Turandot – Teatro Massimo Bellini, Catania
All’insegna della magnificenza, della grandiosità e dello splendore Turandot di Giacomo Puccini inaugura ufficialmente la stagione di Opere e Balletti 2024 al Teatro Massimo Bellini di Catania. Come in uno straordinario gioco di scatole cinesi il numeroso pubblico ha il privilegio di partecipare a tre importanti eventi contemporaneamente: l’apertura del cartellone operistico etneo con una scelta che dà anche l’avvio alle celebrazioni pucciniane, nel centenario dalla morte del grandissimo musicista, mettendo in scena per la prima volta sul palcoscenico del Bellini la Turandot, capolavoro postumo in tre atti, con il finale alternativo composto da Luciano Berio nel 2001. La regia affidata all’eclettico Alfonso Signorini riadatta la policroma mise en scène del 2017 coprodotta con il Teatro Nazionale Geogiano di Tblisi in occasione del Festival Puccini di Torre del Lago. Sul podio ritroviamo l’autorevole bacchetta del maestro tedesco Eckehard Stier, ormai di casa a Catania in qualità di direttore ospite principale. Il cast vocale è di assoluto prestigio, con il soprano Daniela Schillaci nel title role, il tenore Angelo Villari nei panni del principe ignoto Calaf, il soprano Elisa Balbo interprete di Liù, il basso George Andguladze che dà voce al vecchio Timur.
Dramma lirico in tre atti e cinque quadri su libretto di Giuseppe Adami e Renato Simoni, Turandot è l’ultimo titolo del catalogo operistico di Giacomo Puccini che lasciò incompiuta la partitura al sopraggiungere della sua morte il 29 novembre 1924. Il debutto al Teatro alla Scala di Milano il 25 aprile 1926 rimane memorabile perché il direttore d’orchestra, Arturo Toscanini, giunto alla scena della morte di Liù, interruppe l’esecuzione e, rivolgendosi al pubblico, pronunciò la famosa frase «Qui il maestro è morto!». Eppure lo stesso Toscanini, alla scomparsa di Puccini, aveva approvato la decisione dell’editore Ricordi di affidare il completamento dell’opera al musicista Franco Alfano, il quale lavorò sugli appunti lasciati dal maestro lucchese per comporre il finale, che tuttavia fu oggetto di tagli da parte di Toscanini.
Rispetto alle due versioni (quella autentica più ampia e quella con i tagli) firmate da Alfano, la scelta registica di Signorini di rappresentare il nuovo finale composto da Luciano Berio risulta a nostro parere estremamente interessante per diverse ragioni. In primo luogo perché ci consegna un allestimento che rivela pienamente la complessità dell’opera, la lunga e travagliata gestazione intrapresa da Puccini nel 1920 e durata fino alla fine della sua vita. Nelle opere precedenti il compositore non aveva mai suggellato con un lieto fine le vicende amorose delle proprie protagoniste, tutte straziate da amori impossibili.
Con Turandot egli è consapevole di voler andare verso una nuova direzione, immaginando per la prima volta una situazione di amore che oltrepassa i limiti dell’esistenza (significativa l’annotazione “Tristano” sugli appunti pucciniani in merito alle parole del cosiddetto “Duetto dello sgelamento”, un chiaro richiamo a Wagner) e che esulta in un inedito lieto fine, espresso in uno stile aperto ai più evoluti modelli europei, al gusto per l’elemento esotico con l’introduzione all’interno della partitura di tipiche armonie orientali in scale pentatoniche. Dopo circa 80 anni dalla stesura pucciniana, lavorando anche lui come aveva fatto Alfano sulle 36 pagine di appunti del maestro toscano, Luciano Berio, – uno dei maggiori compositori italiani del Novecento – compone un finale di 16 minuti rispettoso delle indicazioni musicali pucciniane, ma trattato secondo uno stile personale proprio di un musicista del ventesimo secolo che segue ricche suggestioni armoniche per giungere ad un risultato di grande umanità, introspezione e incanto.
