Lucie de Lammermoor – Donizetti Opera 2023, Bergamo
Il Festival Donizetti Opera di Bergamo prosegue, nel secondo appuntamento, con una nuova produzione di Lucie de Lammermoor, versione francese dell’immortale capolavoro donizettiano.
Siamo nel 1839: a Parigi, Lucia di Lammermoor è ormai in cartellone da due anni al Théâtre des Italiens ma Gaetano Donizetti decide di crearne una versione in lingua francese per il piccolo Théâtre de la Reinassence. Le principali differenze consistono in un libretto tradotto e semplificato e nella presenza della cavatina in primo atto, tratta dalla Rosmonda d’Inghilterra, che sostituisce quella usuale. Scompaiono inoltre i personaggi di Alisa e Normanno sostituiti dal solo perfido Gilbert. Una revisione dell’originale che il critico Elvio Giudici ritiene riuscita per una “ (…) migliore modellatura della vicenda, che acquista parecchio sia in comprensione sia in logica di sviluppo pur sfumando parecchie fisionomie la cui sgradevolezza sarebbe invece importante snodo drammaturgico”.
Una riscrittura in un certo senso più minimalista e claustrofobica in cui la protagonista resta la sola presenza femminile. Inevitabilmente si viene ad accentuare quel senso di oppressione maschile che l’opera ha sempre raccontato. Per uno strano gioco del destino succcede poi che la prima bergamasca venga a cadere proprio nel giorno del ritrovamento del corpo di Giulia Cecchettin, a cui lo spettacolo è stato giustamente dedicato, in apertura, da un commosso Francesco Micheli, direttore del Festival Donizetti. L’opera va giustamente in scena nel piccolo e raccolto Teatro Sociale di Bergamo Alta, seguendo l’originale pensiero del compositore a monte di questa revisione. Jacopo Spirei, che cura la regia dello spettacolo, ambienta l’intera vicenda in una foresta abitata da cacciatori che diventano però in questa lettura un branco di stupratori. Un mondo privo di umanità, dove predominano toni umbratili e un sempre presente senso di inquietudine. Le scene di Mauro Tinti sono semplici, costituite da pannelli dipinti con alberi, sul palco domina un grande tronco spoglio. Una scelta perfettamente adeguate al minimalismo dello spettacolo, così come lo sono le tenui ed ispirate luci di Giuseppe di Iorio. Contemporanei e non prevaricanti i costumi di Agnese Rabatti. Particolarmente toccante la scena finale, che vede l’aria finale di Edgard cantata sullo sfondo di un angolo di bosco in degrado con una carcassa di un’ auto e i cadaveri delle donne stuprate e uccise dal branco. Una regia che potenzia il messaggio già insito nella Lucia e lo rende dolorosamente attuale, ancora di più se si pensa alla tragica coincidenza verificatasi proprio questo 18 novembre.
Non convince invece completamente il versante musicale dello spettacolo, pur con alcuni distinguo.
Poco prima dell’inizio Francesco Micheli, annuncia che, nonostante l’indisposizione che l’ha colpita, Caterina Sala avrebbe comunque sostenuto la recita. Il soprano, come dichiarato poi dallo stesso Micheli, teneva particolarmente a questo debutto, cui è arrivata dopo una preparazione di due anni. Al suo apparire in scena in primo atto, al netto di una palpabile quanto inevitabile emozione, colpisce la bellezza di una vocalità importante e ben sfogata, dotata di buona musicalità e di naturale espressività. Nella versione francese la cavatina di Lucia “Regnava nel silenzio” è sostituita dall’aria “Que n’avons nous des ailes” da Rosmonda d’Inghilterra che Sala affronta, data la preannunciata indisposizione, con una buona tenuta del legato e del canto sul fiato. Nonostante l’innegabile impegno profuso, nella successiva cabaletta si coglie una oggettiva difficoltà esecutiva che rende ancora più palese la condizione non ottimale in cui versa l’artista. Le cose vanno meglio nel secondo atto dove lo strumento sembra recuperare maggiore duttilità e forza. Al termine di un intervallo, prolungato rispetto al previsto, Micheli interviene nuovamente per annunciare che Caterina Sala non avrebbe portato a termine la recita pur rimanendo sulla scena per mimare la parte. Si è trattato di un debutto nato, forse, sotto i non migliori auspici, ma siamo conviti che il soprano abbia molto da dire in questo ruolo e che, con ogni probabilità, potrebbe proporre una lettura che, tanto sotto il profilo vocale quanto sotto quello interpretativo, possa dare ampie soddisfazioni. Auguriamo dunque all’artista una pronta guarigione per le prossime recite dello spettacolo.
Se, come accennato poco sopra, la prevista titolare del ruolo rimane in scena per interagire, per altro con un notevole carisma, con gli altri personaggi della vicenda, l’esecuzione vocale della parte è affidata al soprano Vittoriana De Amicis, presente in proscenio con tanto di leggio. Dato lo scarsissimo preavviso, De Amicis adempie a tutte le richieste della complessa scrittura donizettiana con buoni risultati. La voce, dal colore chiaro e cristallino, sale al registro superiore con facilità e, pur non risultando troppo voluminosa, gode di buona proiezione. Una prova accolta positivamente dal pubblico che, nonostante una imprecisione nella chiusura della cabaletta finale, ha ben compreso la situazione d’emergenza.
