Pelléas et Mélisandes – Teatro Comunale, Modena
Il Teatro Comunale Pavarotti-Freni di Modena, in coproduzione con la Fondazione Teatro Regio di Parma e la Fondazione Teatri di Piacenza, ha messo in scena Pélleas et Mélisandes di Claude Debussy in un allestimento sognante e raffinato, con la direzione di Marco Angius e la regia di Barbe & Doucet ripresa da Florence Bas. Spettacolo unitario ed armonico, in un continuo intrecciarsi sinergico di suoni, parole ed immagini, dove la drammaturgia visiva si snoda in felice accordo con la partitura ed invera lo spirito dell’opera, in uno stile moderno che nella propria essenzialità aspira ad essere classico. Tutto ci si presenta sospeso: gli alberi dalle chiome di nuvola galleggiano nel vuoto e le radici, come i capelli di Mélisandes, scendono giù come da zattere di terra, perdendosi nell’aria. Così anche il castello con il suo promontorio sta fisso nell’etere, mentre al di sotto scorre l’acqua, impalpabile come la protagonista, la cui entrata è segnata dall’apparire, portata in corteo, di una sfera luminosa, sorta di animula che al momento della morte, ancora sull’acqua, ritornerà nei regni dell’oblio e del mistero. Le pose e i movimenti evocano un’atmosfera simbolista e decadente, con alcuni rimandi alla dimensione esoterica e spiritistica, come la processione delle donne velate, quasi preraffaellite, e la figura enigmatica del medico-pastore. Negli elementi scenografici e nei costumi, sempre di Barbe & Doucet, prevale il bianco e comunque le tinte sono acquerello contro uno sfondo oscuro e misterioso. Gli abiti sono stilizzati e fiabeschi, senza tempo nel paese di Allemonde, che è poi tutto il mondo e quindi nessun luogo. Le incantevoli variazioni delle luci, disegnate da Guy Simard riprese da Andrea Ricci, fanno eco alla ricchezza delle sfumature orchestrali.
Ogni cosa pare mancare del suo fondamento, proprio come la musica di Debussy che ha la forma di un’architettura a cui sono state tolte le colonne, nave disancorata che prende a fluttuare. Il compositore francese impiegò dieci anni per completare l’ opera, con fatica e ripensamenti, alla ricerca di un nuovo linguaggio che, pur nell’aderenza tra musica e testo, si discotasse dal modello wagneriano. Ad ispirare Debussy fu l’omonimo dramma di Maurice Maeterlink, vero e proprio manifesto del teatro simbolista, pièce dall’atmofera rarefatta con una storia inconsistente fatta di non detti. E proprie in queste assenze l’autore vide la possibilità di inserire e far parlare la sua musica, dando vita ad un “drame lyrique” in cinque atti e dodici quadri, brevi episodi che si accendono e si spegnono, come aloni luminosi, abbozzati con soli cinque temi e continui cambi di tonalità.
Marco Angius, alla guida dell’orchestra dell’Emilia Romagna Arturo Toscanini, ben rappresenta questo universo di suoni morbidi e screziati. I tempi sono dilatati, senza mai perdere tuttavia il ritmo della narrazione, e i volumi orchestrali sempre consistenti, nella cura dei pianissimo e delle sfumature, in un grande equilibrio tra gli archi ed i fiati. Forte è la sintonia con i cantanti, le cui diverse tessiture vengono amalgamate nel flusso ininterrotto delle note; altrettanto integrati risultano gli interventi del Coro del Tearo Regio di Parma diretti da Massimo Fiocchi Malaspina. Di grande delicatezza alcune scene come quella iniziale e l’episodio della fontana e di un erotismo ingenuo, quasi immateriale, il quadro dei lunghi capelli dalla finestra, mentre la visita alla grotta rappresenta in modo emblematico il senso di spaesamento che caratterizza la composizione. Spiccatamente drammatico il quarto atto, con colori più vividi anche per l’accurato utilizzo delle percussioni; evanescente il finale, con appropriate pause di sospensione, che raffigurano il dissolversi di Mélisandes e l’inquietudine irrisolta di Golaud.
