Moïse et Pharaon
Per la prima volta nella storia del Festival di Aix-en-Provence Moïse et Pharaon di Gioachino Rossini, allestimento coprodotto con l’Opéra Nazionale di Lione e il Teatro Real di Madrid.
Un sottile gioco di suggestioni ha accompagnato questa produzione di Moïse et Pharaon, opera del 1827 di Gioachino Rossini per la prima volta in scena al festival di Aix-en-Provence. Il figlio più illustre della cittadina provenzale, Paul Cezanne sosteneva che “La luce non si può riprodurre, ma solo rappresentare con qualcos’altro, il colore” e nel capolavoro di Rossini la luce, quella biblica, portatrice di giustizia, negata agli egizi e poi nuovamente concessa ha un ruolo simbolico importante. Una luce che diviene nota musicale e che nello spazio del grande teatro all’aperto dell’Archevêché si carica della forza del colore della città. Quell’ocra provenzale che dalla terra riverbera nelle vie, nei muri e, soprattutto d’estate, satura la vista fino a confondersi con il sole stesso.
Il regista Tobias Kratzer, e lo scenografo Rainer Sellmaier, ci propongono una lettura contemporanea del capolavoro di Rossini. Il palco risulta, per gran parte del tempo, idealmente diviso in due parti, a destra gli Egiziani che qui diventano metafore del capitalismo occidentale, a sinistra Ebrei e Madianiti che vivono in un campo profughi e simbolicamente rappresentano tutti coloro che sono esclusi dal potere. L’unico a creare un ponte di presunta comunicazione fra i due mondi, è Mosè, costretto però a rifarsi alle moderne tecnologie per tentare un dialogo. Il profeta indossa un costume simile a quello usato da Charlton Eston nel film di Cecil B. DeMille “I dieci comandamenti” del 1956, forse un rimando allo svilimento holliwoodiano anche di questa figura sacra. Mosè resta slegato visivamente dal resto dello spettacolo ed agisce come una sorta di coscienza collettiva. Il suo è un tentativo di richiamare l’attenzione sulle attuali catastrofi ambientali che da bibliche “piaghe d’Egitto” oggi sono eventi del quotidiano e il regista sottolinea in scena la unanime indifferenza verso queste problematiche. Una regia attenta, che presta grande attenzione ai movimenti dei singoli e delle masse, un disegno complessivo che rilegge l’opera in modo convincente.
Due in particolare i momenti più riusciti: il primo quando Mosè restituisce la luce agli egiziani, che escono da una sorta di black out elettrico ed informatico, e il secondo è lo spiazzante finale. Dopo aver superato il Mar Rosso, scampati alle furie del Faraone, gli ebrei conoscono il benessere di una terra promessa che si configura come un gaudente stabilimento balneare, un approdo ad un aspetto del capitalismo per le masse, insomma. Una bagnante si alza dalla sdraio e nota per terra il bastone brandito da Mosè, lo guarda con stupore: il profeta e il suo richiamo morale restano solo uno sbiadito ricordo. La scena è splendidamente supportata dalle luci di Bernd Purkrabek, dai video di Manuel Braun e dai costumi, del già citato Sellamier, che si rifanno al vestire contemporaneo. In questa versione del Mosè, riscritta da Rossini per essere un grand-opéra francese, sono ovviamente presenti i balletti, curati dal coreografo Jeroen Verbruggen. L’idea è quella di ricreare l’atmosfera di una festa aziendale in cui si esibiscono alcuni ballerini che risultano però poco significativi per l’esiguo numero.
Degno di ogni lode anche il versante musicale dello spettacolo.
