dalla crudeltà del marito, ma anche e soprattutto dalla logica del palazzo, dove l’ambizione si intreccia e confonde con la passione amorosa fino a sembrarci di quest’ultima perfino più forte. L’opera di Gaetano Donizetti, così come andata in scena al teatro di Modena e coprodotta con Lugano, Piacenza e Reggio Emilia, con la regia di Carmelo Rifici e le scene di Guido Buganza, pone infatti al centro della scena il castello di Enrico: una struttura grigia e circolare, che ruota su se stessa a definire di volta in volta i vari ambienti, consentendo la visione simultanea di quadri differenti e il loro avvicendarsi senza soluzione di continuità. La reggia ha numerose porte e finestre ma ci appare come una sorta di panopticon, fortezza del potere dove si è sempre spiati e teatro dell’infelicità per quasi tutti i personaggi, nelle atmosfere sinistre e notturne create dalle luci di Alessandro Verazzi, che cadono su arredi minimi e moderni, mentre i costumi di Margherita Baldoni evocano, in efficace contrasto, le fogge del Cinquecento inglese, pur con tagli aggiornati ed essenziali.
Un allestimento realizzato dunque con forme stilizzate e linee contemporanee, ma che aspira alla sontuosità dell’affresco storico, ricostruendo il dramma nella sua complessità, anche se inserendo elementi che appesantiscono inutilmente la scena e che debordano dal racconto della musica e del testo. Trovate sì eccessive, ma comunque di fascino e ben coordinate nei movimenti di Alessio Maria Romano, come la presenza in un paio di quadri della piccola Elisabetta presentata come l’archetipo della sovrana o il gran tableau del Cristo con la croce, nonché gli spazi della caccia evocati da grandi zolle erbose che scendono dall’alto. Di forte impatto anche la grande scena obliqua con il re a cavallo, l’intera sequenza del carcere e il banchetto nuziale durante la follia di Bolena con l’esecuzione capitale che ne segue.
In apertura dell’opera, due restauratori in tuta bianca si accingono a pulire e riparare una grande tela posta sulle porte del palazzo: un volto femminile, triste e dolce, come un’icona dentro una cattedrale. Restauro emblematico di quella combattuta ricerca dell’autenticità femminile che si snoda nel corso del dramma, grazie soprattutto ai personaggi di Anna e di Seymour. Carmela Remigio delinea il percorso di Bolena dall’infelicità e al rimpianto fino al perdono e alla follia in uno stile inquieto, spesso febbricitante, creando una regina energica e giovanile ma talora poco drammatica e solenne. Di notevole agilità ed estensione, pur con qualche slittamento d’intonazione, si cimenta con generosa passione nel primo duetto con Percy e rende in una forma particolarmente varia ed intensa l’intera sezione conclusiva, in un convincente susseguirsi di delirio e presa di coscienza.
Giovanna Seymour è Arianna Vendittelli che con una vocalità omogenea ed un fraseggio ordinato esprime efficacemente il tormento della donna interiormente agitata tanto dall’ambizione e dal desiderio amoroso, quanto dal senso di colpa e dalla pietà.
Intensamente appassionato e commovente l’ampio duetto realizzato al secondo atto da Remigio e Vendittelli, che si attesta come uno dei momenti più coinvolgenti di questa produzione.
Il nobile Riccardo Percy è interpretato da Ruzil Gatin che esibisce un canto luminoso e proiettato con vigore, scandito con precisione ma con qualche forzatura in acuto. Di grande saldezza e vigore nel primo incontro con Anna, risulta poi particolarmente drammatico e toccante nella intensa scena dentro la prigione.
Si impone per presenza scenica l’Enrico VIII di Simone Alberghini, con una gestualità alquanto espressiva ed uno stile di canto solenne ma poco modulato.
Figura sognante e cortese lo Smeton di Paola Gardina, con una vocalità morbida ed una linea varia ed elegante.
Luigi de Donato nel ruolo di Rochefort si distingue per profondità e compattezza, con una dizione scolpita ed un accento vibrante. Di buon volume ma poco incisivo l’Harvey di Marcello Nardis.
Diego Fasolis, da parte sua, ci offre dell’opera una lettura attenta e coesa, mantenendo una buona sintonia tanto con il palco quanto con l’orchestra de I Classicisti (già i Barocchisti). Di quest’ultima, che suona strumenti originali, si registrano tuttavia alcune imprecisioni negli archi, qualche difficoltà d’intonazione nelle trombe e nei corni e un vigore eccessivo delle percussioni. Se il primo atto viene reso senza significativi punti di emersione, la seconda parte viene realizzata con una maggiore tensione ed una più marcata intenzione espressiva. Da rilevare inoltre come merito il garbo e la fermezza con cui Fasolis ha richiamato una sala eccessivamente rumorosa.
Decisivo l’apporto del Coro Claudio Merulo di Reggio Emilia diretto Martino Faggiani nella realizzazione dei grandi quadri d’insieme e nei raffinati concertati. Di sospesa e incantata bellezza al secondo atto i due cori delle damigelle, vellutato e dolentissimo soprattutto il secondo come splendido preludio alla scena della pazzia.
Applausi a scena aperta soprattutto per Gatin e nel finale notevoli consensi per tutti gli interpreti. Molto applauditi Venditelli, Gardina e Fasolis.
Andrea Poli
ANNA BOLENA
Tragedia lirica in due atti
Libretto di Felice Romani
Musica di Gaetano Donizetti
Enrico VIII Simone Alberghini
Anna Bolena Carmela Remigio
Giovanna Seymour Arianna Vendittelli
Lord Rochefort Luigi De Donato
Lord Riccardo Percy Ruzil Gatin
Smeton Paola Gardina
Sir Hervey Marcello Nardis
I Classicisti
Direttore Diego Fasolis
Coro Claudio Merulo di Reggio Emilia
Maestro del coro Martino Faggiani
Regia Carmelo Rifici
Scene Guido Buganza
Costumi Margherita Baldoni
Luci Alessandro Verazzi
Foto Piacenza Masier Pasquali
Foto Modena Anna Domenigoni