Lo schiaccianoci
La stagione del balletto alla Scala debutta con Lo schiaccianoci nella versione coreografata da Rudolf Nureyev di cui nel 2023 si commemorano i trent’anni dalla scomparsa. La Scala rende omaggio al grande ballerino con quella che è considerata la rivisitazione più riuscita tra le coreografie del Tartaro volante. La prima versione del balletto, sulle celeberrime musiche di Pëtr Il’ič Čajkovskij che le compose seguendo le precise indicazioni dei coreografi, spetta a Lev Ivanov, che lavorò sotto la guida del grande Petipa e fu messa in scena nel 1892 al Mariinskij di San Pietroburgo. Nel 1967 Nureyev, che ha interpretato più volte il ruolo del Principe Schiaccianoci, apportò alcune modifiche alla coreografia e alla struttura narrativa, dandone una personalissima interpretazione e da allora la sua è stata una delle versioni più rappresentate e amate, grazie anche al felice sodalizio con Nicholas Georgiadis, autore di scene e costumi. Lo schiaccianoci di Nureyev e Georgiadis, entrato ormai nel repertorio di moltissimi teatri di tutto il mondo, debuttò alla Scala nel 1969.
Il balletto, basato sul racconto di Ernst Theodor Amadeus Hoffmann, edulcorato da Alexandre Dumas, è strutturato in due atti che si possono riassumere in realtà e sogno. Nel primo atto, ambientato in un interno borghese dove la famiglia si raduna per Natale, la piccola Clara riceve in regalo dall’ambiguo, ma affascinante, padrino Drosselmeyer un burattino-schiaccianoci. Durante la notte Clara sogna che lo schiaccianoci è prima attaccato dall’esercito dei topi, da lei coraggiosamente difeso e poi si trasforma in un Principe che guidando un regimento di soldatini sconfigge i ratti. Al termine dello scontro il Principe, la cui benda nera sull’occhio aiuta a svelarne la reale identità, la conduce in un mondo fatato dal quale tornerà solo al suo risveglio.
Del tutto rinnovato ma di primissimo piano il cast che ha interpretato la rappresentazione del 18 dicembre, alla quale ha assistito OperaLibera, con i primi ballerini Nicoletta Manni nel ruolo di Clara e Timofej Andrijashenko nel ruolo del Principe, entrambi perfetti, sia per tecnica che per interpretazione. Bravissimi i primi ballerini e ballerini solisti che eseguono le danze di carattere del secondo atto, tra i quali abbiamo particolarmente apprezzato gli interpreti della Pastorale (Di Clemente, Del Freo e Giubelli). Ma è soprattutto nelle coreografie d’insieme che Lo schiaccianoci si conferma un capolavoro, grazie al Corpo di ballo che esprime tutto il suo potenziale, in particolare nella danza dei fiocchi di neve (un plauso a Maria Celeste Losa) e nel valzer dei fiori. In questi momenti la superlativa musica di Čajkovskij (diretta dal russo Valery Ovsyankikov), così celebre che risuona in noi come una voce amica, consente ai ballerini di entrare in profondo contatto con il pubblico che viene trasportato nell’incalzante concatenazione delle danze di carattere e nei valzer abbandonandosi con fiducia, certo dell’esito emozionale dello spettacolo.
Grande apprezzamento anche per i giovanissimi interpreti dell’Accademia (ballerini e voci bianche) che soprattutto nel primo atto contribuiscono a conferire allo Schiaccianoci quella dimensione di favola per bambini, di ambiente familiare e caloroso che conferisce al balletto anche una particolare dimensione di nostalgia e ricordo dell’infanzia voluta da Nureyev.
Più teatrale il primo atto, quello della realtà, più tecnico e danzato il secondo, quello del sogno, la scansione dei quali è efficacemente sostenuta dalle musiche di Čajkovskij, perfettamente aderenti alla narrazione. Grazie alle modifiche dramaturgiche di Nureyev, la favola si presta a diversi livelli di lettura e interpretazione; rimane tale e meravigliosa per i bambini, ma sono possibili anche chiavi di lettura più profonde che possono offrire spunti di riflessione a un pubblico adulto. In particolare la figura di Clara, bambina che diventa adulta, è paradigmatica delle difficoltà della crescita, degli scontri con la famiglia, attraverso il sovrapporsi di sogno e realtà di cui la metamorfica figura di Drosselmeyer/Principe rappresenta l’elemento di connessione.
Stupiscono ancora le scene e i costumi di Georgiadis (e luci di Andrea Giretti), nonostante gli oltre cinquant’anni di età e nonostante il carattere didascalico e romantico dell’allestimento. A distanza di tempo restano del tutto convincenti, in ottimo equilibrio tra eleganza e ricchezza di dettagli senza soverchiare gli interpreti, ma anche senza tradire la natura del balletto.