La sonnambula
All’Opera di Nizza, una strepitosa apertura di stagione con La sonnambula di Vincenzo Bellini.
Il fenomeno del sonnambulismo è oggi associato, secondo le neuroscience, principalmente alla età evolutiva: un disturbo transitorio e benigno ma tradizionalmente è sempre stato anche metafora dell’inconscio, del mondo sommerso ed incomprensibile che vive in ognuno di noi. “Gli uomini diventano cattivi e colpevoli perché parlano e agiscono senza figurarsi l’effetto delle loro parole e delle loro azioni. Sono sonnambuli, non malvagi.” Così sosteneva Franz Kafka e, su questa linea di pensiero, ha operato il regista Rolando Villazón. La sua Sonnambula (regia qui ripresa da Jean-Michel Criqui) è un’opera dove la sola Amina è un personaggio vivo e reale, nonostante il suo sonnambulismo, mentre tutti gli abitanti del villaggio e lo stesso Elvino sono chiusi nelle proprie idee, nella loro piccola cattiva realtà e vivono, di fatto, costantemente come sonnambuli. La scena, a cura di Johannes Leiacker è estremamente semplice e riuscita: tre pareti bianche con molte porte disegnano idealmente la piazza del villaggio svizzero e nella parte alta della scena belle proiezioni ( a cura di Renaud Rubiano – Studio Mirio / Innovative Visual Creations) evocano i monti elvetici. Nonostante le bianchissime e splendenti luci di Davy Cunningham incombe un senso di penitenza e di oscurantismo quasi puritano: gli abitanti del villaggio indossano costumi, a cura di Brigitte Reiffenstuel, che rimandano alla severità dei movimenti riformatori. La gestualità in scena è sempre compassata e limitata. Elvino, da giovane innamorato che era, diventa un conformista che non riesce a cogliere l’amore puro di Amina e sceglie alla fine di sposare Lisa, continuando la sua vita sonnambula. Una bella trovata registica, che racconta una storia diversa da quella a cui siamo abituati: se si annulla di fatto il lieto fine, viene dato più spazio a quella sottile angoscia che serpeggia in tutto il componimento belliniano, carico di quella struggente tristezza della musica del genio catanese. Una produzione riuscita ed interessante che rispetta anche i cantanti mettendoli costantemente al centro della produzione ed è giusto che così avvenga data la qualità altissima del cast che, tra l’altro, annovera tre debutti di lusso.
Il primo è quello della protagonista. Sara Blanch affronta, per la prima volta, il ruolo della tenera Amina e lo fa con quella sicurezza, vocale ed interpretativa, da far pensare che l’incontro con l’eroina belliniana sia avvenuto oramai da tempo.
La spiccata musicalità ed omogeneità del mezzo, dal colore suadente e dal timbro luminoso, lo rendono ideale per questo ruolo. Al suo apparire in scena, il soprano esegue l’aria di primo atto, “Come per me sereno”, con grande morbidezza e bel legato. Nella successiva cabaletta, poi, si resta impressionati per la precisione con cui vengono snocciolate le rapinose colorature e per la facilità con cui si susseguono picchiettati, salti d’ottava e variazioni di vario tipo. Giunta alla grande scena finale, Blanch declama il lungo recitativo con una linea musicale ben timbrata e naturalmente espressiva. E se l’aria “Ah, non credeva mirarti”, commuove per la toccante malinconia che traspare dalle lunghe arcate melodiche, la successiva cabaletta “Ah non giunge” conquista per il nitore delle agilità e dei sopracuti lanciati come fuochi d’artificio (bellissima l’interpolazione prima della ripetizione della seconda strofa del brano). Se l’esecutrice è di prim’ordine, altrettanto straordinaria è l’interprete. La cura dell’accento e del fraseggio lasciano presagire uno studio approfondito del personaggio qui reso in tutte le sue sfaccettature. Troviamo, quindi, una ragazza pura e piena d’amore, curiosa di scoprire il mondo e di uscire dalla realtà stereotipata e bigotta che la circonda. Di grande suggestione, inoltre, la capacità con cui l’artista riesce a rendere le scene del sonnambulismo con allucinato straniamento. Il soprano riesce dunque a tratteggiare il personaggio con convinzione grazie alla indiscussa capacità di piegare la vocalità ai fini espressivi: valga, su tutti, la forza con cui viene emesso il sopracuto finale della cabaletta, vero e proprio grido di dolore che segna il commiato di Amina dal suo Elvino e dalla sia gente. Non passa inosservata, infine, la presenza scenica, sempre aggraziata e deliziosa.
