Les Contes d’Hoffmann – Teatro La Fenice, Venezia
Al Teatro La Fenice di Venezia la stagione operistica si apre con Les Contes d’Hoffmann.
“Non si ricordano i giorni, si ricordano gli attimi.” Scriveva Cesare Pavese, questa frase sembra calzare perfettamente alle vicissitudini raccontate da Hoffmann, il poeta protagonista dell’opera di Jacques Hoffenbach. Un viaggio nella mente del protagonista, nei suoi amori, nel suo narrare, vero o falso che sia. Questa splendida coproduzione fra la Fenice, Opera Australia, Royal Opera House Covent Garden Foundation e Opera National de Lyon è affidata al genio di Damiano Michieletto. Il regista ci trasporta in un mondo onirico, proteiforme e fantastico ma concretissimo al tempo stesso. Uno spazio atemporale dove si materializzano i ricordi di Hoffmann, tinti di bianco nell’ età scolare quando si innamora dell’automa Olympia, poi di rosa con le fragile Antonia e infine di rosso per la conturbante Giulietta. Una scena, quella di Paolo Fantin potenzialmente semplice, costituta per lo più da due pareti, in cui si aprono porte, finestre, passaggi di idee continue, simboli e piccoli frammenti di vita che sono poi l’essenza del ricordo. Quella di Michieletto e dei suoi collaboratori è una lezione assoluta sul fare teatro, sulla capacità di stupire il pubblico anche con piccole trovate intelligenti, non necessariamente con mezzi altisonanti. Una dimostrazione di come si debbano muovere le masse, anche grazie alle belle coreografie di Chiara Vecchi, e come si possa arrivare ad avere cura di ogni minimo particolare che compare sulla scena. Una produzione che sa stupire il pubblico e riesce declinare alla contemporaneità l’opera fantastica di Hoffenbach. Un plauso a questa genialissima produzione che si completa con i numerosi costumi di Carla Teti che spaziano dalla semplice contemporaneità alla assurda fantasia ad esempio per Nicklausse. Semplicemente perfette risultano anche le luci di Alessandro Carletti.
Di ottimo livello anche il versante musicale dello spettacolo.
Ivan Ayon Rivas affronta il lungo e complesso ruolo di Hoffmann e si rende protagonista di una prova che convince senza riserve. Sotto il mero aspetto vocale, il tenore si fa apprezzare per la brillantezza di una vocalità squillante e ben proiettata. A ciò si aggiunga la ricerca di un fraseggio sempre sfumato ed appassionato, grazie al quale il tenore riesce a sottolineare al meglio le pulsioni e i turbamenti del personaggio. Sempre partecipe, infine, la presenza scenica, in ottima simbiosi con il progetto registico di Michieletto.
Autentico trionfatore della serata è Alex Esposito, interprete dei ruoli malefici, ovvero Lindorf, Coppélius, docteur Miracle e Dapertutto. Il basso bergamasco possiede un mezzo di puro velluto che si mantiene morbido e compatto in tutti i registri. Il costante controllo del canto, così come l’assoluto dominio tecnico, consentono ad Esposito di passare con disinvoltura da un personaggio all’altro rimarcando l’opportuna e differente caratterizzazione vocale di ciascun ruolo. Se l’esecutore è di alto livello, poi, l’interprete è inarrivabile per il carisma scenico e per l’efficacia di un accento ficcante e luciferino quanto basta.
In questa produzione, i tre ruoli femminili vengono affidati ad altrettante diverse interpreti.
Rocío Pérez presta ad Olympia tutta la freschezza di una linea melodiosa e ben timbrata che si prodiga, con notevole facilità , nelle numerose peripezie vocali previste dalla scrittura. Di irresistibile simpatia la presenza scenica.
Carmela Remigio disegna una Antonia commovente e palpitante. Il soprano si apprezza, anche in questa occasione, per una vocalità compatta e condotta con misurata compostezza in tutti i registri. Da sottolineare la naturale espressività conferita ad ogni accento, grazie ad un fraseggio di grande modernità. Ricercata e accurata la gestualità, rifinita con spontaneità e verità teatrale.