Karen Vourc’h ben esprime la natura diafana e sfuggente di Mélisandes. Con voce piena e squillante, ha una linea ampia e flessuosa, pur con qualche spigolatura ed imprecisione. Eterea e distaccata nelle parti iniziali, è languida e sofferente al quarto atto con Arkel ed appassionata nel congedo dall’innamorato.
Philip Addis è Pélleas, con un timbro solare e un discreto volume. Ha un canto agile e terso, particolarmente controllato nel registro centrale. Delinea un giovane svagato e sognatore, anche lui personaggio fiabesco, travolto dalla passione amorosa e dalla propria inconsapevolezza.
Golaud è interpretato da Michael Bachtadaze, che ne dipinge efficacemnete la complessità, tra amore e gelosia, tenerezza e brutalità. Vocalità potente ed omogenea, con un colore scuro e caldo, rende con varietà di accenti e modulazioni il tormento del personaggio.
Solenne e paterna la figura di Arkel così come sbalzata da Vincent Le Texier. Profondo e compatto, ha un fraseggio scolpito ed incisivo. Particolarmente accorato nella scena con Melisandes, con la toccante chiusura “S’io fossi Dio, avrei compassione del cuore degli uomini…”.
Grazioso e pieno di pathos lo Yniold di Silvia Frigato, con voce chiara ed estesa. Naif con Golaud, è lirica e commovente nel quadro delle biglia perduta.
Matronale la Geneviève di Enkelejda Shokza, non troppo consistente ma alquanto espressiva; intenso e sacerdotale il medico di Roberto Lorenzi
Alla fine, alcuni istanti di silenzio dopo che la musica era sfumata hanno dato la misura della partecipazione del pubblico. Poi calorosi applausi per tutti, particolarmente per Bachtadze ed il direttore Angius.
[Andrea Poli]
Pelléas et Mélisandes – Teatro Municipale, Piacenza, 5 febbraio 2023.
Dopo le rappresentazioni modenesi, Pelléas et Mélisande, di Claude Debussy, approda al Teatro Municipale di Piacenza.
“I miei lunghi capelli scendono fino ai piedi della torre;
i miei capelli vi attendono lungo tutta la torre;
E lungo tutto il giorno,
E lungo tutto il giorno.
San Daniele e San Michele, San Michele e San Raffaele, Sono nata una domenica Una domenica a mezzodì…”
Nel terzo atto del Pelléas et Mélisande, questa scena, in particolare, ci ricorda quanto questa opera, tratta da un dramma di Maurice Maeterlinck, del 1892, sia sostanzialmente una favola. Inevitabile infatti pensare a quella di Raperonzolo dei fratelli Grimm e ai lunghi capelli della protagonista, che in parte hanno ispirato il dramma del teatro simbolista francese. Una fiaba oscura, tinta di luce e tenebre, che Claude Debussy metterà in musica fra il 1893 e il 1902. L’allestimento, pensato per Parma capitale della cultura 2020, è già stata recensita nel suo passaggio in streaming per la Rai (qui la nostra recensione). I registi Barbe & Doucet, che curano anche scene e costumi, si muovono seguendo la linea del racconto fantastico. Un mondo diviso fra l’oscurità della terra e isole fluttuanti nel cielo, che rimanda a una certa visione fantastica del maestro dell’animazione giapponese Miyazaki, e trova sicuramente una sponda importante nel pittore simbolista Arnold Böcklin e nella sua serie delle “Isole dei morti”, realizzata fra il 1880 ed il 1886. Uno spettacolo riuscitissimo, visivamente appagante, fantasy più che favolistico, impreziosito dalla massiccia presenza in scena dell’acqua, elemento importante nella trama dell’opera. Quanto ai costumi si opta per abiti dai colori chiari, di foggia ottocentesca, tutti molto riusciti. Perfette le luci di Guy Simar.