Moïse è una partitura complessa ed articolata, ricca di significati e simbologie che il Maestro Michele Mariotti sa cogliere a piene mani. Il direttore pesarese, debuttante al Festival, mostra una perfetta aderenza allo stile rossiniano, che dimostra di conoscere ed amare profondamente, regalando una gamma amplissima di sfumature e dinamiche sonore. Non si tratta solo di una prova di stupefacente precisione esecutiva, ma anche di grande partecipazione emotiva: dal gesto di Mariotti, infatti, sembrano sgorgare le preghiere del popolo ebraico, il terrore degli egizi, la forza dell’amore (sia questo serbato al prossimo o alla divinità). Tanti i momenti di raro fulgore nella sua lettura: ricorderemo su tutti la toccante preghiera intonata da Moïse in quarto atto e la successiva fuga attraverso il Mar Rosso degli ebrei erranti in cui si mescolano la concitazione e l’agognata speranza di un nuovo inizio. L’Orchestra dell’Opéra di Lione appare in ottima forma e risponde con grande partecipazione ai tanti stimoli provenienti dal podio. Le diverse sezioni di musicisti creano così un affresco sonoro dove ogni dettaglio, ogni sfumatura risulta perfettamente intelligibile nella sua specificità pur rappresentando, ad un contempo, una parte essenziale di un disegno unitario di assoluta grandezza.
Nel ruolo del protagonista, Michele Pertusi disegna un Moïse carismatico e di grande efficacia. La lunga frequentazione del repertorio rossiniano fa sì che il basso parmigiano abbia acquisito una totale immedesimazione nello stile rossiniano: la declamazione aulica dei recitativi, la morbidezza della linea vocale, l’intensità espressiva con cui viene piegata l’emissione, sono tutti elementi che ritroviamo costantemente nella sua prestazione. Pertusi è un cantante di razza e da autentico fuoriclasse accarezza la scrittura mostrando sempre eleganza e raffinatezza nel porgere ogni frase musicale. Non una nota fuori posto, non un passaggio che non risulti sorretto da un controllo tecnico pressoché infallibile. Di grande effetto, inoltre, la capacità di fraseggiare scolpendo le frasi con ieraticità, quale si conviene ad un profeta di biblica ascendenza e connotando il personaggio anche nella sua dimensione più carnale e focosa.
Jeanine De Bique rende al meglio le inquietudini e i tormenti interiori del personaggio di Anaï, una ragazza divisa tra l’affetto per il padre, per il suo popolo e l’amore per il figlio del Pharaon. Il soprano, originario dello stato di Trinidad, possiede una linea vocale musicale, dal bel colore chiaro e ben proiettata in acuto che suona sonoro e squillante. Buona la padronanza del canto d’agilità, specialmente nella difficile aria di quarto atto “Quelle affreuse destinée”, dove sfoggia colorature rapide e sgranate. Significativa la resa sotto il profilo scenico (in virtù di una figura esile ed aggraziata) ed interpretativo, un personaggio che alterna momenti di intimo raccoglimento (bello l’uso di filati e di piani madreperlacei) ad altri dove a prevalere è la rabbia per la quella frattura ideologico-religiosa tra popoli contro la quale non può che soccombere.
Pene Pati veste i panni dell’innamorato (sui generis) Aménophis e rende giustizia al personaggio con la bellezza di un timbro solare e la morbidezza di una linea vocale ben tornita nei centri e adeguatamente fluida nel canto di agilità. Sempre curato il fraseggio, grazie al quale costruisce un personaggio a tratti volubile ed egoista quando realizza che la scelta di Anaï è votata a seguire il suo popolo. Disinvolto e a proprio agio scenicamente, riesce a conquistare il favore del pubblico.
Splendida la Sinaïde di Vasilisa Berzhanskaya, dotata di una voce lussureggiante per velluto timbrico e ricchezza di armonici. Tecnicamente inappuntabile, regala un’esecuzione magistrale dell’aria di secondo atto “Ah, d’une tendre mère” dove la linea melodica sembra muoversi con facilità e duttilità a tutte le altezze, dai piani intonatissimi, sino agli acuti timbratissimi e alle agilità sgranate a regola d’arte. Con accenti caldi ed avvolgenti rappresenta al meglio la sensibilità del materno affetto e i turbamenti dinanzi ai proclami di Moïse. Si aggiunga inoltre l’elegante presenza scenica dell’artista, valorizzata da un bel tubino grigio.
