Lakmé – Opéra Nice Côte d’Azur, Nizza
Lakmè, il capolavoro di Léo Delibes, inaugura con grande successo la nuova stagione dell’Opéra di Nizza nella produzione coprodotta con l’Opéra-Comique di Parigi e l’Opéra national du Rhin.
“Scrivere è viaggiare senza la seccatura dei bagagli” diceva Emilio Salgari, maestro di quella evocazione esotica tipica di fine ottocento e se, nel 1883, usciva il suo primo famosissimo romanzo, Le tigri della Malesia, parallelamente in Francia, propio nel 1883 Léo Delibes finiva la stesura musicale di Lakmé, il suo capolavoro musicale giocato sul fascino dell’India. Oggi l’opera di Nizza decide di ridare luce a questa meravigliosa partitura, troppo poco rappresentata, e lo fa affidando il progetto artistico al noto regista parigino Laurent Pelly (regia qui ripresa da Luc Birraux).
Ed in questo specifico caso, i bagagli che abbandoniamo sono quelli di una certa retorica e di una rappresentazione stereotipata e ottocentesca dell’oriente. Il sipario si apre su un mondo di carta, costituito da tante quinte, ci troviamo sicuramente ad est ma in un mondo non necessariamente definibile come India. Siamo nelle pagine di un racconto, di una leggenda forse, tutta ricreata con i modi teatrali dell’estremo oriente: riconosciamo il tipico trucco del teatro kabuki giapponese, ma anche il teatro delle ombre, originario di Indonesia e Thailandia che irrompe in scena raccontando la meravigliosa e celeberrima Aria delle campanelle. Più che un viaggio in oriente, un omaggio al fare teatro dell’Asia, un racconto riuscitissimo e sempre garbato. Il merito va anche alla coloritura neutra scelte per la scena di Camille Dugas, alle luci non prevaricanti di Joël Adams e ai costumi semplici ma efficaci a cura dello stesso regista. Da una parte vediamo semplici tuniche per la popolazione indiana, probabilmente ispirate al Butō, alternate a severi e volutamente dissonanti abiti del Novecento, per gli inglesi, atti a sancire l’estraneità occidentale all’arte orientale. Particolare attenzione è poi data ai singoli personaggi e, soprattutto, al rapporto padre figlia: se Lakmé è una sorta di divinità incarnata che entra in scena con le fattezze di una statua di Shiva, nel corso dell’ opera mostra anche il suo lato più autentico e selvaggio. Suo padre Nilakanta è invece un facinoroso induista che porta in giro la figlia intrappolata in una gabbia, negandole ogni minima libertà. Un allestimento splendido, insomma, curatissimo, e che ci ha incantato ed affascinato.
Più di una soddisfazione giunge anche dal versante musicale dello spettacolo.
Nel ruolo della protagonista troviamo Kathryn Lewek, in possesso di una vocalità corposa che colpisce, ad un primo ascolto, per il caratteristico colore screziato. Il soprano americano, al suo debutto nel ruolo di Lakmè, mette in evidenza una organizzazione vocale complessiva che si impone per omogeneità e morbidezza. Si segnala, in particolare, la capacità di modulare il suono che si risolve, in più di una occasione, in filati di adamantina purezza. Lewek presenta, poi, una grande familiarità con il canto di coloratura, come dimostrato nella celeberrima “aria delle campanelle”, esaltata grazie alla precisione e alla proiezione dei numerosi picchiettati, sempre timbrati e ben appoggiati. Di assoluto rilievo è, inoltre, lo squillo del registro superiore che sale con facilità di penetrazione in regione sovracuta. La prova del soprano, tuttavia, non si risolve esclusivamente in una ottima esecuzione dal punto di vista vocale, ma viene, anzi, esaltata, dalla sensibilità e varietà del fraseggio. Il soprano risulta, infatti, interprete coinvolgente ed appassionata, in grado di sottolineare, con la giusta incisività ed immediatezza, l’evoluzione emotiva della protagonista: dalla fanciullesca e virginale sacralità delle prime scene alla travolgente ed irrequieta pulsione amorosa del secondo atto, sino all’ipnotico e commovente finale.
