Nabucco
Pubblico che finalmente ricopre tutti gli spazi del mitico anfiteatro veronese in una serata caldissima e grande spettacolo in palcoscenico, queste sono le caratteristiche di una premiere a Verona della monumentale e splendida opera verdiana che decretò il successo del suo compositore in quel lontano 9 marzo del 1842 al Teatro alla Scala di Milano. In scena proprio il tempio della lirica milanese, ricostruito sull’enorme palco areniano, perché il regista Arnaud Bernard ambienta l’azione nella Milano delle 5 giornate occupata dagli Austriaci. In verità scelta suggestiva ed a tratti emozionante, anche se snatura un po’ l’azione ( Zaccaria quando chiede al Levita di portare i sacri rotoli della Torah-Il santo codice reca… è poco credibile visto che nella versione scelta dal regista francese è un capo politico, verosimilmente un carbonaro) e confonde gli spettatori meno addentro alla cultura operistica ed anche storica. Disturbano anche le continue corse avanti indietro di comparse ed atletici artisti del coro e tutto sembra incentrato sull’intenzione di stupire chi assiste allo spettacolo . Anche qui in pratica una regia con buone intenzioni che non riesce a svolgere fino in fondo. Ma ci pensa la parte musicale e vocale ad affascinare e sedurre il pubblico. A cominciare dal maestro israeliano Daniel Oren che ha completamente fatto sua la partitura di Nabucco, rendendo personale e vibrante ogni singolo accento e nota, infiammando l’Orchestra della Fondazione Arena, molto brava nel seguirlo, con una menzione speciale alla sezione dei violoncelli dal suono caldo ed avvolgente e coinvolgendo solisti e coro con tutto il corpo e con gestualità sapiente . Il pubblico non lo asseconda nel suo desiderio di far sentire l’etereo finale in pianissimo del magico Va pensiero, applaudendo subito alla fine dell’ultima nota ed il grande direttore, con simpatia ed estro da mattatore si volta e comunica alla moltitudine che accetta di fare il tradizionale Bis se alla fine non ci sarà l’applauso subito. Purtroppo non verrà esaudito.
In scena ci sono due campioni davvero ragguardevoli la Abigaille sorprendente ed umanissima di Maria Josè Siri che dona con la sua voce morbidissima e ben proiettata nell’acuto a chi ascolta momenti di rara bellezza come il pianissimo nell’” Io ti amava” o nelle girate di “Ah se m’ami” oppure la lunare bellezza dell’aria “Anch’io dischiuso un giorno” eseguita quasi a fior di labbra . Certo non mancano le frecce siderali degli acuti perfetti e lanciati con sicurezza quasi proterva e la grinta dell’interprete quasi ferina, ma si ha l’impressione di trovarsi di fronte ad una donna che sa quello che vuole, ma anche ha sofferto. Il suo antagonista politico è il basso Abramo Rosalen, nobilissimo Zaccaria, che con apparente semplicità domina la scena. Dotato di una splendida e musicalissima vocalità, affascina nelle tre arie che gli appartengono, delineando ognuna di esse con un preciso ed unico carattere e cantando con il cuore. Il protagonista, il baritono mongolo Amartuvshin Enkhbat mi piacerebbe definirlo il terzo colosso della situazione, ma la sua pur splendida voce bronzea ed estesa rivela qualche smagliatura o stanchezza, soprattutto nel duetto con il soprano e negli acuti della cabaletta finale. Meno personale ed incisiva del solito anche la sua interpretazione, ma comunque resta sempre un gran signore della scena.
Ottimi lo squillo e la presenza scenica del tenore Samuele Simoncini un Ismaele presente ed importante. Non ha convinto la Fenena di Francesca Di Sauro dotata di buona voce, ma dai suoni fissi ed incerti soprattutto nel passaggio all’acuto. Debole ed un po’ anonima anche l’interprete. Elisabetta Zizzo è invece una splendida Anna, che riesce a rendere vivo e vibrante con acuti ben emessi e sicurezza musicale negli insiemi ( davvero bello l’acuto nell’Immenso Jehova!) un personaggio di fianco. Cosa che riesce in pieno anche all’Abdallo di Carlo Bosi, sicuro e musicale ed al gran Sacerdote di Belo di Nicolò Ceriani ben presente e corretto. Una menzione speciale al sempre ottimo Coro della Fondazione Arena di Verona, diretto dal Maestro Ulisse Trabacchin, perché pur ridotto per vari motivi ha ben cantato e sostenuto con suono unico e seducente tutta l’opera. Belle e di grande effetto le scene a cura di Alessandro Camera, i costumi aderenti all’epoca risorgimentale dello stesso regista Bernard e le luci di Paolo Mazzon, davvero ben calibrate e suggestive. Vivo successo del pubblico presente che ha accolto con vero entusiasmo tutti gli artisti in proscenio.
NABUCCO
DI GIUSEPPE VERDI
dramma lirico in quattro parti
Libretto di Temistocle Solera
Direttore : Daniel Oren
Regia e Costumi: Arnaud Bernard
Scene: Alessandro Camera
Luci : Paolo Mazzon
Orchestra, Coro e Tecnici della Fondazione Arena di Verona
Maestro del Coro: Ulisse Trabacchin
Personaggi ed Interpreti
Nabucco: Amartuvshin Enkhbat
Ismaele: Samuele Simoncini
Zaccaria: Abramo Rosalen
Abigaille : Maria Josè Siri
Fenena : Francesca Di Sauro
Il Gran Sacerdote di Belo : Nicolò Ceriani
Abdallo: Carlo Bosi
Anna: Elisabetta Zizzo
Foto : Ennevi