Otello – Teatro Petruzzelli, Bari
Prima della pausa estiva la Fondazione Teatro Petruzzelli saluta il suo pubblico con Otello di Giuseppe Verdi, la penultima opera del grande vate della lirica andata in scena il 5 febbraio del 1887 al Teatro alla Scala. Arrigo Boito, suo librettista, il quale tempo prima si era reso protagonista di un’infelice frase sull’arte italiana, gli fu fedele compagno di avventura per questa nuova e raffinata impresa. Il libretto è ricercato e impreziosito da una peculiarità stilistica propria del giovane librettista, ovvero il virtuosismo metrico, il tessuto musicale è nuovo, fluido, denso, già da tempo Verdi aveva abbandonato le forme chiuse, sebbene, ad un attento ascolto, esse velatamente riemergono nei duetti. Nonostante Verdi odiasse essere paragonato a Wagner, è interessante notare come nel duetto d’amore di fine primo atto sia possibile ravvisare echi col Tristano di Wagner, opera che il compositore di Busseto preferiva per sua stessa dichiarazione.
L’allestimento temporalmente non ben definito del Teatro La Fenice vede la regia di Francesco Micheli, i costumi di Silvia Aymonino e le scene di Edoardo Sanchi. A sipario chiuso campeggia la frase pronunciata da Jago nella tragedia omonima shakespeariana: Io odio il moro. Perché? Una certa voce messa in giro dice che il mio capo sotto le mie lenzuola si sia fatto gli affari miei. Jago è l’incarnazione del male assoluto, il germe dell’invidia lo lacera lungamente, proprio come il suo veleno, la gelosia, che il perfido alfiere somministra al valoroso guerriero. Otello avrebbe avuto una tresca con Emilia, Jago di lui si vendica dando vita al suo diabolico piano che vede Desdemona traditrice. Otello dunque soffre, esattamente quanto ha sofferto lui. Poco gli importa se quanto ha sentito corrisponda al vero. Con Otello Verdi dipinge l’essere umano in tutta la sua precarietà, naufrago come la nave di Otello che sta per far naufragio di fronte alle coste cipriote. Come Cipro tra il cielo e gli abissi, l’uomo è preda del proprio naufragio interiore. Otello, nero di pelle, si ritrova, come disadattato, in terra veneziana. Questa l’interessante e introspettiva chiave di lettura registica. Alla luce di ciò tuttavia, non si comprende perché Francesco Micheli l’abbia voluto bianco. Evidenziarne, com’è del resto giusto, il colore della pelle, avrebbe sottolineato tale concezione. In tanta miseria umana, il finale vuol rappresentare un raggio di speranza. Otello e Desdemona si rialzano abbracciati e in cammino verso il firmamento. Una regia plausibile, sebbene susciti qua e là qualche perplessità, una su tutte, il finale appena descritto e non ammesso da Verdi.
Sul fronte musicale un ottimo Giacomo Sagripanti dirige l’orchestra del teatro Petruzzelli. La sua è una delle più talentuose bacchette dei nostri tempi, dal poderoso e sicuro gesto, il maestro fa rifulgere la già magnifica orchestra del Massimo Barese, peraltro in splendida forma, nella vibrante, raffinata, impegnativa e possente partitura, dal fragore dell’uragano descritto dall’accordo di undicesima, al romantico duetto d’amore, preannunciato da quattro violoncelli soli, alla temibile aria di Jago nel secondo atto, fino allo struggente e commovente finale. Il maestro Sagripanti è in ottima sintonia con i cantanti, sempre rispettoso dello stile e scevro da scelte di natura personale sui tempi staccati. La sua è una lodevole e coinvolgente direzione.