Quello di Gérard è un ruolo piuttosto ingrato per lunghezza ed estensione. Thomas Bettinger, dotato di una linea vocale dal colore lirico e dal timbro ambrato, avrebbe tutte le carte in regola per affrontare la parte. La prestazione del tenore, tuttavia, appare discontinua a partire dalla bellissima aria di primo atto, dove si coglie una certa disomogeneità tra i registri. La prova prende quota a partire dal successivo duetto con Lakmé dove l’artista sembra acquisire maggiore controllo della gamma, oltre ad offrire una maggiore incisività nel fraseggio. Giunto all’atto conclusivo, tuttavia, torna la sensazione di una esecuzione poco rifinita che sconta qualche imprecisione di troppo, tanto nella regione centrale, quanto in quella superiore. Un’occasione tutto sommato sprecata, a fronte, tra l’altro, di una buona proprietà d’accento e della sempre convinta partecipazione scenica.
Un’ottima sorpresa è il Nilakantha di Jean-Luc Ballestra che colpisce per la sua vocalità ampia e rotonda. Il baritono francese affronta la scrittura con la giusta pertinenza stilistica, mantenendo il canto sempre sfumato e ricco di nuances. Ballestra riesce inoltre a creare un personaggio totalitario, tratteggiando un fanatico religioso intransigente ed incapace di comprendere i sentimenti della figlia. Trascinante la presenza scenica.
Brava Majdouline Zerari nel tratteggiare, con vocalità vellutata, una Mallika dagli accenti delicati e vaporosi. Il famosissimo duetto dei fiori, grazie al felice amalgama timbrico con Lewek, viene eseguito con onirica suggestione, un momento di pura magia.
Guillaume Andrieux disegna un Frédéric vocalmente corretto e scenicamente incisivo.
Lauranne Oliva dona al personaggio di Ellen lo squillo di una vocalità luminosa e l’eleganza di una presenza scenica ben tornita.
Note positive anche per la Rose di Elsa Roux Chamoux, dalla vocalità ambrata e ben sfogata. Disinvolta e credibile nelle movenze, risulta ben affiatata con la Ellen di Oliva.
Svetlana Lifar è una Mrs Bentson tratteggiata con la giusta ironia, particolarmente spassosa in secondo atto quando cerca di sfuggire all’assalto dei venditori ambulanti.
Carl Ghazarossian è un Hadji dotato di buona musicalità. Con accenti morbidi e delicati, riesce ad esprimere al meglio il proprio animo dolce e protettivo nei confronti di Lakmé.
Completano la locandina, dalle fila del coro, Emanuele Bono, un indovino, Elio Trombetta, un mercante cinese e Joan Hotensche, uno zingaro.
Dal podio, il Maestro Jacques Lacombe offre una lettura convincente del capolavoro di Léo Delibes. Il racconto musicale incede sicuro e spedito, alla costante ricerca della vera essenza del dramma. Dalla buca si levano pennellate di suono che ben rappresentano quel mondo così esotico, soprattutto per l’epoca della composizione, nel quale agiscono i protagonisti.
La direzione di Lacombe sembra prediligere una lettura della vicenda di stampo forse più espressionista che romantico ma senza dimenticare di sottolineare le numerose e splendide oasi liriche presenti in partitura. Una scelta efficace, quella del direttore, che appare perfettamente in linea con il progetto registico di Pelly.
Molto buona, per brillantezza e compattezza, la prova della Orchestre Philharmonique de Nice, che regala, tra l’altro, una esecuzione particolarmente riuscita del preludio che introduce al terzo atto. Da sottolineare, infine, il buon equilibrio tra buca e palcoscenico, adatto per assicurare un giusto supporto alle voci.
Per completezza di informazione segnaliamo il buon lavoro compiuto da Agathe Melinand sui dialoghi parlati.
Ottima la prova della compagine del Chœur de l’Opéra de Nice che, sotto la pregevole guida del Maestro Giulio Magnanini, riesce ad impreziosire ogni intervento previsto in partitura con dovizia di colori e sfumature.
Festoso successo al termine tributato a tutta la compagnia e direttore da una sala pressoché esaurita in ogni ordine di posto. Trionfo per la protagonista. Piccolo appunto: durante l’aria dei campanelli spiace rilevare lo scoppio di applausi completamente fuori luogo che, se da una parte possono sembrare un segnale di particolare apprezzamento nei confronti dell’esecutore, dall’altra rischiano di spezzare la tensione drammaturgica del momento, oltre che distrarre inutilmente pubblico ed artisti.
