Spettacoli

Il trovatore – Teatro Goldoni, Livorno

Il trovatore ritorna a Livorno, in un clima di attesa e di festa nella sala gremita del Teatro Goldoni, dalle cui scene mancava ormai da cinquant’anni, anche se l’ultima rappresentazione livornese risale al 1996, al Teatro La Gran Guardia. Un ‘edizione prodotta in sinergia con i teatri di Piacenza, Modena, Lucca e Savona e che ribadisce l’importanza di tali collaborazioni per poter proporre un maggior numero di spettacoli e di migliore qualità.
L’allestimento di Stefano Monti, che firma anche le scene con Allegra Bernacchioni, ricrea la tinta notturna dell’opera realizzando un ambiente umbratile e pietroso, in cui al disco lunare è affidato il compito di rappresentare tanto la passione di Leonora quanto l’allucinazione di Azucena. Lo spazio è delimitato da pannelli rocciosi che rimandano a realtà primitive ed ancestrali e la scena viene talora fissata dalle luci di Fiammetta Baldisserri in suggestivi tableau. I costumi, anche questi di Stefano Monti, evocano la Spagna e il Medioevo, ma collocano la vicenda su un piano simbolico, in un mondo vicino a quello del fantasy, secondo una modalità per certi versi analoga a quella del Tamerlano dell’anno passato. D’altro canto, certune coreografie, con movimenti di braccia scattosi e poco coordinati, risultano invece scarsamente efficaci, così come lo scomparire e riapparire dei personaggi, che girano dietro i pannelli, crea spaesamento ed affievolisce la tensione. Poco convince anche la scelta di non invecchiare e imbruttire Azucena, mentre riescono di forte impatto le corde che, al momento dell’arresto, scendono dall’alto e incatenano la zingara alla scena. Immagine questa che enfatizza con forza quel che fin dal principio lo spazio chiuso ci stava raccontando: in verità sono tutti prigionieri e procedono senza via di scampo, seguendo destini che non sarà soltanto la passione a rendere irrevocabili, ma anche la violenza e la mancanza di lucidità. E tuttavia, una sottile croce luminosa taglia lo sfondo a Castellor e due crocifissi distesi stanno accanto a Manrico ed Azucena, proprio dentro il carcere dove si consuma anche il sacrificio di Leonora. Debolissimo bagliore di consolazione, forse, o addirittura di speranza, nella logica spietata della maledizione.

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Victória Pitts, Min Kim, Yonghen Dong

In questa cornice essenziale ed immediata si stagliano complessivamente con rilievo tutte le interpretazioni dei cantanti, tra le quali eccelle quella di Matteo Desole, il cui timbro luminoso e giovanile risulta straordinariamente appropriato al ruolo di Manrico. Fin dalla canzone iniziale, mostra una proiezione definita ed un fraseggio rotondo che svetta con notevole potenza. È intenso nel duetto con la madre e rende con smaltata dolcezza “Ah! sì, ben mio, coll’essere”, per dare poi prova di eroismo e vigore nell’aria della pira, pur con un do conclusivo che riesce un po’ trattenuto. Molto espressivo infine al quarto quadro, con accenti dolenti ed una linea ampia e marcata.

Esordisce con forza e precisione la Leonora di Claire de Monteil, anche se con una prima cabaletta compromessa dalla mancanza di coordinamento con la buca orchestrale. Vocalità estesa e di considerevole volume, mantiene costantemente uno stile intenso ed elegante e dimostra una maggiore padronanza nei passaggi di agilità rispetto a quelli lirico-drammatici. Se in “D’amor sull’ali rosee” evidenzia alcune fragilità, è comunque di adeguato spessore nel Miserere e risolve con brillantezza la cabaletta che segue.

Victòria Pitts si cimenta nell’arduo ruolo di Azucena con una voce fresca e potente, saldamente impostata nei gravi e che raggiunge con facilità le note più alte, anche se con alcuni acuti eccessivamente vigorosi e che mettono a rischio l’intonazione. In “Stridea la fiamma” ha una ricca e variegata modulazione e mantiene in ogni sezione uno spiccato stile grintoso ed una posa visionaria ed allucinata.

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Claire de Monteil e Matteo Desole

Il Conte di Luna di Min Kim ha un attacco un po’ sottotono, con un’intenzione espressiva non troppo definita. L’interpretazione acquista però consistenza nel corso dell’opera e diviene di considerevole forza ed accuratezza nelle parti conclusive, dove il canto si fa più drammatico e tornito.

Incisivo e a tratti magnetico il Ferrando di Yonghen Dong, anche se con una dizione poco scandita e con talune omissioni. Agile e con accenti fortemente accorati la Ines di Samantha Sapienza. Di marcata espressività il Ruiz di Vincenzo Maria Sarinelli, chiaro e ben impostato. Valido e profondo lo Zingaro di Luis Javier Jimenez

La direzione di Giovanni Di Stefano esprime una visione unitaria e coerente del capolavoro verdiano, ma dimostra una non trascurabile difficoltà nel raccordare il palco con il golfo mistico, da cui tra l’altro escono spesso suoni poco compatti e accordi sfuocati. Se vanno in sofferenza cabalette e Misere, riescono ben armonizzati il terzetto della prima parte e il grande concertato della seconda. Qualche incertezza si registra inoltre nel quadro iniziale da parte del Coro del Teatro Goldoni, diretto da Maurizio Preziosi. Ben amalgamata invece la Canzone delle Incudini, anche se poco trascinante, e realizzati con trasparenza gli interventi a Castellor e con vivacità quello della pira.

Applausi per tutti i cantanti, il direttore, il coro e l’orchestra. Consensi anche per la regia e particolari tributi a Desole.

IL TROVATORE
Dramma lirico in quattro parti su libretto di Salvatore Cammarano
tratto dal dramma El Trovador di Antonio Garcia Gutiérrez
Musica di Giuseppe Verdi

Il Conte di Luna Min Kim
Leonora Claire de Monteil
Azucena Victória Pitts
Manrico Matteo Desole
Ferrando Yonghen Dong
Ines Samantha Sapienza
Ruiz Vincenzo Maria Sarinelli
Un vecchio zingaro Luis Javier Jimenez

Direttore Giovanni Di Stefano
Regia e costumi Stefano MontiAssistente alla regia Tony Contartese
Scene Stefano Monti, Allegra Bernacchioni
Luci Fiammetta Baldiserri
Ombre Teatro Gioco Vita

Orchestra e Coro del Teatro Goldoni
Maestro del coro Maurizio Preziosi

Foto: A.Bizzi