Accanto a lei, Edgardo Rocha, per la prima volta nel ruolo di Elvino. Il tenore uruguayano possiede un timbro solare e una vocalità generosa ed avvolgente. La linea è sempre ben tornita e controllata a tutte le altezze, sicura in acuto e rigogliosa nei centri. Stilisticamente pertinente, Rocha convince sin dal suo ingresso, con quel “Prendi, l’anel ti dono”, attaccato con tale dolcezza e trasporto da conquistare immediatamente il pubblico. Magistrale, poi, l’esecuzione dell’aria di secondo atto “Taci il guardo” dove Rocha esibisce un gran bel legato, così come la successiva cabaletta “Ah perché non posso odiarti”, la cui impervia scrittura viene superata con grande slancio e pregevole controllo della scrittura. Il perfetto dominio della frase musicale riesce inoltre a valorizzare ogni singola pagina grazie alla maestria con cui vengono esaltati tutti gli accenti previsti in partitura. Anche per Rocha si evidenziano la totale immedesimazione del personaggio e la gradevole presenza scenica.
Questa opera contiene alcuni tra i più bei duetti mai scritti, non solo dal compositore catanese, ma dell’intera produzione operistica. Le vocalità di Blanch e Rocha si amalgamano perfettamente per impasto timbrico, si rincorrono ed intersecano dando vita ad arabeschi vocali di grande poesia.
Terzo debutto nella compagnia è quello di Adrian Sâmpetrean nel ruolo de Il Conte Rodolfo. Il basso, di origine rumena, possiede una vocalità corposa e dal timbro vellutato, una linea che si staglia con grande duttilità e musicalità tra le righe del pentagramma. Ottima l’esecuzione dell’aria “Vi ravviso o luoghi ameni”, affrontata con nobiltà e grande compostezza. Sempre scolpito e ben tornito l’accento.
Un plauso a Cristina Giannelli che presta al
personaggio di Lisa una vocalità melodiosa e squillante. Di buon livello l’esecuzione del brano di apertura dell’opera, “Tutto è gioia”, mentre nell’aria di secondo atto “De’ lieti auguri”, il soprano sfoggia una linea sicura e precisa, particolarmente apprezzabile nelle frequenti volatine in acuto e nella gestione del canto di agilità.
Note positive anche per Annunziata Vestri, che, grazie ad un mezzo di buon volume e dal caratteristico colore ambrato, tratteggia una Teresa ben riuscita ed incisiva. Scenicamente perfetta nel sottolineare il senso di materna protezione e difesa nei confronti della figlia contro le vessazioni degli abitanti del villaggio.
Efficace e puntuale, tanto sotto il profilo vocale quanto quello scenico ed interpretativo, l’Alessio di Timothée Varon.
Completa la locandina Emanuele Bono, direttamente dalle fila del Coro dell’Opéra di Nizza.
L’ottima riuscita dello spettacolo è assicurata dalla presenza in buca del Maestro Giuliano Carella, direttore di comprovata esperienza e grande conoscitore, tra l’altro, del repertorio belcantista. Il Maestro opta per l’esecuzione integrale della partitura e offre una prova eccellente per pertinenza stilistica e per aderenza al dettato dell’autore. La melodia bellianiana viene restituita, così, in tutta la sua delicatezza e romanticismo, un racconto dalle tinte pastello, che si dipana attraverso sonorità languide e vaporose, lunghe frasi musicali sospese e articolate con grande morbidezza. Carella lavora di intesa con il palcoscenico scegliendo tempi ottimali e creando una simbiosi perfetta tra il dettato musicale e le peculiarità delle vocalità dei singoli personaggi. Gli interpreti sono così supportati dal Maestro che non si limita a creare un perfetto sostegno a quanto accade sulla scena, ma riesce a creare finezze ritmiche e sonore che cangiano in continuazione mettendo in luce la preziosità del tessuto musicale di questa partitura.
Alle intenzioni del Maestro risponde l’Orchestra Filarmonica di Nizza che qui appare in forma smagliante per politezza e, soprattutto, per la capacità di condurre il racconto musicale con dolcezza e leggerezza evitando clangori o eccessi.
Di buon livello la prova del Coro dell’Opéra di Nizza, sonoro e compatto in ogni intervento, brillante ed incisivo, specialmente nella pagina di apertura di secondo atto.
Successo trionfale al termine, da parte di un pubblico che esauriva la sala in ogni ordine di posto, con punte di particolare apprezzamento per la coppia dei protagonisti.
LA SONNAMBULA
Melodramma serio in due atti
libretto di Felice Romani
musica di Vincenzo Bellini
Conte Rodolfo Adrian Sâmpetrean
Teresa Annunziata Vestri
Amina Sara Blanch
Elvino Edgardo Rocha
Lisa Cristina Giannelli
Alessio Timothée Varon
Un notaro Walter Omaggio
Orchestra e Coro dell’ Opera di Nizza
Direttore Giuliano Carella
Regia Rolando Villazón ripresa da Jean-Michel Criqui
Scene Johannes Leiacker
Coreografie Philippe Giraudeau
Costumi Brigitte Reiffenstuel
Luci Davy Cunningham
Video Renaud Rubiano Studio Mirio / Innovative Visual Creations
Coproduzione Théâtre des Champs-Élysées, Semperoper Dresden, Opéra Nice Côte d’Azur, Metropolitan Opera – New York
Foto: Opéra Nice Côte d’Azur/D. Jaussein