Marco Faverzani – Giorgio Panigati
Lakmé di Leo Delibes deve indubbiamente la sua fama al Duetto dei Fiori e all’Aria delle Campanelle ed è grazie al fascino di queste pagine che è entrata stabilmente nel repertorio francese. In Italia resta tuttavia un’opera assai poco se non per nulla rappresentata, mentre è proprio con questo titolo che l’Opera di Nizza ha inaugurato la stagione 2023-2024. Un allestimento raffinato, ricco di suggestioni e di significati, che ci conduce a riscoprire il ruolo, e perfino l’attualità, di un certo esotismo ottocentesco e a riconsiderare questa partitura ben al di là dei due brani celeberrimi. Lakmè ci si presenta come un’opera varia nelle forme e ricchissima di colori ma al contempo fortemente unitaria, con una struttura rigorosa e perfino simmetrica nell’alternanza dei suoi numeri. Oltre ai due pezzi sopra citati, sono di grande bellezza anche le altre arie della protagonista, quelle del tenore e i duetti, il tutto tenuto saldamente insieme da una costruzione concisa e compatta.
In merito appunto alla scrittura musicale, la lettura che ci offre Jacques Lacombe, alla guida dell’Orchestre Philharmonique de Nice, è analitica e minuziosa, con una resa dei cromatismi di chiaro gusto transalpino ed un’ampiezza delle strutture melodiche che rimanda però all’opera italiana. L’attacco è dinamico e brillante, seguito da un espressivo rallentamento e da un terzo momento di spiccata cantabilità, pur mancando un po’ di tensione sia al preludio che alla scena iniziale. Di levigata seduzione l’arrivo di Lakmè e il Duetto dei Fiori, nella morbidezza degli archi e nella delicatezza delle sfumature, mentre il quintetto degli inglesi crea invece un intermezzo concitato e spumeggiante. Tutto il secondo atto è realizzato con estremo vigore e drammaticità, con battute marcate e colori scuri e decisi. Momento di preziose sonorità è l’introduzione al terzo atto, con un impiego garbato e sapiente delle percussioni che nulla concede alla dismisura e ad un eccessivo esotismo; nel finale, come già nei precedenti duetti, viene dato ampio respiro alle arcate melodiche, realizzando così un fragile equilibrio tra violenza e tenerezza.
Inoltre Lacombe, con un gesto chiaro e misurato, dà in ogni sequenza un sostegno fermo e puntuale ai cantanti e dimostra di essere in buona sintonia con l’orchestra e con il Chœur de l’Opéra de Nice Côte d’Azur. Quest’ultimo, diretto da Giulio Magnanini, è composto e sfumato nel principio e più massiccio, quasi violento, nella conclusione del primo atto. Di grande vivacità e ricchezza cromatica l’intervento che apre l’atto successivo, organizzato con eleganza nella sua varietà polifonica. Parentesi cupa e sinistra è il coro maschile intorno a Nilakantha e potente ed evocativo quello nel secondo finale, con un suono compatto che si allarga in progressione. Ritornano infine delicati e suggestivi gli interventi al terzo atto.
Ben assortito e nel complesso affiatato il cast vocale, da cui spicca con assoluta preminenza Kathryn Lewek che incarna una Lakmè complessa ed originale, dove coesistono la grazia e la forza, il virtuosismo e l’espressività. Voce scura ed omogenea, estesa e di buon volume, è triste e delicata al suo apparire, poi da subito drammatica nel dialogo con il padre, soave nel Duetto dei Fiori, con lunghi fiati ed una sicura tenuta delle note. Ha un piglio perentorio e appassionato nel duetto con Gérard, con un’emissione che diviene più densa. Dolentissima e straziante nell’attacco dell’Aria delle Campanelle con vocalizzi sbalzati e definiti, prosegue la ballata in una grande varietà di articolazioni: ora disperata ora luminosa, rende efficacemente l’idea di chi comincia a cantare contro voglia per poi liberare tutta l’ energia ed abbandonarsi alla pura bellezza del suono. Un’esecuzione di altissimo livello dunque, disturbata purtroppo da numerosi ed inopportuni applausi, che non hanno tuttavia impedito alla Lewek di mantenere l’esattezza del tempo ed uno stile straordinariamente sorvegliato. Con un canto più robusto ritorna intensamente drammatica nel duetto che segue con l’amato e rende con solennità e delicatezza l’atto conclusivo, fino all’estrema battuta scandita con una dolcissima tragicità.
