Spettacoli

Les contes d’Hoffmann – Teatro alla Scala, Milano

La stagione d’opera del Teatro alla Scala di Milano prosegue con una nuova produzione de Les contes d’Hoffmann di Jacques Offenbach.

Ernst Theodor Amadeus Hoffmann è, secondo Sigmind Freud, “il maestro senza rivali del perturbante nella letteratura. Il suo romanzo Gli elisir del Diavolo contiene una gran mole di temi che si è tentati di riferire all’effetto perturbante nella narrativa, ma si tratta di un racconto troppo complesso e oscuro perché ci sentiamo di darne un riassunto”. Il giurista, scrittore e pittore, esponente del romanticismo tedesco, profuse la sua fantasia in numerosi scritti ma anche nelle arti figurative, soprattutto in spassosissime caricature satiriche. È inevitabile quindi che una tale figura, così atipica e originale, abbia ispirato anche i compositori che spesso hanno  messo in musica i suoi racconti. Proprio come sceglie di fare Jacques Offenbach che nel 1880 lo rende protagonista assoluto di una opera: Les contes d’Hoffmann. 

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Vittorio Grigolo e Marina Viotti

La regia dello spettacolo è affidata a Davide Livermore che crea, con il suo team, un racconto dark dall’ambientazione che richiama il mondo del Kabarett nella Berlino di inizio Novecento. Uno spettacolo ipercinetico e rutilante, ricco di azioni e contro-azioni che tengono alta l’attenzione dello spettatore (in alcuni momenti forse troppo). La scena, sostanzialmente monocromatica, a cura di Giò Forma, appare piuttosto scarna: un tapis roulant, lungo quanto il boccascena, viene spesso impiegato per favorire entrate ed uscite di personaggi, anche se con lo scotto di un non trascurabile fruscio di sottofondo. Il fondale è occupato, per quasi tutto il tempo dello spettacolo, da un velario animato da proiezioni ed ombre pensate dalla Compagnia Controluce Teatro d’Ombre. Questa scelta contribuisce a creare quella dimensione onirica che, particolarmente nel Drame fantastique, rappresenta una delle componenti essenziali del racconto. Fondamentale del pari è il progetto luci di Antonio Castro che esalta al meglio il frenetico susseguirsi dell’azione sul palcoscenico.

Pregevoli e appaganti alla vista sono, poi, i costumi creati da Gianluca Falaschi, ispirati alla moda anni Trenta e giocati sull’ optical. Sfilano così sul palco smoking bianchi e neri e abiti da sera che traboccano di lustrini e paiettes, in un vortice scintillante che ben si sposa con l’ambientazione della vicenda di questo spettacolo. Ma nonostante queste intuizioni, tutto sommato riuscite, il progetto registico non funziona completamente. Sicuramente abbiamo apprezzato la graffiante caratterizzazione dell’atto di Olympia, l’esecuzione della celebre Barcarola a bordo di una altalena sospesa nel vuoto, o, ancora, l’insistita presentazione di uno sdoppiamento di Hoffmann, poeta e amante. Di contro, spiace constatare la non sempre godibile presenza di mimi in calzamaglia nera che danzano e piroettano sul palco, o, ancora, la scelta discutibile di coprire con un velario l’intera platea sulle note iniziali della già citata Barcarola. Il telo, agitato da mimi disposti in sala, provoca fruscii fastidiosi ed inevitabili commenti della sala che impediscono di godere della bellezza della introduzione orchestrale del brano. Nel complesso, comunque, il prologo, l’epilogo e l’atto di Olympia appaiono i più ispirati mentre negli atti di Antonia e Giulietta si coglie, qua e là, qualche idea non perfettamente portata a compimento.  

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Eleonora Buratto, Francesca Di Sauro e Federica Guida

Passando al versante musicale, la prima considerazione da fare riguarda, come in occasione di ogni messa in scena di questo titolo, l’annosa questione: quale edizione critica adottare? Per questa nuova produzione viene scelta la edizione Choudens (comprensiva di alcuni tagli di tradizione), mentre sarebbe stato, senza dubbio, più interessante poter ascoltare quella di Keck del 2009 che, di fatto rappresenta oggi la ricostruzione (forse) più fedele e completa nel mare magnum di materiale musicale composto dall’autore. La direzione musicale è affidata, in questo caso, al Maestro Frédéric Chaslin, non di certo nuovo a questo titolo che, anzi, ha incontrato in diverse occasioni. Una prestazione, la sua, interlocutoria che sembra privilegiare volumi sonori piuttosto corposi con il rischio di non assicurare un perfetto equilibrio con il palcoscenico. L’adozione di ritmi piuttosto spediti, inoltre, può rappresentare una scelta peculiare, ovvero quella di accentuare la frenesia del racconto ma, ad un contempo, non rende giustizia ad un necessario approfondimento dinamico che sappia mettere in luce le infinte nuances della melodia francese, l’afflato romantico dei trasporti di Hoffmann, la brillantezza e la irresistibile leggerezza di quelle pagine di sapore marcatamente operettistico.

Di rilievo, per compattezza e solidità, la prova dell’orchestra scaligera.

Il cast vocale è capitanato da un istrionico Vittorio Grigolo. Il tenore aretino, con la sua vocalità dal caratteristico timbro solare e luminoso, trova in questo repertorio francese il proprio terreno d’elezione. La parte, temibile per lunghezza e difficoltà, viene affrontata con la giusta morbidezza, una spiccata musicalità e uno slancio baldanzoso nella regione acuta. Ciò che colpisce maggiormente in Grigolo è sempre e comunque, la capacità di creare, grazie alla cura e al cesello del fraseggio, un personaggio, appassionato, talvolta sornione e guascone che, con il suo innegabile, ed instancabile, magnetismo sulla scena conquista ed appassiona il pubblico.

