Aida
La più areniana delle opere: Aida di Giuseppe Verdi, impreziosita dalla superstar Anna Netrebko.
Torna l’estate e torna il rito areniano, che diventa imperdibile, e fa il sold out, se canta una artista del calibro di Anna Netrebko.
Una stagione, quella estiva di Verona, tutta nel segno di Franco Zeffirelli, indimenticabile scenografo e regista. “le buone cose di pessimo gusto!” scriveva Guido Gozzano, e vedendo questo spettacolo, pensato nel 2002, non si può che vivere quel sentimento conflittuale fra l’assistere ad un allestimento sicuramente spettacolare e confortevole e la sensazione di volere qualcosa per l’arena che vada oltre alla citazione di se stessa. Una grande piramide domina la scena: ruota e mostra facce decorate con grandi statue che paiono imparentate con quelle del vicino parco giochi di Gardaland. Sui grandi spalti dell’anfiteatro è collocato un gran numero di sfingi e statue in stile egizio. Uno spettacolo ricchissimo e sovraffollato, fatto da tante comparse, ricchi costumi di Anna Anni e da balletti (coreografie curate da Vladimir Vasiliev). Un omaggio probabilmente voluto al mondo del melodramma che però oggi suona in bilico fra la volontà citazionistica e il rischio dell’autoreferenzialità. Forse l’Arena deve osare di più, con più coraggio, allontanarsi dalle sue origini e trovare un nuovo linguaggio.
Sul versante musicale tanta era l’attesa, come già detto, per Anna Netrebko e le aspettative non sono di certo andate deluse. La sua Aida, per la prima volta in sul grande palcoscenico areniano, sa coniugare alla perfezione la regalità e la dignità della principessa etiope con la sensualità della donna innamorata. Merito senza dubbio di una voce preziosa, ricca di armonici, solidissima e compatta tra i registri, quasi sprezzante nella spavalda sicurezza con cui espugna acuti a tutte le altezze o ancora nella impressionante facilità con cui ricama filati madreperlacei che risuonano melodiosi nel gigantesco spazio areniano come purissime lamine di suono. Nei primi due atti la Netrebko sembra più cauta del solito, pur regalando alcuni momenti indimenticabili come la chiusa di “Ritorna vincitor” e il duetto con Amneris di secondo atto dove i due personaggi sembrano trasfigurarsi in tigri che combattono per prevalere l’una nei confronti dell’altra. Il terzo atto, poi, è un capolavoro assoluto, con una esecuzione leggendaria di “O cieli azzurri”, dove la voce della Netrebko valorizza la scrittura verdiana con una tale ricchezza di colori e di dinamiche da rendere questa sua prova una di quelle “perle” che qualsiasi melomane riuscirà difficilmente a dimenticare. Oltre all’atmosfera di sognante e malinconico abbandono che il soprano riesce a disegnare con il potere soggiogante della voce, non si può di certo non citare quella prodezza vocale che è l’esecuzione del Do acutissimo con un’unica messa di fiato e in pianissimo; inevitabile dunque che dopo la messa di voce finale, musicalissima e timbratissima, il pubblico esploda in una meritata ovazione. Sensazionali del pari sono poi i successivi duetti con il padre e Radames in terzo atto e la chiusa dell’opera, pagine dove la Netrebko riesce a sbalzare un’ampia gamma di dinamiche e di sfumature realizzate grazie ad un controllo del fiato da autentica fuoriclasse. La presenza scenica, poi, trabocca sensualità e, con movenze da autentica diva, cattura costantemente l’attenzione dello spettatore.
Al suo fianco il Radames di Yusif Eyvazov. Anche in questa occasione possiamo apprezzare, al netto di un timbro oggettivamente non suadente, una grande perizia nell’affrontare la frase musicale e una certa cura nel dosare l’emissione ai fini espressivi. Di rilievo, senza dubbio, il registro acuto, nel quale ritroviamo, in particolare negli ultimi due atti, un buono squillo. Radames è un uomo diviso tra il dovere di patria e il desiderio d’amore; nella prova del tenore azero questo contrasto si avverte nettamente confrontando i primi due atti, dove a prevalere sono la fierezza del guerriero e l’anelito alla carriera militare, e degli ultimi due, dove il sentimento amoroso la fa da padrone.