Una delle caratteristiche che rendono maggiormente coinvolgente, trascinante ed avvincente la regia di Signorini è il suo rispetto della partitura pucciniana con spirito di servizio alla musica, la sua fedeltà alle indicazioni drammaturgiche del compositore, egli stesso uomo di spettacolo che amava e conosceva le leggi del palcoscenico. Le magnifiche, sfolgoranti scene di Carla Tolomeo e gli splendidi, fastosi costumi di Fausto Puglisi, entrambi ripresi da Leila Fteita, costituiscono intensi, espressivi tratti visivi di un allestimento scenografico che il regista, coadiuvato dagli assistenti Anna Aiello e Paolo Vitale, ha riadattato alle esigenze del palcoscenico del Bellini, un teatro dalla lunga, fulgida e prestigiosa storia, dove tutto è molto più intimo e raccolto con un effetto positivo anche sulla narrazione. Molto suggestiva anche la scelta di trasformare l’intera sala del Sada in spazio scenico con l’emozionante sfilata tra il pubblico dei piccoli coristi del Coro interscolastico di voci bianche Vincenzo Bellini diretto da Daniela Giambra: bianche le voci, bianche le tuniche che vestono i giovani corpi, bianca la luce delle piccole lune che stringono tra le mani, il tutto come un candido fiume luminoso che accompagna chi ascolta dentro alla fiaba musicale. Una regia classica, lineare, rispettosa della tradizione che ci offre un meraviglioso viaggio artistico che diventa esplorazione interiore.
Un plauso speciale merita la direzione del maestro concertatore Eckehard Stier, il cui gesto è talvolta lieve come una carezza malinconica ma sempre molto puntuale, rigoroso, esatto; lo osserviamo con ammirazione dal nostro palco di primo ordine guidare generosamente e con equilibrio il corposo organico orchestrale che ha perfettamente eseguito il ricco impianto musicale dell’opera, con i grandi affreschi corali, gli assolo e i dialoghi ispirati armonizzando le varie componenti strumentali arricchite da un grandioso apparato percussivo esotico. Impeccabile anche l’esecuzione dell’elaborata ed elegante tavolozza sonora del finale di Berio.
Tutti gli interpreti del prestigioso cast hanno dato un fondamentale contributo alla creazione di un’opera di vibrante bellezza ed impatto emotivo, con un ruolo centrale per i personaggi femminili, Turandot e Liù. Al centro della storia c’è la gelida principessa Turandot, interpretata dalla bravissima Daniela Schillaci che, con la sua voce superba, tagliente e affilata come una lama, ha incarnato la donna inizialmente algida e spietata, che vive ingabbiata nelle sue frustrazioni, nelle sue paure, nei brutti ricordi e negli incubi, nel dolore e nella rabbia, nell’inesausta sete di vendetta, ma che alla fine riesce ad emanciparsi da un passato così greve e grazie alla forza dell’amore si abbandona alla bellezza della vita. Il soprano ha mostrato notevoli doti vocali ed interpretative nell’affrontare un ruolo molto impegnativo, consolidando il suo legame con il teatro catanese e con il pubblico che la ama. Colpisce la corrispondenza simbolica tra la trasformazione interiore di Turandot ed il cambiamento nei cromatismi e nelle luci sulla scena: i rossi accesi e le policromie del tempo della furia e della collera lasciano il posto al candore della lunga veste bianca della donna che finalmente cede allo stupore dell’amore e si scioglie come neve al sole.
L’altra donna che ha in mano il fulcro risolutivo per mutare il corso del destino e segretamente ama fino all’estremo sacrificio della sua vita è Liù, una struggente, delicatissima Elisa Balbo che canta con il cuore e con le viscere regalandoci una prova sublime, sorprendente.
Il Calaf di Angelo Villari, tenore dotato di una vocalità duttile e matura e di ampio fraseggio, ci sembra molto convincente. Il suo Nessun dorma! cantato da attore drammatico richiama convinti e meritati applausi a scena aperta. Positiva anche l’interpretazione di George Andguladze, un Timur dalla voce grave e possente, Tiziano Rosati, un mandarino e Mario Bolognesi nel ruolo dell’imperatore Altoum.
Una menzione a parte merita il trio dei ministri Ping, Vincenzo Taormina, Pang, Saverio Pugliese, e Pong, Blagoj Nacoski, ben armonizzati nell’esecuzione di episodi comico-decorativi-grotteschi che delineano la loro funzione di maschere.
Al termine della recita abbiamo la sensazione di aver fatto un viaggio tra l’onirico e il reale, di esser stati anche noi partecipi dell’eterna lotta tra Amore e Morte e di poter trovare dentro di noi nuove risposte agli enigmi che la vita ci presenta. Uno spettacolo perfetto che il pubblico ha molto apprezzato.
Foto Giacomo Orlando