Il versante musicale dello spettacolo, vede trionfare la prova del Maestro Marco Angius che offre una lettura superlativa della melodia debussiana. Angius, complice il lavoro meticoloso compiuto sulla compagine orchestrale dell’Emilia-Romagna Arturo Toscanini, riesce a cesellare con raffinatezza ogni passaggio sonoro esaltandone, ad un contempo, la valenza drammaturgica. Un racconto musicale indagato sino nella sua intima essenza (quella del subconscio) e che si dispiega, scena dopo scena, in un affresco totalitario dove dimensione onirica e tensione emotiva sembrano convivere sino al commovente finale. Fondamentale, in questa opera di stampo spiccatamente sinfonico, diviene dunque il ruolo dell’orchestra che qui offre, specialmente nei fiati e negli archi, una prova di alto rango nel costruire sonorità impalpabili e delicate, a tratti quasi sussurrate. Ottimo l’equilibrio tra la buca e le voci presenti sul palco che divengono un tutt’uno indistinguibile con la melodia.
Nel cast spicca il Pélleas di Phillip Addis la cui vocalità baritonale presenta un caratteristico colore chiaro che a tratti ricorda il registro tenorile. Ben educata la linea che, con buona musicalità, si mostra ideale nel delineare il carattere innamorato e sognante del personaggio.
Karen Vourc’h offre una interpretazione incisiva e coinvolgente di Mélisande. La vocalità, sempre sorvegliata e ben impostata, incarna con credibilità la malinconica tristezza di questa ragazza misteriosa e a tratti evanescente. Ottima, soprattutto, la resa della seconda parte dello spettacolo.
Dion Mazerolle affronta Goulad con voce morbida e ben tornita. Nella prima parte sa essere protettivo ed amorevole verso Mélisande, creando, così, un marcato contrasto con la gelosa rabbia di cui sarà preda successivamente sino, infine, al totale pentimento nella scena conclusiva.
Sugli scudi la prova di Vicent Le Texier, la cui vocalità, dal colore scuro e dal timbro vellutato, infusa in un fraseggio granitico e scolpito, conferisce regalità e solennità al personaggio di Arkël, un sovrano dalla spiccata umanità circondato da un profondo senso di mestizia e di dolore.
Molto brava Silvia Frigato che, con freschezza e grazia vocale, riesce a dare vita al piccolo Yniold. Scenicamente risulta impareggiabile nel delineare un ragazzino ingenuo ma anche dalla marcata sensibilità.
Enkeleida Shokza interpreta, con vocalità screziata e un buon senso del fraseggio, la regina Geneviève.
Eccellente, per la carismatica presenza scenica, Roberto Lorenzi, impegnato nel duplice ruolo di un pastore e di un medico.
Ben a fuoco l’intervento fuori scena del Coro del Teatro Regio di Parma, diretto con professionalità dal Maestro Massimo Fiocchi Malaspina.
Caloroso successo al termine da parte di un pubblico soddisfacentemente numeroso arrivato a Piacenza per assistere all’unico titolo operistico della produzione di Claude Debussy.
[Marco Faverzani | Giorgio Panigati]
PELLÉAS ET MÉLISANDE
Dramma lirico in cinque atti e dodici quadri
su libretto di Maurice Maeterlinck
Musica di Claude Debussy
Mélisande Karen Vourc’h
Pelléas Phillip Addis
Golaud Michael Bachtadze (22.01) Dion Mazerolle (05.02)
Arkël Vincent Le Texier
Geneviève Enkelejda Shkoza
Yniold Silvia Frigato
Un medico, un pastore Roberto Lorenzi
Maestro concertatore e direttore Marco Angius
Regia, scene e costumi Barbe & Doucet
Regia ripresa da Florence BasLuci Guy Simard riprese da Andrea Ricci
Orchestra dell’Emilia-Romagna Arturo Toscanini
Coro del Teatro Regio di Parma
Maestro del coro Massimo Fiocchi Malaspina
Foto: Rolando Paolo Guerzoni e Mirella Verile