Marina Viotti, impegnata nella duplice veste di Nicklausse e della Musa, sigla una prestazione d’alto rango per musicalità e raffinatezza. La linea vocale brilla per ricchezza di armonici e rifulge, duttile e sinuosa, con grande compattezza a tutte le altezze. Ottimo il fraseggio, scandagliato in ogni frase con pertinenza ed incisività. Travolgente, infine, la presenza scenica, elegante ed aggraziata. L’esecuzione dell’aria con microfono in puro stile cabaret, così come il successivo arioso sotto una cascata di lustrini dorati, si ascrivono tra i momenti più emozionanti ed irresistibili della serata.

I quattro personaggi demoniaci, Lindorf, Coppelius, Dottor Miracle e Dappertutto, convergono nella bravura di Luca Pisaroni, scenicamente disinvolto ed incisivo nel sottolineare, con una recitazione asciutta ma d’effetto, le diverse declinazioni del male. Sotto il profilo vocale si apprezza il colore brunito del mezzo, così come la morbidezza, specialmente nei centri, di una linea che, con spiccata musicalità, affronta il dettato dell’autore con grande aderenza stilistica.

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Eleonora Buratto

Passando alle tre donne protagoniste dei racconti amorosi del poeta Hoffmann, la palma della migliore spetta, indubbiamente, alla Antonia di Eleonora Buratto. Il soprano sfoggia, ancora una volta, una vocalità importante, di puro velluto, dai centri smaltati e luminosa in acuto. La voce si carica, inoltre, di una naturale espressività che contribuisce a rendere il personaggio ancora più toccante, sotto il profilo emotivo. Ben riuscita, in tal senso, l’aria iniziale dell’atto, eseguita in proscenio a sipario chiuso, dove Buratto esibisce filati timbrati e vibranti.

A Federica Guida è affidata Olympia. Il soprano possiede una vocalità dal suadente colore chiaro, piuttosto precisa nelle colorature e di facile espansione verso il registro acuto. Suggestiva la caratterizzazione scenica del personaggio attraverso una recitazione curata e trascinante che riesce a fare dimenticare qualche imprecisione durante le frequenti incursioni nel settore sopracuto.

Convincente è, poi, Francesca di Sauro che, con una vocalità ambrata e ben timbrata, interpreta la cortigiana Giulietta (oltre alla voce della madre di Antonia durante l’atto precedente). Piacevole e ben riuscito, tra l’altro, l’amalgama timbrico con Marina Viotti durante la già citata celeberrima Barcarola. Anche scenicamente sa essere sensuale come si conviene ad una femme fatale.

Ed è Greta Doveri, infine, solista dell’Accademia del Teatro alla Scala, ad interpretare, con la giusta solidità esecutiva e l’affascinante incedere sulla scena, il personaggio di Stella, l’amore autentico, quanto impossibile di Hoffmann.

François Piolino è l’interprete di Andrés, Cochenille, Frantz e Pitichinacchio qui ripensati dal team creativo come un unico personaggio in abiti femminili. Scenicamente è semplicemente perfetto, tanta è la disinvoltura e la naturalezza delle movenze, volutamente enfatizzate, tra cui si annoverano anche alcuni passi di danza. Apprezzabile, inoltre, la resa vocale di questi personaggi, che in taluni passaggi, specialmente nell’atto di Antonia, sono chiamati ad affrontare una scrittura che di fatto rappresenta quasi una parodia del canto.

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Vittorio Grigolo

Alfonso Antoniozzi offre, nel duplice ruolo di Luther e  Crespel, una prova encomiabile per precisione esecutiva e, soprattutto, per un carisma scenico magnetico ed irresistibile.

Un plauso anche a Hugo Laporte che convince senza riserve, vocalmente ed interpretativamente, come Hermann e come Schlémil.

Completano la locandina Yann Beuron, Néstor Galván e Alberto Rota, interpreti efficaci, rispettivamente, dei ruoli di Spalanzani, Nathanael e una voce.

Un plauso incondizionato va, ancora una volta, al sempre meraviglioso Coro del Teatro alla Scala che, grazie all’encomiabile lavoro di Alberto Malazzi, riesce a caratterizzare con la giusta intensità sonora ed emotiva gli interventi degli spensierati studenti nel prologo, dei cinici invitati alla festa di Olympia in primo atto e, ancora, degli spettrali veneziani nell’atto di Giulietta.

Successo caloroso ed incontrastato al termine per tutta la numerosa compagnia di canto con punte di particolare entusiasmo per Vittorio Grigolo, Marina Viotti ed Eleonora Buratto.

LES CONTES D’HOFFMANN
Opera fantastica in un prologo, tre atti e un epilogo
Libretto di Jules Barbier
Musica di Jacques Offenbach

Olympia Federica Guida
Giulietta Francesca Di Sauro
Antonia Eleonora Buratto
Stella Greta Doveri
Hoffmann Vittorio Grigolo
Lindorf/Coppélius/Le docteur Miracle/
Le capitaine Dapertutto Luca Pisaroni
La Muse/Nicklausse Marina Viotti
Hermann/Schlemil Hugo Laporte
Andrés/Cochenille/Frantz
/Pitichinacchio François Piolino
Luther / Crespel Alfonso Antoniozzi
Spalanzani Yann Beuron
Nathanael Néstor Galván
Un voix Alberto Rota

Orchestra e Coro del Teatro alla Scala
Direttore Frédéric Chaslin
Maestro del coro Alberto Malazzi
Regia Davide Livermore
Scene Giò Forma
Ombre Controluce Teatro d’Ombre
Costumi Gianluca Falaschi
Luci Antonio Castro

Foto: Brescia-Amisano Teatro alla Scala