Lady Macbeth: quattro soprani a confronto
Analizzando l’interpretazione di quattro soprani di riferimento nella parte di Lady Macbeth ci si propone di fare qualche breve considerazione sul complesso e quanto mai affascinante personaggio femminile dell’opera verdiana, motore primo dell’oscuro dipanarsi della catena delittuosa che porterà i regnanti usurpatori del trono di Scozia alla perdizione e alla morte. Lady Macbeth è una donna che ha perso ogni traccia di umanità; nella tragedia di William Shakespeare viene fatto cenno al fatto che un tempo la donna avesse allattato; nella versione di Verdi, dopo aver ricevuto la lettera del marito, è già completamente avvinta dall’idea di diventare regina anche se questo avrebbe comportato l’uccisione del re Duncano. Verdi aveva immaginato per il soprano che l’avrebbe impersonata una voce aspra, soffocata, demoniaca e “brutta”. Da notare come questo aggettivo in molti casi non avesse lo stesso significato che oggi gli si attribuisce. Nel caso specifico dell’opera, il librettista Piave fa dire nel secondo Atto a Macbeth “brutto” rivolgendosi al sicario che ha ucciso Banco: «di sangue hai brutto il volto»», dove “brutto” è inteso come guastato, deturpato.>> L’aggettivo brutto veniva adoperato dal compositore nelle sue lettere dedicate alla figura femminile per indicare una voce che fosse in grado di trasmettere tutta la cattiveria e la negazione dell’umanità. A questo proposito, la voce di Maria Callas era già considerata “brutta” per i gusti dell’epoca. Sul concetto di “voce brutta” (la “vociaccia”, secondo una nota espressione di Tullio Serafin) che da sempre ha caratterizzato le critiche alle esecuzioni di Maria Callas si è già espresso con un giudizio definitivo il mai troppo lodato Eugenio Gara: «La verità è che in senso assoluto, in un clima di astrattismo puro, non esistono voci belle o brutte: esistono solo voci “adatte” a quella determinata musica, a quel determinato personaggio, e dunque “belle”, e voci “non adatte” all’impiego per cui furono chiamate, e quindi “brutte”». Se l’immagine di una voce idealisticamente bella, pura, immacolata, si accorda dunque bene con il lirismo poetico di una musica per così dire “assoluta”, non necessariamente si può dire lo stesso per una musica drammatica, cioè al servizio del teatro. Basterebbe a dimostrarlo la famosa richiesta di Verdi di un’interprete per Lady Macbeth che avesse «voce aspra, soffocata, cupa», mentre la Tadolini, che voleva appropriarsi della parte, aveva la colpa di possedere una «voce chiara, limpida, potente».
Non è necessario ricordare quale sia stato l’esito prodotto da Maria Callas proprio nell’opera Macbeth, dove i suoni cosiddetti brutti, gutturali, intubati, asprigni, venivano messi direttamente al servizio della delineazione drammatica del personaggio. Per citare le parole di Rodolfo Celletti: <<in varie scene della Norma e, in maniera più tipica, nel Macbeth e nella Medea, certi suoni acri e taglienti e certe inflessioni cupe e velate rendono con felice immediatezza il furore dell’invettiva o, cosa ancor più essenziale, il satanismo del personaggio. In pratica, quindi, si potrebbe affermare che gli appunti che sogliono esser mossi sotto il profilo vocale alla M. [Meneghini-Callas] hanno un peso solo se riferiti al suono valutato in senso fisico, ma perdono valore di fronte alla considerazione che il vero traguardo da raggiungere è la caratterizzazione del personaggio. >> Spesso alter ego di Macbeth, Lady Macbeth è consapevole di avere le mani sporche di sangue nel primo atto, immagine che le si presenterà in seguito nel quarto, ormai irreale ma sotto forma di ricordo. La regina dice al marito «Ve’! le mani ho lorde anch’io; / poco spruzzo, e monde son» (I,15) quando ha appena compiuto il regicidio; quelle stesse mani invece lei non sarà in grado di ripulirle nel quarto atto, ormai inconscia, quando le riappariranno nel suo delirio. Nel lavoro di analisi che qui si è cercato di fare tramite un ascolto attento, ma tenendo al contempo presenti le lettere di Verdi con le analitiche descrizioni sulla vocalità di Lady Macbeth, si ritiene che uno dei soprani che certamente più rispecchia il volere del compositore sia Leonie Rysanek, con voce di straordinaria potenza, ma anche morbidezza, di timbro caldo, brunito e smaltato, bello, ammaliante come il male che non può non essere bello, seducente e di conseguenza ingannevole. Leonie Rysanek è una Lady Macbeth autorevole, cupa come il gufo di cui afferma di udire lo stridere (I,6) decisa, energica, ma anche perversamente gioiosa e brillante nelle impervie agilità di forza, tipiche dello stile compositivo del primo Verdi.
