I vespri siciliani – Comunale Nouveau, Bologna
Dopo trentasette anni di assenza, I vespri siciliani, il grande affresco storico di Giuseppe Verdi, torna a Bologna, nella sede temporanea del Comunale Noveau.
“O tu, Palermo, terra adorata, De’ miei verdi anni – riso d’amor, Alza la fronte tanto oltraggiata, Il tuo ripiglia – primier splendor!”, con questi versi inizia la splendida aria di Procida che apre il secondo atto de I vespri siciliani, grand-opéra verdiano del 1855. Nel corso della stagione d’Opera 2023, il Teatro Comunale di Bologna ospitato, come ben noto, negli spazi provvisori del Comunale Noveau, riprende lo spettacolo ideato da Emma Dante per l’inaugurazione della stagione 2022 del Teatro Massimo di Palermo. A differenza della sua “prima” siciliana, dove lo spettacolo è stato presentato nella versione francese, per il cartellone felsineo la scelta cade sulla traduzione italiana, privata dei ballabili.
Emma Dante evoca, come di tradizione nelle sue produzioni, il forte legame con la sua terra di origine, la Sicilia, portando sul palco una serie di simboli e di ritualità che se in alcuni casi hanno un forte potere evocativo, in altri non risultano immediatamente intelligibili. Nel primo atto le scene, a cura di Carmine Maringola, riproducono la scalinata di un monumento familiare ai palermitani: la cinquecentesca fontana di Piazza Pretoria. La cosiddetta Fontana della Vergogna, è nota come simbolo di sperpero di denaro e di scandalo morale poiché la nudità delle statue poteva essere vista dalle suore di un vicino convento di clausura. Nel corso dell’opera questo elemento architettonico viene scomposto e ricomposto per raccontare i diversi momenti della vicenda. In particolare, nel quarto atto con le statue “nude” tra cui si aggira il tormentato Arrigo e, quindi, con la cancellata che diviene la prigione di Elena. Nel finale poi, sulla scalinata, Monforte vedrà spirare il figlio Arrigo, colpito accidentalmente da Procida nel tentativo di assassinare il tiranno.
Altri elementi scenici sono la barca “Provvidenza”, perno centrale del secondo atto, e, nel terzo, una parete di mattonelle con temi arabeggianti nei cui pressi si trova il trono di Monforte affiancato da due gigantesche teste di moro, rimando alle celebri ceramiche di Calatagirone. I diversi quadri nei quali si articola la vicenda si susseguono con una certa agilità, anche se, soprattutto in primo e in quinto, si ha la sensazione di una scena troppo ingombrante rispetto allo spazio del boccascena (lo spettacolo originale è stato inevitabilmente ripensato per la sala del Comunale Noveau).
L’ambientazione della vicenda viene trasposta dal 1282 ad una generica epoca moderna dove però sono ben riconoscibili, su gonfaloni, le effigi di alcune delle vittime della lotta alla mafia (su tutte Paolo Borsellino). Ecco allora che il tema di fondo dell’opera, ovvero il moto di ribellione dei siciliani nei confronti degli invasori francesi, diviene la rivolta contro le vessazioni delle cosche mafiose. Queste ultime, per altro, sono rappresentate con tute, volutamente trash, di variopinte sfumature del viola, mentre i siciliani indossano abiti scuri. Vanessa Sannino firma anche i costumi dei protagonisti con esiti non sempre appaganti. Eleganti e curati sono gli abiti di Elena, piuttosto ordinari, nella loro contemporaneità, quelli di Procida, mentre Arrigo e Monforte indossano un non perfetto abbinamento tra dolcevita, giacca e pantalone con gonna il primo e pelliccia e coppola il secondo. Un bel colpo d’occhio sono, di contro, i costumi da tutti indossati in terzo atto, realizzati in tonalità giallo-oro e abbinati a copricapi che riproducono variopinte teste di moro. Ben riuscito ed efficace il disegno luci di Cristian Zucaro, in grado di sbalzare alcuni attimi particolarmente significativi della vicenda sul fondale nero mettendo ben in evidenza il relativo momento drammaturgico. Si diceva di simboli e ritualità, portati sulla scena dalla bravura degli attori della Compagnia Sud Costa Occidentale, una cifra caratteristica della quasi totalità di spettacoli della regista palermitana. I movimenti scenici di Sandro Maria Campagna ci mostrano in secondo atto la danza delle promosse spose che termina con il loro rapimento da parte degli usurpatori. Un momento di sicuro effetto emotivo ma poco gradevole dal punto di vista estetico. Si insiste più volte anche sul tema della spiritualità e religiosità, qui incarnato da una figurante in scena come una santa (Rosalia?) in paramenti dorati e recante in mano un crocifisso. Una statua adorata dalle masse che poi si divincola in preda alle convulsioni. Spesso presenti anche momenti coreutici con i tradizionali pupi siciliani.