Patrick Kabongo presta ad Edgard Ravenswood una vocalità leggera e delicata, corretta e precisa nella esecuzione. La linea è piuttosto musicale, pur limitata nella proiezione. Una prova che difetta, tuttavia, di nerbo e alla quale si sarebbe richiesto un maggiore trasporto emotivo ed una più accurata incisività nel fraseggio.
Brilla, al contrario, la prova di Vito Priante. Il baritono si rende protagonista di una esecuzione di alto rango per l’eleganza dell’emissione, la morbidezza del cantabile e la rotondità dei centri. Interessante la lettura interpretativa di questo Henri Ashton che, pur non discostandosi dalla sua indole di bieco opportunismo, sembra comunque trovare anche momentanei spiragli di pietosa comprensione per la sorella.
Graditissima sorpresa della serata è la scoperta, nel ruolo di Arthur Buckhaw, del tenore Julien Henric la cui vocalità, dal timbro solare e ben proiettato, svetta in acuto con baldanzosa sicurezza. Da sottolineare, inoltre, la statuaria presenza scenica, tale da mettere in risalto ancora di più il personaggio per il quale sono previsti, rispetto alla versione italiana, alcuni interventi anche in primo atto.
Interessante la caratterizzazione di Gilbert da parte del bravo David Astorga, vocalmente incisivo e interpretativamente insinuante nell’ esprimere al meglio la natura subdola del personaggio.
Completa la locandina, il Raimond vibrante e scenicamente coinvolgente di Roberto Lorenzi. Rispetto alla versione italiana, tra l’altro, quella di Raimond è una parte più concisa (manca, infatti, la scena tra Lucia e Raimondo che nella versione italiana si colloca subito dopo il duetto la protagonista ed Enrico in secondo atto).
Sul podio, il Maestro Pierre Dumoussaud offre una prova a tratti discontinua e che, in assenza delle giuste sfumature, si rivela piatta e poco personale. Raramente si colgono, infatti, i grandi abbandoni romantici di cui è costellata la partitura così come non si rinviene traccia dei turbamenti emotivi della protagonista.
Una tale concertazione offre, dunque, pochi stimoli al palco così come difficoltoso sembra il dialogo con la compagine della Orchestra Gli Originali la cui prova è dissipata di imprecisioni e sbavature.
Note decisamente più positive, al contrario, per il Coro dell’Accademia del Teatro alla Scala che, sotto la encomiabile guida di Salvo Sgrò, sigla una prova brillante e stilisticamente appropriata.
La serata si conclude con accoglienze cordiali a tutto il cast e direttore con punte di maggiore entusiasmo all’avanzare verso il proscenio delle “due” Lucie. Qualche (a nostro giudizio immeritata) contestazione per il team registico.
Marco Faverzani | Giorgio Panigati
26 novembre 2023. Esecuzione tanto attesa quella “dell’altra Lucia” che lascia però un poco di amaro in bocca a partire dallo spettacolo non troppo convincente di Jacopo Spirei. L’allestimento è gradevole, ma il suo voler raccontare la violenza fisica degli uomini sulle donne, spingendosi oltre la vicenda originale di violenza psicologica, seppur molto interessante è poco sviluppata e la sensazione è quella di avere lanciato un paio di bombe sull’introduzione e sul finale per poi non lasciare divampare l’incendio nel resto dell’opera, che dunque risulta un poco noiosa.
Sul versante musicale la lettura di Pierre Dumoussaud è aderente alla partitura originale, qui ancor più sottolineata dalla presenza dell’Orchestra Gli Originali e permette al pubblico di poter ascoltare dei suoni ripuliti dalla tradizione. Ottimo il Coro dell’Accademia Teatro alla Scala guidato da Salvo Sgrò.
Caterina Sala è una Lucie alterna, che appare non troppo adatta alla tinta drammatica del ruolo, tanto poi da metterla in difficoltà in certi passaggi virtuosistici, pur possedendo una bella voce luminosa e che in altro repertorio potrebbe certamente dare il meglio di sé. Lo stesso vale per l’Edgard di Patrick Kabongo, troppo leggero per dare spessore a un simile personaggio, pur cantando impeccabilmente ogni pagina. Decisamente meglio per l’Henri di Vito Priante, elegante e abile fraseggiatore, anche se si sarebbe preferito un uso dell’accento un poco più accattivante.
Eccellente Roberto Lorenzi nella troppo breve parte di Raimond. Molto bene per l’Arthur di Julien Henric e il Gilbert di David Astorga.
William Fratti | Fabienne Winkler
Lucie de Lammermoor
Opéra en trois actes di Alphonse Royer e Gustave Vaëz
Musica di Gaetano Donizetti
Henri Ashton Vito Priante
Edgard Ravenswood Patrick Kabongo
Lord Arthur Bucklaw Julien Henric
Gilbert David Astorga
Raimond Roberto Lorenzi
Lucie Caterina Sala
Direttore Pierre Dumoussaud
Regia Jacopo Spirei
Scene Mauro Tinti
Costumi Agnese Rabatti
Light designer Giuseppe Di Iorio
Assistente alla regia Alessandro Pasini
Orchestra Gli Originali
Coro dell’Accademia Teatro alla Scala
Maestro del Coro Salvo Sgrò
FOTO: Gianfranco Rota