Una Lady Macbeth simile a quella interpretata dalla Rysanek è quella di Maria Callas; il soprano greco incarna il suo personaggio con la naturale asprezza del suo timbro, i suoi acuti taglienti e il sonoro registro di petto, rendendolo demoniaco, nero e freddo come il buio e gelo della morte. Pur dopo attenta disamina delle lettere di Verdi e delle entusiasmanti cronache del tempo, tra cui quella della stessa Barbieri-Nini, a seguito della prima del 14 marzo 1847, non si è grado di confrontarle con un riscontro sonoro per ovvi motivi. Pur meno seducente della voce e dell’interpretazione di Leonie Rysanek, anche Shirley Verrett non si discosta dalle aspettative e dal volere del compositore: la cantante offre un’interpretazione più palesemente simile a una strega che a una regina malvagia e seducente. È interessante notare che nella Scena del sonnambulismo si avvicina molto alla resa interpretativa della Barbieri-Nini perché articola le parole parlando nel sonno in modo trasognato. Una Lady Macbeth piuttosto lontana dalle aspettative di Verdi per dolcezza del timbro, ma non per questo non plausibile come Lady Macbeth, è Dimitra Theodossiou, l’ultimo soprano analizzato, che pur dotato di eterei filati e di un timbro senza dubbio lirico, ma con una grande versatilità nello spaziare da ruoli prettamente belcantistici a ruoli da soprano lirico-drammatico è capace di conferire al suo ruolo accenti drammatici e risoluti proponendo al contempo per la prima volta un’interessantissima lettura più umana e materna del personaggio che sembra spogliarsi dei panni della regina usurpatrice, per indossare quelli di una moglie-madre complice del marito con cui entra in empatia. La sua in altre parole, è una Lady Macbeth che sembra non aver dimenticato il ruolo di sposa e compagna di vita, pur sostenendo il marito nelle sue imprese di sangue.
Lady Macbeth è un personaggio quanto mai complesso. Nel breve saggio Lady Macbeth: assassina, regina, madre, sposa lo studioso e critico teatrale Leonardo Mello indaga sulla sua natura affermando che sono stati condotti diversi studi di carattere psicoanalitico; a ragione Sigmund Freud aveva sostenuto che il rapporto tra Lady Macbeth e Macbeth fosse di natura simbiotica, considerando le rispettive coscienze dei due personaggi tra loro intercambiabili. Appena compiuto il regicidio, Macbeth è terrorizzato al pari di un bambino in preda ad allucinazioni e incubi notturni; la moglie lo incoraggia a dissimulare il terrore e ad andare con lei altrove, ora con fare duro, ora – come si è potuto constatare nell’edizione con Dimitra Theodossiou e Johan Reuter – con fare materno. Nel secondo atto Lady Macbeth si comporta in modo impeccabile con gli ospiti giunti al castello per il banchetto, mentre il re usurpatore appare tutt’altro che sereno e spesso in preda alle visioni dell’ombra di Banco, comportamento puntualmente schernito e sminuito dalla consorte che invita gli astanti a rimanere. Nel terzo atto appare ancora una regina assetata di potere, la quale insieme al marito progetta la morte della stirpe di Macduff; il potere è effimero e ogni assassino è prima o poi chiamato a rendere conto delle proprie azioni a se stesso. Ecco quindi che nell’atto quarto, Lady Macbeth seppur non presente a sé stessa, passa in rassegna la catena delittuosa e come già per Macbeth, rivive i medesimi terrori del marito, ma pure, differentemente da quest’ultimo, ancora con l’ultimo spiraglio di razionalità, ammette che Banco giace in una fossa e che non potrà risorgere. Secondo Leonardo Mello questo personaggio femminile non può fare a meno di evocare figure di donne antiche della mitologia greca, come Medea che fa uso del pugnale per uccidere i suoi figli; Lady Macbeth procura l’arma al marito per il regicidio e mette il pugnale sul corpo di una delle guardie per far cadere su queste ultime le accuse. Sia Medea che Lady Macbeth possono essere considerate come donne che rinnegano la propria femminilità. Seppur per ragioni diverse, entrambe usano il pugnale, arma tipicamente maschile. Sia Medea che Lady Macbeth sono accomunate dall’essere state madri e da quella che i greci chiamavano metis: intelligenza ingannevole, entrambe dall’irreprensibile condotta in pubblico e nel privato spietate assassine. Medea riesce a negare il suo senso materno uccidendo i suoi stessi figli; Lady Macbeth in Shakespeare rimuove decisamente il suo passato di madre probabilmente sfortunato. In ultima analisi, l’ambiziosa Lady Macbeth è destinata tuttavia a morire esaurendo la sua forza infernale; in quest’ottica si potrebbe interpretare il suo ultimo re che Verdi richiede filato a simboleggiare l’ultimo respiro del suo demone che muore. Lady Macbeth, dunque, è un personaggio che non smetterà mai di affascinare.