Uno spettacolo con alcuni buoni spunti che si alternano però ad altri momenti poco incisivi e che fanno riferimento a simboli e gestualità già troppo sfruttati negli spettacoli della Dante. Spiace soprattutto constatare come le movenze dei singoli artisti siano registicamente poco curate.
Tanta era l’attesa per il debutto in questo titolo da parte della direttrice musicale del Teatro Comunale, Oksana Lyniv. Il direttore ucraino sceglie una lettura che, nel prediligere tempi ora più sostenuti ora piuttosto dilatati, denota, pur con una certa discontinuità, un buon lavoro sul suono e un adeguato dosaggio dei volumi rispetto alle peculiarità vocali degli artisti impegnati sul palco, fattore di non poco conto, viste le ben note questioni riguardanti l’acustica di questo teatro.
La sinfonia è condotta con precisione esecutiva, le scene di massa risultano adeguatamente supportate, specialmente nei concertati, e anche i momenti solistici sono ben accompagnati.
Una prova di indubbia correttezza in cui latitano, tuttavia, la tinta mediterranea di cui risulta intrisa la partitura, la cocente e travolgente passionalità che spinge il popolo alla rivolta, l’infiammato contrasto generazionale identificato nella conflittualità tra Arrigo e Monforte. Abbiamo avuto modo di apprezzare il gesto della Lyniv in altre occasioni, ma questa volta sembra mancare, almeno in parte, di personalità.
L’orchestra del Teatro Comunale appare in forma smagliante e restituisce un suono sempre compatto e smaltato, mostrando un’ottima aderenza alla scrittura e allo stile verdiani.
Ben amalgamato, nel complesso, il cast vocale.
La parte di Elena, si sa, è tra le più temibili per difficoltà tecniche e vocali. Roberta Mantegna, forte di una consolidata frequentazione del repertorio verdiano, supera le asperità della partitura offrendo una prova convincente. La vocalità del soprano palermitano si apprezza per la limpidezza del colore e la pienezza del timbro. Punto di forza della linea di canto sono i centri, ben torniti, e gli acuti, sicuri specie nella prima ottava. Piacevole l’uso dei filati, sfoggiati dalla Mantegna soprattutto nell’aria di quarto atto; anche le agilità del Bolero, nella parte finale dell’opera, sono espugnate con buona musicalità.
In generale, rileva la capacità di mantenere la linea di canto morbida e naturale, senza ricercare inutili forzature che potrebbero in qualche modo mettere a repentaglio il buon esito dell’esecuzione. Una scelta prudente ma che denota, ad un contempo, una grande intelligenza da parte dell’artista.
Ne deriva come sotto il profilo interpretativo, questa Duchessa Elena mantenga una certa compostezza; il suo è un dissidio tutto interiore, fatto di smarrimenti e continui turbamenti. Pochi sono i momenti nei quali la donna esterna apertamente la propria sete di vendetta per la morte del fratello così come la felicità finale ha un sapore di incredulità piuttosto che realtà.
Stefano Secco, promosso da secondo a primo cast a pochi giorni dalla prima, affronta la parte di Arrigo con ottima professionalità. Il tenore possiede una linea dalla buona musicalità e dal colore chiaro. Il mezzo, grazie allo squillo del registro centrale e al pregevole controllo del canto sul fiato, trova la propria zona d’elezione nella parti più liriche. Generalmente puntuale ed efficace il registro acuto, apprezzabile specie nei duetti con Monforte di primo e terzo atto.
