Spettacoli

I Vespri siciliani – Teatro alla Scala, Milano

“E la bella Trinacria, che caliga/ tra Pachino e Peloro, sopra l’ golfo/ che riceve da Euro maggior briga,/ non per Tifeo ma per nascente solfo,/ attesi avrebbe li suoi regi ancora,/ nati per me di Carlo e di Ridolfo,/ se mala segnoria, che sempre accora/ li popoli suggetti, non avesse/ mosso Palermo a gridar: “Mora, mora!”. Con questi versi (67-73 del canto VIII del Paradiso), pronunciati da Carlo Martello d’Angiò, Dante canta la bellezza della Sicilia e ricorda l’episodio storico del 1282: I Vespri siciliani. La rivolta con cui la Sicilia rifiutò la dominazione degli Angioini fu anche di ispirazione per Francesco Hayez che dedicò ben tre tele del 1822, 1826-27 e 1846 a questo episodio, perfetto per veicolare i valori risorgimentali e le istanze italiane di unità. Non poteva sfuggire a questo richiamo Giuseppe Verdi che centrerà su questo avvenimento il suo grand opéra del 1855, Les Vêpres siciliennes, che debuttò a Parigi, su libretto di Scribe e Duveyrier. La versione italiana, rappresentata per la prima volta al Regio di Parma il 26 dicembre 1855, sarà colpita dalla censura e dovrà cambiare titolo diventando la Giovanna de Guzman di ambientazione portoghese. L’ultima scaligera dei Vespri, è datata 1989 e diretta dal Maestro Muti. E ora torna, dopo trentaquattro anni, questo imponente capolavoro verdiano.

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Marina Rebeka

Regia, scene e costumi sono, in questa produzione, di Hugo De Ana che sposta la storia dalla fine del Duecento alla seconda guerra mondiale. Lo spettacolo è sicuramente monumentale, soprattutto nei primi due atti, dominati da cannoni e carri armati a grandezza naturale, poi nei restanti atti progressivamente la scena si spegne. Quello che convince meno è il perenne ed incombente grigio che può forse essere concettualmente sensato ma visivamente risulta molto monotono, soprattutto se pensiamo alla ambientazione mediterranea. Ogni tanto compaiono idee interessanti come la citazione del cavaliere della morte del Settimo sigillo di Bergman ma queste trovate appaiono slegate e poco utili a tratteggiare un disegno unitario. Alcune scelte poi sono quantomeno ingenue, come quando, alla fine del secondo atto, Elena uccide con un colpo di pistola un soldato in presenza di numerosi altri che potrebbero facilmente vendicarsi. Non ispiratissimi neppure i costumi, nello stile degli anni Quaranta ma anonimi e, in alcuni casi, tristi, come il maglioncino indossato dal tenore per gran parte del tempo. I lati più positivi si possono ravvisare in alcuni colpi d’occhio particolarmente riusciti, come nel finale con l’incendio del grande albero sul palco e nelle belle luci, sempre molto ispirate, di Vinicio Cheli. Altalenanti anche le coreografie di Leda Lojodice, in alcuni momenti più consonanti con lo spettacolo in altri meno efficaci.

Va meglio il versante musicale che riscatta in larga parte i punti irrisolti dello spettacolo.
A partire dalla concertazione, notevole, del Maestro Fabio Luisi che riesce a cogliere con maestria lo spirito risorgimentale della partitura. Il racconto musicale si snoda, teso e compatto, alternando momenti di maggiore concitazione ad altri pervasi da afflato romantico. Le scene di massa brillano per le dinamiche infuocate, pur condotte senza eccessi, in equilibrio perfetto con la compagine corale presente sul palcoscenico. Nei momenti solistici, poi, Luisi sa trovare sonorità morbide e rarefatte che sanno esaltare le peculiarità timbriche e vocali dei singoli interpreti. Azzeccata la scelta dei tempi, sempre incisivi nel delineare il contrasto tra le passioni e i tormenti dei personaggi e il turbolento affresco storico che rappresenta, mai come in quest’opera, un elemento essenziale nella drammaturgia. Unico neo, in una prova di così grande interesse, è rappresentato dal taglio dei ballabili in terzo atto cui si aggiunge la scelta, a dire il vero poco comprensibile e scenicamente sbagliata di non proporre il coro di apertura di quinto atto nell’ambito, tra l’altro, di una esecuzione altrimenti integrale.

