La traviata
La stagione del teatro Petruzzelli si conclude con La Traviata, la più bella forse tra le opere di Giuseppe Verdi perché intrisa dei più alti e romantici sentimenti: l’amore, l’altruismo e il sacrificio. “Mai Verdi scrisse musica che arrivasse così diretta al cuore, come per questa povera cortigiana assetata d’amore, ansiosa di redimersi.” Queste le bellissime parole che si ascoltano nel memorabile sceneggiato verdiano della Rai, con la regia di Renato Castellani. In molti hanno voluto ravvisare nel dramma di Violetta quello di Giuseppina Strepponi, seconda moglie di Verdi mai completamente accettata dal suocero e benefattore del compositore Antonio Barezzi, perché donna di comprovata esperienza, la quale andava in sposa a Verdi già così amaramente esperta. Violetta rinuncia ad Alfredo, vittima del pregiudizio della società borghese di quel tempo, la stessa che chiude spietatamente le porte alla celebre Strepponi inutilmente in cerca di riscatto, la quale tenta di cancellare il suo passato con un grande amore. La prima rappresentazione dell’ultima opera della trilogia verdiana, tratta dal romanzo La Dame aux Camelias di Alexandre Dumas, avvenne il sei marzo del 1853 presso il Gran Teatro La Fenice.
La stagione del teatro barese si conclude con un’edizione stellare del capolavoro verdiano. La produzione è del teatro Petruzzelli, la regia di Hugo de Ana, il quale firma anche scene e costumi, e le luci di Valerio Alfieri. L’allestimento scenico è quanto di più bello, sontuoso, rispettoso, classico ed elegante si possa desiderare. Ne abbiamo bisogno, dopo tante regie che con la drammaturgia di Traviata nulla hanno a che fare. Il regista argentino pospone di poco l’azione agli anni settanta/ottanta dell’Ottocento, la scenografia riproduce un elegante salone in stile impero, con la presenza di tele del celebre pittore pugliese Giuseppe De Nittis. La direzione è affidata al giovane maestro Giacomo Sagripanti, la cui direzione è sempre puntuale e in perfetta sintonia con i cantanti, il tessuto musicale verdiano è trapunto di espressivi accenti introspettivi del palpito dei personaggi, nel caso specifico, nello struggente duetto tra Violetta e Germont. L’orchestra si colora e partecipa alla disperazione di Violetta che, già malata di tisi, si vede costretta a rinunciare ad Alfredo. Ogni sezione orchestrale procede con perfetta compattezza e il gesto del maestro è deciso nell’ imprimere suggestivi colori nel piano dei violini nei preludi di primo e terzo atto, lucentezza nelle eleganti feste di primo e secondo atto. Il direttore stacca tempi sempre rispettosi delle ragioni dei cantanti e il risultato è impeccabile.
Il soprano georgiano Nino Machaidze dà vita ad una Violetta elegante, innamorata, riflessiva, sofferente, ma anche ribelle. Colpisce la variegata gamma di colori e il fraseggio scolpito. Il suo è un canto sulla parola, la sua Violetta non si limita a disperarsi nel duetto con Germont padre, ma si difende e non rinuncia a descrivere. Con straziante dolore le sue condizioni di salute che presto la separeranno dal suo amato e più avanti “l’Amami Alfredo” è un lacerante e disperato desiderio di far comprendere a quest’ultimo quanto immenso sia il suo amore, al punto di sacrificarsi.. Nel bellissimo concertato di secondo atto la violetta incarnata dalla Machaidze è devastata dal dolore dell’ umiliazione subita, il canto è franto, addolorato. La sua magistrale Violetta si spegne nell’atto terzo, come una candela che lentamente e muore, ormai non più alimentata dal soffio della vita. La grande tecnica permette alla giovane artista di restituirci una violetta di riferimento, il colore è seducente e aureo, la voce, bellissima, avvolgente e imponente, possiede un considerevole volume, la linea melodica è cesellata da una costante morbidezza e pulizia negli attacchi e da un perfetto immascheramento. La vocalità è duttile e ben si presta alle impervie agilità della terribile cabaletta Sempre libera, risolte sapientemente. Del soprano si apprezza il legato, l’eccellente musicalità e prodezza nell’ accarezzare ogni nota. I suoi pianissimo sono perfettamente sostenuti e impalpabili.