Di notevole rilievo anche l’interpretazione di Jean-Luc Ballestra nel ruolo di Nilikantha. Voce ricca e profonda, con un fraseggio complesso conferisce al personaggio un carattere arcaico e magnetico, delineando una figura che esprime la sacralità della legge e la terribilità del Divino. Per lo più ieratico ed inquietante, talora con accenti violenti, effonde nell’aria del secondo atto un senso di paterna dolcezza, con melodie distese e luminose.
Thomas Bettinger è un Gérard dalla linea nobile rigorosa ma con acuti non sempre ben proiettati e volumi altalenanti. Dà poco respiro alla cantabilità delle arie, risultando invece più scolpito e appassionato nei duetti con Lakmè. Oscilla anche nel terzo atto, con un inizio poco rifinito ed un finale più drammatico e incisivo.
Mallika è interpretata da Majdouline Zerari, vocalità morbida e consistente che sa declinarsi in fioriture leggiadre come farsi più spessa e traboccante di pathos.
Accorato e toccante Hadjou di Carl Ghazarossian, con un canto punteggiato da pause ed accenti.
Ha un ampio fraseggio Guillaume Andrieux nel ruolo di Frédéric, pur con certe parti poco levigate.Accurata e squillante la Ellen di Lauranne Oliva, con frasi melodiche e trasparenti; agile e sicura la Mrs Bentson di Svetlana Lifar , ben modulata la Rose di Elsa Roux Chamoux. Resi con efficacia anche il Mercante di Elio Trombetta, il Domben di Emanuele Bono e il Kouravar di Joan Hotensche.
La regia di Laurent Pelly, ripresa da Luc Birraux, plasma un mondo magico e sospeso, dove l’incanto coesiste con il conflitto e dove in forme stilizzate si addensa una molteplicità di culture differenti. In linguaggio contemporaneo, viene recuperato il filone romantico e decadente che già guarda alle atmosfere del “Passaggio in India” e l’epilogo tragico dell’amore tra Gérard e Lakmé ripropone il tema dell’impossibile unione tra Oriente e Occidente e perfino quello tra mistero e razionalità. La scelta degli abiti, come la scansione dei quadri, riflette questa contrapposizione: chiari e orientaleggianti i costumi degli indiani, scuri e nella foggia tardo coloniale quelli degli inglesi, e una qualche contaminazione pare possibile soltanto al secondo atto nel turbinio delle folle al mercato. La scena si apre in una sorta di caverna, serie di fenditure nella roccia, massicce ma fragili perché di carta, squarcio su di un mondo primitivo ed ignoto, dove Nilikantha pare una figura del teatro giapponese e Lakmé è prigioniera di una gabbia, selvatica quanto sognante. Assai ben realizzato tutto il quadro nella piazza, con movimenti meticolosamente organizzati dei personaggi come delle tende alla stregua di lanterne. Di grande forza drammatica il carretto su cui viene trascinata dal padre la protagonista, nonché le ombre sul pannello che tracciano visivamente lo sviluppo dell’Aria delle Campanelle. Valido anche il gioco di Joël Adam autore delle luci che, ora bianche ora rosse, ma anche verdi e bluastre, amplificano adeguatamente i momenti più lirici e patetici.
Fragorosi consensi per l’intero spettacolo da parte di un pubblico partecipe e numeroso. Molto applauditi Ballestra e Lakombe, un vero trionfo per la Lewek.
Andrea Poli
Lakmé
Opera in tre atti
Musica di Léo Delibes
Libretto Edmond Gondinet e Philippe Gille
Lakmé Kathryn Lewek
Gérald Thomas Bettinger
Mallika Majdouline Zerari
Nilakantha Jean-Luc Ballestra
Frédéric Guillaume Andrieux
Ellen Lauranne Oliva
Rose Elsa Roux Chamoux
Mrs Bentson Svetlana Lifar
Hadji Carl Ghazarossian
Un indovino Emanuele Bono
Un mercante cinese Elio Trombetta
Uno zingaro Joan Hotensche
Orchestre Philharmonique de Nice
Direttore Jacques Lacombe
Chœur de l’Opéra de Nice
Maestro del Coro Giulio Magnanini
Regia & costumi Laurent Pelly
Ripresa da Luc Birraux
Drammaturgia Agathe Melinand
Scene Camille Dugas
Luci Joël Adam
FOTO: Opéra Nice Côte d’Azur / D. Jaussein