Adrian Sâmpetrean, con il suo mezzo dal colore notturno, è un ottimo Pharaon. Una voce, la sua, che “corre” facilmente, naturale nei gravi e ben proiettata in acuto; da notare il dominio delle colorature e del canto d’agilità che testimoniano, così, una buona familiarità con lo stile rossiniano. Da segnalare il perfetto amalgama con il timbro di Pertusi che, nelle scene con Moïse,si rivela ideale nel sottolineare lo scontro tra i leader dei due popoli. La varietà del fraseggio, in uno con una presenza scenica sempre partecipe e disinvolta, rende il personaggio ben tratteggiato e credibile.
Mert Süngü veste i panni di Eliézer. Il tenore, in possesso di un timbro limpido e luminoso, sigla una prova di rilievo per purezza di una linea vocale ben controllata, rotonda nei centri e sicura in acuto. Di rilievo lo scavo interpretativo del personaggio, un uomo meditabondo e riflessivo che cerca in ogni modo di mantenere la pace tra i popoli e frenare le irruenze del fratello Moïse.
Ottima la Marie di Géraldine Chauvet, in possesso di una linea vocale suadente per colore e morbidezza. L’organizzazione del mezzo mette in luce la raffinatezza del porgere e la nobiltà del fraseggio, che carica ogni frase di dolente patetismo. Efficace la presenza scenica, cui l’artista dona una grande dignità.
Edwin Crossley-Mercer, dalle fila dell’Accademia, impegnato nel duplice ruolo di Osiride e di una voce misteriosa, si disimpegna con buoni risultati tanto sotto il profilo vocale quanto sotto l’aspetto interpretativo.
Ben a fuoco Alessandro Luciano come Aufide.
Scenicamente godibilissima, nel ruolo mimato della principessa siriana Elegyne, Laurène Andrieu.
In quest’opera il coro riveste un ruolo rilevante, non solo un semplice spettatore della vicenda, quanto piuttosto un vero e proprio personaggio che interagisce continuamente. Il Coro dell’Opéra di Lione,diretto dal Maestro Richard Wilberforce, offre una prova maiuscola per varietà di colori ed intensità sonora, tali da conferire la giusta veridicità espressiva ai propri interventi. Su tutti segnaliamo l’esecuzione straordinaria della preghiera di quarto atto e la successiva pagina conclusiva dell’opera eseguita, per altro, in sala con grande unitarietà nonostante la collocazione dei singoli artisti in diversi punti della platea. Da sottolineare, inoltre, la bravura scenica di tutti i membri della compagine, che ci sono sembrati davvero disinvolti sul palco e a proprio agio nel seguire il disegno registico.
Al termine della lunga serata, è passata oramai l’1 di notte quando il popolo ebraico riesce ad oltrepassare il Mar Rosso, il folto pubblico presente, nonostante qualche defezione durante le pause, decreta un caloroso successo allo spettacolo riservando ovazioni agli interpreti principali e a Mariotti.
Una emozionante serata musicale sotto il cielo stellato della Provenza.
Festival di Aix-en-Provence
Théâtre de l’Archevêché
MOÏSE ET PHARAON
Opera inquattro atti di Luigi Balocchi ed Étienne de Jouy
Musica di Gioachino Rossini
Moïse Michele Pertusi
Pharaon Adrian Sâmpetrean
Anäi Jeanine De Bique
Aménophis Pene Pati
Sinaïde Vasilisa Berzhanskaya
Eliézer Mert Süngü
Marie Géraldine Chauvet
Aufide Alessandro Luciano
Osiride – Voix mystérieuse Edwin Crossley-Mercer
Ballerini Martin Angiuli, Guido Badalamenti, David Cahier, Clémentine Herveux, Lou Thabart, Emiel Vandenberghe, Chiara Viscido
Orchestra dell’Opéra di Lione
Coro dell’Opéra di Lione
Maestro Concertatore e Direttore d’orchestra Michele Mariotti
Maestro del coro Richard Wilberforce
Regia Tobias Kratzer
Scene e costumi Rainer Sellmaier
Luci Bernd Purkrabek
Video Manuel Braun
Coreografie Jeroen Verbruggen
FOTO: Monika Rittershaus