Don Giovanni
Ma chi è davvero Don Giovanni? Questo l’interrogativo che serpeggia per tutto il Don Giovanni di Mozart secondo Cristina Pezzoli, a Lucca Teatro del Giglio con la direzione di Alessandro Cadario. L’allestimento è del Teatro di Pisa in coproduzione con la Fondazione Stiftung Haydn di Bolzano e Trento ed appunto il Teatro del Giglio. Andato in scena al Verdi di Pisa nel gennaio 2020, appena prima della chiusura per la pandemia, viene ora ripreso da Luca Orsini, dopo la prematura scomparsa di Cristina Pezzoli nel maggio di quello stesso anno. Quest’ultimo lavoro della regista si delinea come una vera e propria indagine del mito di Don Giovanni, figura che assieme a quella di Faust, troneggia sulla soglia dell’età contemporanea. “Alla ricerca di un nucleo fondativo”, scrive la Pezzoli nelle note di regia, senza la pretesa di farne un’esegesi coerente o esaustiva.
L’azione è collocata in uno spazio astratto ispirato al Circo Nero e simile al teatro di un grande illusionista; cornice non rigida, che si apre e si chiude, e dove si svolge il gioco degli inganni e si avvicendano le epifanie del personaggio in un caleidoscopio di sfaccettature: più seducente che seduttore, spregiudicato ed edonista, narciso dei nostri tempi.
Suggestiva l’apertura del sipario con la ballerina tipo farfalla bianca o angelo della morte cha danza con il protagonista; ipnotico il trapezio durante l’uccisione del Commendatore, segno della precarietà e della nostra sospensione nel vuoto. Smagliante l’entrata di Donna Elvira, che per l’occasione non indossa la gonnella, ed alquanto originale la resa del catalogo con le proiezioni sullo sfondo; sicuramente d’effetto la festa, senza fuga del protagonista che resta invece inchiodato al palcoscenico del suo mondo incantato. Funzionali a tutto questo carosello i fantasiosi costumi di Giacomo Andrico, autore anche delle scenografie, e le luci disegnate da Valerio Alfieri. Anche i balletti, sognanti e surreali, sono parte integrante ed inscindibile di questo lavoro, con le coreografie del Nuovo Balletto di Toscana ad opera di Arianna Benedetti. Valida l’idea di inserire suoni elettronici per accrescere l’atmosfera magica, meno convincenti i microfoni per valorizzare alcuni dettagli del testo e della partitura.
La rappresentazione diviene sempre più intensa dopo l’episodio del cimitero, con un ritmo serrato e con l’accavallarsi di simboli, come se la presenza della morte scatenasse in tutta la sua forza il dramma della libertà. Vertiginosa la conclusione della vicenda con Don Giovanni che apre le braccia sovrastato dalla croce che si incendia: chissà se dannazione, chissà se catarsi. Ma allora chi è Don Giovanni? Eros vitale o desiderio di annientamento? Puer aeternus o titano che sfida i Numi? Superuomo al di là del bene o del male o artista bandito dalla morale comune? Alla fine, il circo ricompare pieno di oggetti ma senza illusioni: e lui, il seduttore luciferino, è stato inscatolato, idolo depotenziato, fenomeno da baraccone.
La direzione di Alessandro Cadario ha un sostegno puntuale e costante alle voci, con particolare attenzione alla dimensione ritmica e alla misura del tempo. Costruiti con precisione i pezzi d’insieme, come il concertato intermedio d’atto ed il finale; tenute saldamente insieme le danze del ballo come gli intrecci del terzetto delle mascherette. L’accordo iniziale dell’overture è tuttavia sfuocato, così come del resto risulta un po’ indefinito il tema del convitato di pietra. Realizzata con vibrante tensione l’intera narrazione della cena.
L’Orchestra Archè ha un suono pieno e brillante ma gli attacchi non sono troppo precisi; appropriati anche se poco incisivi gli interventi del Coro Archè, comunque concorde ed aggraziato, diretto da Marco Bargagna.
Il cast dei cantanti si dimostra affiatato ed in perfetta sintonia con la macchina registica. Compatta infatti l’esecuzione dei pezzi d’insieme e valida in ogni parte la recitazione. In generale un po’ faticoso il rapporto dei solisti con la buca orchestrale, ma sempre risolto in accordo e senza significativi scollamenti.
