Adriana Lecouvreur – Teatro Regio, Parma
Al Regio di Parma torna l’umile ancella: Adriana Lecouvreur di Francesco Cilea.
Il mito assoluto di Adriana Lecouvreur, delle Dive, delle celebrità di cui si sono cibate le riviste, i rotocalchi, un mito trasversale che se in qualche modo era già in nuce negli anni della vita della attrice, la prima rivista di moda nasce infatti a Milano nel 1786, diventa centrale negli anni cinquanta del Novecento. Proprio a questo tempo hanno pensato il regista Italo Nunziata e lo scenografo Emanuele Sinisi che, per la Andriana Lecouvreur di Francesco Cilea, creano un mondo totalmente in bianco e nero. L’allestimento, già visto al Municipale di Piacenza nel marzo 2022, risulta costruito da linee geometriche, grandi foto d’epoca e pochi altri elementi che rimandano alla estetica anni cinquanta. Si evoca il mondo dei rotocalchi del tempo: sul palco gli unici elementi di colore sono il rosso del sipario che fa da fondale e il costume di Adriana nel terzo atto, disegnato, come gli altri riusciti costumi, da Artemio Cabassi. Seguono il rigore geometrico della scena, le luci, sempre adeguate di Fiammetta Baldiserri. Un apparato visivo funzionale ma che risulta parecchio monotono, privo di idee vincenti e soprattutto appiattito dalla totale mancanza di colore. Poco ispirate anche le corografia a cura di Danilo Rubeca parse un po’ povere e non totalmente convincenti.
Convincente, nel complesso, l’esecuzione musicale.
Nel ruolo della protagonista ritroviamo Maria Teresa Leva che, ad un anno di distanza dalle recite modenesi e piacentine, evidenzia una maggiore confidenza, vocale ed interpretativa, con il personaggio. Ritroviamo, quindi, la bellezza di uno strumento dal colore limpido e suadente, corposo e rifinito nei centri e nel registro superiore, capace di piegarsi, all’occorrenza, in filati timbrati e ben appoggiati. Ad una prova vocalmente riuscita corrisponde una interpretazione toccante e misurata della celebre tragédienne. La compostezza del fraseggio, infatti, conferisce al personaggio una toccante umanità e ne esalta la fragilità emotiva. Una prova positiva, dunque, particolarmente riuscita nel finale terzo e nel toccante quarto atto.
Riccardo Massi presta al personaggio di Maurizio di Sassonia le qualità di una vocalità interessante, squillante in acuto e piuttosto omogenea su tutta la gamma. Di sicuro interesse il colore, tipicamente mediterraneo della linea, musicale e ben rifinita specialmente in alcuni attacchi (l’aria “la dolcissima effige” in primo atto dove si evidenzia una naturale morbidezza). L’interprete predilige l’aspetto dolente e patetico dell’amante conteso, piuttosto che il piglio eroico e baldanzoso dell’eroe militare; una visione, per altro coerente con quanto previsto dall’autore.
Bravissimo, ancora una volta, Claudio Sgura, la cui vocalità, possente e penetrante, corre per la sala con ottima proiezione. Se l’esecuzione musicale mette ben in evidenza le qualità di una linea che brilla per freschezza e ricchezza di armonici, quello che colpisce maggiormente è la capacità di Sgura di creare, attraverso un canto sempre composto e mai sopra le righe, un personaggio. Ne deriva un Michonnet molto umano e sincero, capace di nutrire per Adriana un amore profondo ed autentico. Scenicamente, poi, complice una innegabile prestanza fisica, riesce ad essere trascinante e travolgente.
Il quartetto dei protagonisti si completa, infine, con la Principessa di Bouillon di Sonia Ganassi. Il mezzosoprano vanta una formidabile esperienza sul palcoscenico e questo è ben evidente nella sua naturale capacità di costruire ogni singola frase musicale che viene accentata con pertinenza stilistica e senso teatrale. Spiace constatare, tuttavia, come la voce risulti, specie in una scrittura che sollecita frequentemente il salto di registro, spezzata in più tronconi, dai gravi, tendenti al parlato, ai centri svuotati, agli acuti ancora piuttosto saldi.
Efficace, vocalmente e scenicamente, è Adriano Gramigni nei panni de Il Principe di Bouillon.
Godibile e ben tratteggiato l’Abate di Saverio Pugliese.