Non da meno l’Alfredo di Celso Albelo, premuroso e innamorato nel primo atto; fiero, focoso, furente e pentito nel secondo, ormai impotente e distrutto dal dolore nel terzo. Il tenore esibisce un’ottima linea di canto, sorretta da impeccabile tecnica, il suono è divenuto negli anni maggiormente rotondo e la vocalità si è irrobustita, pur conservando il bel colore chiaro e lo squillo che l’ha sempre caratterizzata fin dagli esordi di Albelo, si ricordi l’adamantino fa sovracuto nei puritani belliniani. La dizione è cristallina, gli acuti suonano ben proiettati e sicuri e il volume non teme confronti con l’orchestra, superata dal cantante con disinvoltura. Vladimir Stoyanov incarna un crudele e autorevole Giorgio Germont, figlio della società del suo tempo, ai suoi occhi il sacrificio di Violetta è, in un primo momento, indifferente, il canto di Stoyanov tuttavia si tinge di empatia e accenti compassionevoli allorché afferma: “Oh, malcauto vegliardo!… il mal ch’io feci ora sol vedo!” L’artista entra di diritto nel novero dei baritoni verdiani per voce brunita, magnifico e seducente colore, vocalità rigogliosa e rotonda, assoluta eleganza nel porgere il sempre nobile fraseggio. Il suo strumento vocale, di ottima qualità e cospicuo volume, corre in sala ed è di grande effetto.
Molto brava la Flora Bervoix di Daniela Innamorati, corretta la Annina di Margherita Pugliese. Di bella voce il Dottor Grenvil interpretato dal basso Dongho Kim e buone anche le prove di Jungmin Kim come barone Douphol, Marco Miglietta come Gastone, Pierluigi Dilengite come marchese d’Obigny, Murat Can Guvem nella parte di Giuseppe, Carmine Giordano, un commissionario e infine di Antonio Muserra, un domestico di Flora. È balsamo per le orecchie ascoltare il bravissimo coro del teatro Petruzzelli guidato dal preparato maestro Fabrizio Cassi. Il folto pubblico, in ogni ordine di posti, tributa entusiastici, meritati e giusti applausi per tutti, con un’ovazione alla Machaidze. Lo spettacolo si replica fino al ventotto dicembre.
LA TRAVIATA
di Giuseppe Verdi
Melodramma in tre atti, su libretto di Francesco Maria Piave,
tratto dall’opera teatrale di Alexandre Dumas figlio, “La dame aux camélias”, del 1848
INTERPRETATO DA
Violetta Valéry
Nino Machaidze
Flora Bervoix
Daniela Innamorati
Annina
Margherita Pugliese
Alfredo Germont
Celso Albelo
Giorgio Germont
Vladimir Stoyanov
Il dottor Grenvil
Dongho Kim
Gastone
Marco Miglietta
Il Barone Douphol
Jungmin Kim
Il Marchese d’Obigny
Pierluigi Dilengite
Giuseppe
Murat Can Guvem
Un commissionario
Carmine Giordano
Un domestico di Flora
Antonio Muserra
direttore Giacomo Sagripanti
regia, scene e costumi Hugo de Ana
disegno luci Valerio Alfieri
maestro del coro Fabrizio Cassi
ORCHESTRA E CORO DEL TEATRO PETRUZZELLI
Allestimento scenico | Fondazione Teatro Petruzzelli
Foto di Clarissa Lapolla cortesia del Teatro Petruzzelli