La innata musicalità del mezzo si unisce, poi, ad una indiscutibile proprietà di fraseggio, sempre sfumato e variegato per dare vita alla progressione del personaggio nel corso della vicenda. Spiace constatare, come già ricordato poco sopra, come questo Arrigo perda un poco di credibilità in forza di un costume di scena non perfettamente riuscito.
Ottimo il Guido di Monforte di Franco Vassallo. Il baritono milanese riesce a combinare la bellezza di un mezzo ben controllato alla nobiltà del fraseggiatore d’alto rango. La voce si espande chiara e possente, mostrando una notevole compattezza, sino ad un registro acuto corposo e sonoro. Significativa l’esecuzione dell’aria di terzo atto “In braccio alle dovizie”, dove, con un opportuno gioco di chiaroscuri, Vassallo riesce a sottolineare al meglio il contrasto interiore che dilania il governatore. Curato e meticoloso l’accento, sempre meditato e stilisticamente inappuntabile. Autorevole, infine, la presenza scenica, pur non adeguatamente valorizzata dai costumi di scena talvolta troppo pacchiani.
Il quartetto dei protagonisti si chiude con Riccardo Zanellato, al suo primo incontro con il ruolo di Procida. Il basso sfodera una vocalità generosa e pastosa, di puro velluto. Il canto si dispiega morbido e naturale tanto nei momenti di perorazione della causa patriottica (l’aria di secondo atto), quanto in quelli di maggiore esaltazione spirituale (finale quarto). L’organizzazione vocale complessiva mostra una certa familiarità con la scrittura e lo stile verdiano, ben evidenziato dalla spiccata espressività del canto. Nobile ed elegante il fraseggio, mai sopra le righe, che caratterizza il personaggio come un uomo distinto che medita un piano ben studiato per la rivolta.
Nella folta schiera dei comprimari merita una menzione d’onore il tonante e granitico Sire di Bethune di Gabriele Sagona e la Ninetta di Carlotta Vichi, dalla vocalità bronzea e scolpita.
Efficace e squillante il Danieli di Francesco Pittari, ben rifinito ed incisivo il Sire di Vaudemont di Ugo Guagliardo.
A fuoco e adeguatamente sbalzato il Tebaldo di Manuel Pierattelli.
Completano la locandina i puntuali Alessio Verna e Vasyl Solodkyy, rispettivamente Roberto e Manfredo.
Eccellente l’apporto del Coro del Teatro Comunale di Bologna, guidato con encomiabile precisione da Gea Garatti Ansini.
Il folto pubblico accorso, ben lungi dall’esaurire la sala, riserva tiepidi applausi ai brani più famosi e accoglie tutto il cast e direttore al termine con un successo caloroso.
Tiepida accoglienza per il team registico, forse mista ad una certa delusione per l’assenza di Emma Dante.
I VESPRI SICILIANI
Dramma in cinque atti
Libretto di Eugène Scribe e Charles Duveyrier
Musica di Giuseppe Verdi
Guido di Monforte Franco Vassallo
Il signore di Bethune Gabriele Sagona
Il conte Vaudemont Ugo Guagliardo
Arrigo Stefano Secco
Giovanni da Procida Riccardo Zanellato
La duchessa Elena Roberta Mantegna
Ninetta Carlotta Vichi
Danieli Francesco Pittari
Tebaldo Manuel Pierattelli
Roberto Alessio Verna
Manfredo Vasyl Solodkyy
Orchestra del Teatro Comunale di Bologna
Direttore Oksana Lyniv
Coro del Teatro Comunale di Bologna
Maestro del Coro Gea Garatti Ansini
Regia Emma Dante
Scene Carmine Maringola
Costumi Vanessa Sannino
Luci Cristian Zucaro
Movimenti scenici Sandro Maria Campagna
Attori della Compagnia Sud Costa Occidentale
Foto: Andrea Ranzi