Véronique Gens, con il suo peculiare timbro screziato, è una Giulietta sensuale ed aristocratica nel canto come nelle movenze. Il soprano, è protagonista, tra l’altro, della esecuzione della celebre “barcarolle”, impreziosita dal piacevole amalgama con la vocalità di Nicklausse.
Quest’ultimo, è qui interpretato da una bravissima Giuseppina Bridelli che convince per la precisione esecutiva e la vaporosità di un canto ben proiettato, specialmente nei momenti di maggiore espansione lirica. Spigliata la presenza scenica, avvalorata dall’istrionico costume di scena che la trasforma in una sorta di variopinto pappagallo.
Note positive per Didier Pieri che, con una linea luminosa e ben tornita, è chiamato a dare vita ai personaggi di Andrés, Cochenille, Frantz e Pitichinaccio. Il tenore si mostra a proprio agio nell’assolvere alle richieste dell’autore e riesce a caratterizzare al meglio ciascuno dei suoi personaggi, spiccando, in particolare, nei panni di Frantz, qui presentato come un maestro di ballo schernito dalle marachelle delle sue giovani allieve.
Paola Gardina, La Muse, risulta vocalmente incisiva e scenicamente graffiante.
Ironico e spassoso lo Spalazani di François Piolino, così come coinvolgente è la prova di Francesco Milanese, che si misura, con il giusto impegno, nel duplice ruolo di Luther e Crespel.
Di buon livello la prova di Yoann Dubruque nella duplice veste di Hermann/Schlemill.
Completano la locandina il puntuale Christian Collia, Nathanaël e l’affidabile Federica Giansanti, la voce della madre di Antonia.
Sul podio troviamo il Maestro Frédéric Chaslin che, dopo avere diretto questa opera in oltre trenta produzioni, può essere considerato a buon diritto uno specialista del titolo. In questa occasione viene eseguita una versione che di fatto corrisponde in larga parte a quella di Ernest Guiraud con alcuni interventi dell’edizione critica di Fritz Oeser. Chaslin conduce il racconto musicale con fermezza ed assicura una buona tenuta del rapporto tra buca e palcoscenico. Al netto di una certa predilezione per le sonorità energiche, la prova del direttore risulta piuttosto convincente pur muovendosi nel solco di una certa tradizione che saltuariamente lascia trapelare guizzi interpretativi. Ed è un peccato se si pensa che in buca troviamo la compagine dell’Orchestra del Teatro La Fenice, qui in ottima forma, protagonista di una prova di esemplare precisione e raffinatezza esecutiva.
Ottimo l‘apporto del Coro del Teatro La Fenice di Venezia, guidato da Alfonso Caiani, coeso e compatto nel dare vita, con la giusta brillantezza ad ogni intervento. Da sottolineare, inoltre, la totale immedesimazione scenica.
Una splendida serata di musica, coronata da un vivissimo successo per tutta la compagnia e direttore.
LES CONTES D’HOFFMANN
Opera fantastica in un prologo, tre atti e un epilogo
Libretto di Jules Barbier
Musica di Jacques Offenbach
Hoffmann Ivan Ayon Rivas
La Muse Paola Gardina
Nicklausse Giuseppina Bridelli
Lindorf, Coppélius, Le docteur Miracle, Dapertutto Alex Esposito
Andrès, Cochenille, Frantz, Pitichinaccio Didier Pieri
Olympia Rocío Pérez
Antonia Carmela Remigio
Giulietta Veronique Gens
La Voix Federica Giansanti
Nathanaël Christian Collia
Spalanzani François Piolino
Hermann/Schlemill Yoann Dubruque
Luther, Crespel Francesco Milanese
Orchestra e Coro del Teatro La Fenice
direttore Frédéric Chaslin
maestro del Coro Alfonso Caiani
regia Damiano Michieletto
scene Paolo Fantin
costumi Carla Teti
luci Alessandro Carletti
coreografia Chiara Vecchi
Foto: Michele Crosera