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Luca Micheletti e Piero Pretti

La prova del Maestro Luisi viene avvalorata, tra l’altro, dalla pregevole sintonia con i complessi dell’Orchestra scaligera in grado di restituire un suono sempre pastoso, duttile e preciso. Particolarmente suggestiva, tra l’altro, risulta la Sinfonia, ove vengono scanditi, con fraseggio variegato e sfumato, i temi cardine dell’opera.

Superba, per impasto timbrico e brillantezza sonora, la prova del Coro del Teatro alla Scala diretto con solerte musicalità dal Maestro Alberto Malazzi.

Elena è Marina Rebeka, al debutto in uno dei ruoli più impegnativi, vocalmente ed interpretativamente, tra quelli nati dal genio verdiano. Il soprano possiede una vocalità preziosa e rigogliosa, contraddistinta dalla morbidezza dei centri e dallo slancio poderoso del registro acuto. La spiccata musicalità e la innata raffinatezza della linea fanno di Rebeka una ottima vocalista; ciò si riflette in una pregevole precisione esecutiva con cui supera le numerose insidie della parte. Di livello, in tal senso, è l’aria di quarto atto “Arrigo! Ah parli ad un core”, sorretta da un notevole controllo sul fiato. L’interprete è partecipe e coinvolta, specialmente nel duetto di secondo atto con Arrigo, nella lunga scena del carcere del quarto e nel drammatico terzetto che prelude la strage finale.

Altrettanto complesso è il ruolo di Arrigo che, qui, trova in Piero Pretti un interprete solido e sicuro. Il mezzo, di fattura squisitamente lirica, si dispiega con buona agilità nei cantabili come nella scrittura più arroventata senza mai perdere omogeneità. L’aria di quarto atto “giorno di pianto” è affrontata con slancio e il giusto pathos emotivo che ben si percepiscono attraverso una vocalità morbida e controllata. Ben risolti sono, del pari, i duetti con Monforte di primo e terzo atto e anche la delicata arietta di quinto atto “La brezza aleggia intorno” nella quale rileva una disinvolta salita al Re sopra il rigo nel finale. Pregevole la cura del fraseggio nel tratteggiare il tumulto interiore di questo giovane combattuto tra l’amore per Elena, il dovere filiale e la causa politica.

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Simon Lim

Molto bene ha fatto Luca Micheletti al suo primo incontro con il ruolo di Guido di Monforte. Il baritono sfoggia tutte le qualità di una vocalità che si fa ammirare per il colore brunito e il timbro pastoso, ma anche per la freschezza e la morbidezza dell’emissione che si espande con facilità in sala. Ben eseguita, grazie al combinato di suggestive mezze voci, l’aria di terzo atto “in braccio alle dovizie”. Notevole, poi, il fraseggio, e lo scavo compiuto dall’artista su ogni parola e ogni singolo accento. Non trascurabile, infine, neppure la presenza scenica, quanto mai disinvolta e trascinante (non dimentichiamo che Micheletti, oltre che cantante, è anche un bravo attore).

Completa il quartetto dei protagonisti Simon Lim che, con voce ampia e sonora, veste i panni di Giovanni da Procida. Vocalmente ha parecchie frecce al proprio arco, a partire dallo smalto di una emissione sempre rotonda e ben tornita. Se l’esecuzione è pregevole per la pertinenza stilistica, altrettanto centrato è il personaggio grazie alla passionalità di un fraseggio accorato e ben focalizzato nel sottolineare l’anelo patriottico di quest’uomo.

Incisivo e vocalmente di livello il sire di Bethune di Andrea Pellegrini.
A quest’ultimo è ben amalgamato, per impasto e colore, Adriano Gramigni come Conte Vaudemont.
Squillante il Danieli di Giorgio Misseri.
Valentina Pluzhnikova è una Ninetta che si fa notare per il timbro screziato ed ambrato.
Puntuali e ben a fuoco sono poi Brayan Avila Martinez, Christian Federici e Andrea Tanzillo nei ruoli, rispettivamente, di Tebaldo, Roberto e Manfredo.
Vivo successo al termine accomuna direttore e tutti gli artisti.
Si replica sino al 21 di febbraio.

21 febbraio 2023

Siamo tornati al Teatro alla Scala per assistere alla recita del 21 di febbraio che, rispetto a quella della quale abbiamo poco sopra riferito, vede un parziale cambio di cast.
Lo spettacolo di Hugo De Ana, al netto di qualche trovata interessante, conferma una plumbea monotonia cromatica e visiva che, con il progredire dello spettacolo, fa precipitare la tensione narrativa in una sensazione di inevitabile piattume. È un vero peccato constatare, inoltre, come l’impostazione voluta dal regista arrivi a condizionare anche la partecipazione emotiva e l’efficacia sulla scena degli interpreti principali.