Daniele Antonangeli dà forma ad un Don Giovanni poliedrico e complesso. Nonostante la voce non sia troppo consistente ed estesa, il cantante si avvale di un fraseggio articolato ed elegante, con un timbro caldo e sensuale che ben si addice al personaggio. E’ morbido e misterioso nel duetto con Zerlina e garbatamente giocoso nella festa; ha qualche incertezza nella serenata ma dà notevole rilievo alle scene del cimitero e della cena, superbo ed animalesco, perfino mefistofelico, eppur tragicamente fragile.
Il Leporello di Nicola Ziccardi si configura appropriatamente come una sorta di doppio del suo padrone, differente e complementare. E’ corretto e modulato nei cantabili, che però perdono di spessore per la scarsità di volume, ed è molto espressivo nei recitativi, benché tendano troppo al parlato. Vario e divertente nell’aria del catalogo e sempre originale nella recitazione.
Francesca Cucuzza interpreta Donna Elvira con passione ed energia. Si muove con disinvoltura nei diversi registri e definisce le note con rotondità, pur incappando in alcuni slittamenti. Imprime all’aria “Ah chi mi dice mai” un carattere luminoso e risoluto ed è ampia ed incisiva in ogni parte del recitativo. E’ patetica e malinconica all’inizio del secondo atto e realizza con duttilità “Mi tradì quell’alma ingrata”, rappresentando vividamente il conflitto del personaggio fino agli scambi assai taglienti della cena.
Intensamente drammatica Sonia Ciani nel ruolo di Donna Anna. Lo strumento è esile ma esteso, il canto agile e screziato. Struggente nell’esclamazione “ah, il padre mio dov’è” del duetto iniziale, esegue con impeto e qualche asprezza “Or sai chi l’onore” ed è lirica e più morbida nel rondò “Non mi dir bell’idol mio”.
Massimo Frigato caratterizza Don Ottavio come un giovane aristocratico ingenuo ed innamorato. Chiaro e delicato, imposta correttamente “Della sua pace”, ma l’aria poi riesce ordinata e trasparente soltanto per metà; traccia con maggiore nitore “Il mio tesoro intanto” e risulta assai melodico nel duettino conclusivo con Donna Anna.
Federica Livi è una Zerlina furbetta e piena di brio. Se i recitativi risultano un po’ bruschi e monotoni, i momenti di arioso sono invece più dolci e sfumati, come in “Vorrei, e non vorrei…” e in “Batti, batti o bel Masetto”. Rende con efficacia l’ambivalenza dei sentimenti nei confronti di Don Giovanni, ma non spiccano tuttavia quegli elementi di freschezza e di soavità che contraddistinguono il personaggio mozartiano.
Sanguigno il Masetto di Italo Proferisce, con una proiezione sicura e consistente. E’ solare nel coro dei contadini ed interpreta l’aria “Ho capito, signorsì!” con stizza e vigore.
Sbalzata con forza la figura del Commendatore di Paolo Pecchioli. La dizione è scolpita e solenne, ogni frase è precisa ed omogenea, terribile e tonante, senza cedimenti.
Lo spettacolo è stato molto applaudito, con tutti gli interpreti vistosamente commossi nel ricordo di Cristina Pezzoli, e forse anche nella gioia per aver dato ancora vita al suo Don Giovanni, opera ultima.
DON GIOVANNI
Dramma giocoso in due atti K 527 di Wolfgang Amadeus Mozart
Libretto di Lorenzo Da Ponte
Don Giovanni Daniele Antonangeli
Il Commendatore Paolo Pecchioli
Donna Anna Sonia Ciani
Don Ottavio Massimo Frigato
Donna Elvira Francesca Cucuzza
Leporello Nicola Ziccardi
Masetto Italo Proferisce
Zerlina Federica Livi
Direzione Alessandro Cadario
Regia Cristina Pezzoli
ripresa da Luca Orsini
Scene e costumi Giacomo Andrico
Light designer Valerio Alfieri
Orchestra Archè
Maestro al fortepiano Riccardo Mascia
Coro Archè
Direzione coro Marco Bargagna
Corpo di Ballo Nuovo Balletto di Toscana
Coreografa Arianna Benedetti
Foto Alcide, Lucca