Musicali e scenicamente spigliate sono, poi, Vittoriana De Amicis e Carlotta Vichi nei ruoli, rispettivamente, di Mademoiselle Jouvenot e Mademoiselle Dangeville.
Completano il quartetto degli attori della Comédie Française l’incisivo Stefano Consolini, Poisson, e l’affidabile Steponas Zony, Quinalt.
Completa la locandina Damiano Lombardo, un maggiordomo.
In buca, il Maestro Francesco Ivan Ciampa opta per una lettura tesa e, a tratti, nervosa, che ben sottolinea, grazie ad un opportuno gioco di dinamiche compenetranti, l’incalzante tensione emotiva della partitura. Adeguatamente sostenuti sono i momenti solistici; nelle scene di maggiore concitazione rileva, tuttavia, una certa tendenza ad eccedere nelle sonorità con il rischio di sovrastare il palcoscenico. Positiva la prova della Orchestra dell’Emilia Romagna Arturo Toscanini, che contribuisce, con la giusta compattezza, alla realizzazione di una atmosfera teatrale e sempre coinvolgente.
Eccellente, come da programma, l’apporto del Coro del Teatro Regio di Parma, guidato con solidità e professionalità dal Maestro Martino Faggiani.
Il pubblico presente, non troppo numeroso, riserva allo spettacolo applausi calorosi con punte di maggiore intensità per il quartetto dei protagonisti.
Marco Faverzani | Giorgio Panigati
Il melodramma più famoso di Francesco Cilea torna a Parma dopo oltre quarant’anni con un allestimento, in coproduzione con Modena e Piacenza, ricco di pregi e difetti.
Partendo dall’alto troviamo la splendida Maria Teresa Leva che veste i panni di un’incantevole Adriana. Voce morbida e corposa, acuti luminosi, filati toccanti.
Al pari è Claudio Sgura, Michonnet, un vero professionista del verismo.
Meno efficace è il Maurizio di Riccardo Massi. Bel colore e buone intenzioni, ma gli attacchi non sono sempre puliti e gli acuti non squillano in avanti, col risultato che è spesso sotto ai colleghi.
Anche la principessa di Sonia Ganassi non è delle migliori, poiché si sente molto la differenza tra i registri. Sicuramente dalla sua parte ci sono una grande esperienza e un’indiscutibile intelligenza.
Soddisfacente il resto del cast con Adriano Gramigni (principe), Saverio Pugliese (abate), Stefano Consolini (Poisson), Steponas Zonys (Quinalt), Vittoriana De Amicis (Jouvenot), Carlotta Vichi (Dangeville), Damiano Lombardo (maggiordomo).
Pure poco convincente è la direzione di Francesco Ivan Ciampa, con pochi colori e dal volume spesso coprente.
Piuttosto provinciale lo spettacolo di Italo Nunziata, che nulla dà, ma fortunatamente neppure toglie. Non male le scene di Emanuele Sinisi e le luci di Fiammetta Baldiserri. Bellissimi i costumi di Artemio Cabassi, anche se si sarebbe preferita una maggiore caratterizzazione dei colori delle protagoniste, ad esempio evitando di vestire entrambe di blu, una in secondo e l’altra in terzo atto. Da dimenticare le coreografie di Danilo Rubeca.
Discreti l’Orchestra dell’Emilia Romagna Arturo Toscanini e il Coro del Teatro Regio di Parma guidato da Martino Faggiani.
William Fratti
ADRIANA LECOUVREUR
Commedia-dramma in quattro atti
Libretto di Arturo Colautti da Eugène Scribe ed Ernest-Wilfried Legouvé
Musica di Francesco Cilea
Maurizio Riccardo Massi
Il Principe di Bouillon Adriano Gramigni
L’Abate di Chazeuil Saverio Pugliese
Michonnet Claudio Sgura
Quinault Steponas Zonys
Poisson Stefano Consolini
Adriana Lecouvreur Maria Teresa Leva
La Principessa di Bouillon Sonia Ganassi
Madamigella Jouvenot Vittoriana De Amicis
Madamigella Dangeville Carlotta Vichi
Un maggiordomo Damiano Lombardo
Orchestra dell’Emilia Romagna Arturo Toscanini
Direttore Francesco Ivan Ciampa
Coro del Teatro Regio di Parma
Maestro del coro Martino Faggiani
Regia Italo Nunziata
Scene Emanuele Sinisi
Costumi Artemio Cabassi
Luci Fiammetta Baldiserri
Coreografia Danilo Rubeca
Foto: Rolando Paolo Guerzoni