Marco Berti ha voce d’acciaio e possente, sorretta da una ragguardevole tecnica. La voce, dotata di eroico squillo e ampiezza sonora, è udibile senza alcuna fatica in sala, il suo Otello è di gran valore: un eroe presto devastato dal tarlo della gelosia che lo rende belva feroce nel lungo duetto con Jago del secondo atto e nella scena del terzo con Desdemona, sebbene, dietro alla furia nel credersi tradito, si cela un immenso dolore. Per Otello l’amore di Desdemona è tutto, l’eroe cade nel momento in cui si vede tradito. Solo dopo la furia omicida il guerriero ascolta nuovamente la voce dell’amore, misto a straziante dolore, scoperta la crudele verità. Tutto questo ben risalta nell’interpretazione di Berti, dalla dizione scolpita e dall’ottimo fraseggio. Ne si ammira la capacità di non indulgere mai a suoni urlati che spesso non corrispondono alle note scritte da Verdi.
Al suo fianco una Desdemona da manuale, incarnata dal giovane soprano Vittoria Yeo, al debutto in questo ruolo. Il colore vocale è di preziosa bellezza, il timbro è lirico e rotondo, sorretta da un ottimo fiato, di bel corpo e volume. La Yeo canta con sempre perfetta dizione, in possesso di un elegante fraseggio, nonché di un mirabile legato. La sua è sì una Desdemona dolce e angelicata, ma, a un tempo, capace di reagire e tener testa a Otello che l’apostrofa dandole della “vil cortigiana”. Nella drammatica scena dell’atto terzo la Desdemona di Vittoria Yeo non tralascia mai di essere nobile, quale lei stessa è, pur nel dolore inflittole. Nel concertato è dolente mentre nell’atto quarto suggella la sua prova con una magistrale Canzone del salice e con l’Ave Maria. Qui la Yeo esibisce filati impalpabili e adamantini. La sua prova è magistralmente riuscita, siamo felici per lei e le auguriamo di cantare il ruolo ancora numerose volte.
Vladimir Stoyanov porta a termine con successo la sua prova dando vita ad uno Jago molto ben cantato, di bel colore bruno e pregevole tenuta. Il baritono affronta con disinvoltura la scrittura del malefico suo personaggio sufficientemente cattivo, ma mai eccessivo negli accenti. La sua prestazione culmina col Credo, unica aria affidata da Verdi al baritono e in cui Stoyanov riesce a delineare con pertinente malvagità l’alfiere di Otello, deciso più che mai a descrivere il suo credo nichilista con pertinenza stilistica quantomai richiesta.
Meno bene complessivamente il Cassio di Zizhao Guo. Più di tutto gli si biasima la dizione poco chiara con le l in vece delle r.
La Emilia di Maria Luisa De Freitas si apprezza per il suo timbro mezzosoprani le caldo e avvolgente.
Corretto il Roderigo di Antoni Lliteres, così come il Montano interpretato da Alberto Petricca. Di buon volume Victor Shevchenko nelle vesti di Lodovico è efficace Gianfranco Cappelluti, un araldo.
Il coro del teatro Petruzzelli, guidato dal valente Fabrizio Cassi fa, ancora una volta, la sua splendida figura.
Il pubblico saluta trionfalmente la prima, la più applaudita è Vittoria Yeo.
Otello si replica fino al 29 giugno.
OTELLO
di Giuseppe Verdi.
Il dramma lirico in quattro atti di Giuseppe Verdi, con libretto di Arrigo Boito,
basato sull’omonima tragedia di William Shakespeare, del 1603,
fu rappresentato per la prima volta al Teatro alla Scala di Milano il 5 febbraio 1887.
INTERPRETATO DA
Otello Marco Berti
Jago Vladimir Stoyanov
Cassio Zizhao Guo
Roderigo Antoni Lliteres
Lodovico Viktor Shevchenko
Montano Alberto Petricca
Desdemona Vittoria Yeo
Emilia Maria Luisa de Freitas
Un araldo Gianfranco Cappelluti
direttore Giacomo Sagripanti
regia Francesco Micheli
assistente alla regia Tommaso Franchin
scene Edoardo Sanchi
assistente alle scene Chiara Taiocchi
disegno luci Fabio Barettin
costumi Silvia Aymonino
maestro del coro Fabrizio Cassi
ORCHESTRA E CORO DEL TEATRO PETRUZZELLI
Foto di Clarissa Lapolla cortesia della Fondazione Teatro Petruzzelli