Anna Maria Chiuri interpreta Amenris con la caratura della grande interprete e l’esperienza dovuta alla lunga frequentazione (e all’amore) per questo ruolo. La linea vocale colpisce per il colore caldo ed avvolgente, nonché per la capacità di porgere la frase sempre ben tornita e scolpita. Impareggiabile, in tal senso, è la cura del fraseggio e dell’accento, variegato per colori e sfumature, grazie ai quali la Chiuri riesce a costruire un personaggio sempre credibile e, soprattutto, sfaccettato. Amneris non è solo la figlia dei faraoni, ma anche un’amica sincera per Aida (nella prima scena di primo atto) e una donna innamorata. È proprio l’amore a scatenare in lei la rabbia nel confronto con la protagonista nella prima scena di secondo atto (che qui diviene, grazie ad una percepibile intesa con la Netrebko) una vera e propria sfida tra due donne volitive e divorate dalla passione amorosa. La Chiuri poi cattura gli spettatori nella lunga e complessa prima scena di quarto atto, quella del giudizio di Radames, valorizzando la scrittura verdiana con accenti disperati e di rabbia, a stento trattenuta.
Ambrogio Maestri, con il suo tonnellaggio vocale, si mostra ideale per il grande spazio areniano. Sempre scolpito e granitico l’accento, adeguatamente supplichevole nel concertato di secondo atto e del pari persuasivo nel duetto con Aida di terzo atto. La meravigliosa frase di terzo atto “pensa che un popolo, vinto, straziato, per te soltanto risorger può..”, viene sapientemente valorizzata grazie al timbro lirico e luminoso del baritono pavese.
Note positive per il Ramfis di Rafal Siwek, dotato di un mezzo sonoro nei centri e ben appoggiato nei gravi. Particolarmente riuscita la scena del Tempio di Vulcano grazie, tra l’altro, al buon amalgama con il timbro di Eyvazov.
Efficace e puntuale il Re interpretato da Romano dal Zovo.
Vocalmente corretto e ben tornito nell’accento il messaggero di Francesco Pittari.
Musicale e melodiosa la Sacerdotessa di Francesca Maionchi.
A capo dell’Orchestra dell’Arena di Verona, il Maestro Marco Armiliato legge la partitura marcando il contrasto tra le scene corali e trionfali con quelle dove a prevalere sono l’intimità e il contrasto degli affetti privati. La sua direzione ha convinto totalmente nel disegnare le oasi liriche delle grandi arie e, più in generale, di terzo atto e del finale, mentre qualche scollamento con il palco si è avvertito nel trionfo (una delle scene musicali più complesse da allestire all’aperto, specialmente in spettacoli kolossali come quelli areniani). Buona l’intesa con i singoli interpreti, specialmente i ruoli principali.
In buona forma, poi, è parsa l’Orchestra dell’Arena di Verona cui va riconosciuto il merito di ricercare compattezza ed unitarietà in uno spazio tanto grande, quanto acusticamente non prediletto, come quello dell’anfiteatro veronese.
Il Coro dell’Arena di Verona, pur sotto la guida sicura ed infallibile del Maestro Ulisse Trabacchin, è parso in questa occasione meno fulgido di quello che ricordavamo: qua e là si avvertono imprecisioni ed incertezze negli attacchi, dato che ha sorpreso vista la lunga ed assidua frequentazione di questa compagine con il titolo verdiano.
Successo al termine da parte di un’Arena praticamente sold out, ricordiamo che Aida resterà in cartellone, pur con cast differenti, sino al 4 settembre.
Il capolavoro verdiano tornerà poi, il prossimo anno, per inaugurare con una già annunciata nuova produzione, l’edizione numero 100 del Festival areniano.
AIDA
Opera in quattro atti
Libretto di Antonio Ghislanzoni
Musica di Giuseppe Verdi
Il Re Romano Dal Zovo
Amneris Anna Maria Chiuri
Aida Anna Netrebko
Radamès Yusif Eyvazov
Ramfis Rafal Siwek
Amonasro Ambrogio Maestri
Un messaggero Francesco Pittari
Sacerdotessa Francesca Maionchi
Primi ballerini Eleana Andreoudi
Alessandro Staiano Ana Sophia Scheller
Orchestra, Coro, Corpo di ballo e Tecnici dell’Arena di Verona
Direttore Marco Armiliato
Maestro del coro Ulisse Trabacchin
Regia e scene Franco Zeffirelli
Costumi Anna Anni
Coreografia Vladimir Vasiliev
Coordinatore del Corpo di Ballo Gaetano Petrosino
FOTO: ENNEVI