Il versante musicale, in ogni caso, viene ampiamente riscattato dalla pregevole direzione del Maestro Fabio Luisi che, in questa occasione, sembra avere raggiunto una intesa totale con i complessi orchestrali. Grande è la cura del suono, sempre preciso e pulito, così come attenta la scelta dei tempi che risponde appieno alle esigenze drammaturgiche presenti di volta in volta in partitura. Convincenti sono del pari le grandi scene corali così come le meravigliose oasi liriche riservate ai protagonisti. Le prime, specialmente nei concertati, sono guidate con brillantezza e vivacità senza incappare in scelte di ritmi troppo serrati o sonorità roboanti. Le seconde, poi, sono pervase da un tappeto sonoro sfumato e delicato che ben rappresenta i dissidi interiori e le pulsioni dei personaggi.

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Luca Micheletti e Piero Pretti

Notevole, senza dubbio, la compagnia di canto.
Matteo Lippi, giunto per sostituire il collega Piero Pretti annunciato indisposto, esce vittorioso dal confronto con una delle parti più temibili tra quelle concepite dal genio verdiano. Il tenore possiede un mezzo dal colore solare, caratterizzato da spiccata musicalità e da buona omogeneità. La scrittura viene affrontata con generosità tanto nei centri, sempre morbidi e torniti, quanto nel registro superiore, sicuro e ben timbrato. Pregevole l’esecuzione dell’aria di quarto atto “giorno di pianto”, impreziosita da accorata partecipazione emotiva, così come l’arietta di quinto, espugnata con il giusto controllo. Non trascurabile, inoltre, la disinvoltura scenica che si unisce ad un fraseggio sfumato ed incisivo.

Note positive per il Monforte di Roman Burdenko, in possesso di una vocalità sonora e compatta. Il mezzo si rivela adeguato alla scrittura verdiana sia per colore sia per peculiarità timbriche; notevole, in particolare, il registro superiore, esibito con la giusta brillantezza. Al netto di una dizione talvolta perfettibile, l’interprete risulta sempre convincente, in virtù, tra l’altro, di una presenza autorevole.

In luogo della annunciata Angela Meade, ritroviamo il soprano Marina Rebeka che, forte di una linea musicale e di adamantina purezza, supera con raffinatezza ed eleganza le insidie del ruolo e si rende protagonista di una prova di alto rango. Vocalmente si mostra sicura e sempre sorvegliata, scenicamente composta e disinvolta nel tratteggiare al meglio questa eroina dilaniata tra il sentimento amoroso e lo spirito rivoluzionario.

Completa il quartetto dei protagonisti il bravo Simon Lim, dal quale si apprezza, in particolare, il colore brunito e la facilità di espansione nel registro superiore. Ritroviamo, ancora una volta, un interprete convincente che sa ben rendere la subdola e persistente ostinazione del patriota siciliano nella realizzazione dei propri ideali di liberazione dall’invasore.

Davvero notevole, per incisività vocale e scenica, la folta schiera dei comprimari nella quale spicca la linea corposa e chiaroscurata di Valentina Pluzhnikova, Ninetta, ma anche lo squillo di Giorgio Misseri, Danieli.

Sugli scudi, ancora una volta, la prova del Coro del Teatro alla Scala, diretto con lodevole professionalità dal Maestro Alberto Malazzi.

Il pubblico, accorso numeroso per questa ultima recita della produzione, dopo essere stato piuttosto parco di applausi durante l’esecuzione, riserva un caloroso successo alla compagnia e al Maestro Luisi.

I VESPRI SICILIANI
Dramma in cinque atti
Libretto di Eugène Scribe e Charles Duveyrier
Musica di Giuseppe Verdi

Guido di Monforte Luca MichelettiRoman Burdenko (21.02)
Il signore di Bethune Andrea Pellegrini
Il conte Vaudemont Adriano Gramigni
Arrigo Piero PrettiMatteo Lippi (21.02)
Giovanni da Procida Simon Lim
La duchessa Elena Marina Rebeka
Ninetta Valentina Pluzhnikova
Danieli Giorgio Misseri
Tebaldo Brayan Avila Martinez
Roberto Christian Federici
Manfredo Andrea Tanzillo
Orchestra del Teatro alla Scala
Direttore Fabio Luisi
Coro del Teatro alla Scala
Maestro del Coro Alberto Malazzi

Regia, scene e costumi Hugo de Ana
Luci Vinicio Cheli
Coreografia Leda Lojodice

FOTO: Brescia Amisano Teatro alla Scala