I Capuleti e i Montecchi
I Capuleti e i Montecchi di Vincenzo Bellini è il secondo titolo della stagione scaligera.
Nel 1554 Matteo Bandello conclude il nono racconto della sue Novelle con questo triste epitaffio:
“Credea Romeo che la sua sposa bella
giá morta fosse, e viver piú non volse,
ch’a sé la vita in grembo a lei si tolse
con l’acqua che «del serpe» l’uom appella.
Come conobbe il fiero caso quella,
al suo signor piangendo si rivolse
e quanto puoté sovra quel si dolse,
chiamando il ciel iniquo ed ogni stella.
Veggendol poi la vita, oimè, finire,
piú di lui morta, a pena disse: – O Dio,
dammi ch’io possa il mio signor seguire:
questo sol prego, cerco e sol desio,
ch’ovunque ei vada io possa seco gire. –
E ciò dicendo alor di duol morio.”
E proprio da questo scritto, e non dalla versione più tarda di Shakespeare, prende ispirazione Felice Romani per il libretto de I Capuleti e Montecchi, musicata da Vincenzo Bellini. In questa nuova produzione, andata in scena alla Scala di Milano, il senso di dolore è prevaricante rispetto alla storia d’amore, una scelta del regista Adrian Noble ben precisa che ricorda come la morte domini l’intero dramma. La scena di Tobias Hoheise si presenta monocroma e poco ispirata, si intravedono delle mura, una scena invernale nella seconda parte dello spettacolo, pochi elementi sul palco mai particolarmente belli da vedere o accattivanti. Una regia asciutta, misurata, elegante se vogliamo, ma che sicuramente non crea particolare empatia con il pubblico. Un allestimento che non ci ha particolarmente emozionato, giocato su toni scuri e malinconici ricreati grazie anche alle luci, riuscite in questo senso, di Jean Kalman e Marco Filibec. Molto semplici i costumi di Petra Reinhard che rimandano ad un generico Novecento.
Decisamente più entusiasmante il versante musicale dello spettacolo.
Grande era l’attesa, dopo la trionfale esecuzione in forma di concerto di Theodora di Häendel nel novembre 2021, per il ritorno sul palcoscenico del Piermarini di Lisette Oropesa, qui al suo debutto nel ruolo di Giulietta Capuleti. Il soprano di New Orleans mostra una linea vocale morbidissima e dal colore adamantino, una consapevolezza totale e un dominio assoluto della tecnica che le consentono di plasmare il suono ad ogni altezza. Di grande rilievo, poi, è la capacità di mantenere compattezza ed omogeneità tra i registri che suonano, rispettivamente, naturale quello grave, adeguatamente corposo il centro, limpido e ben proiettato quello acuto, luminoso il sovracuto. Alcuni passaggi, specialmente le due arie “Oh quante volte, oh quante” di primo e “Ah! Non poss’io partire” di secondo atto sono impreziositi di morbidi filati, trilli limpidissimi e agilità precise e ben appoggiate. Particolarmente riuscito, inoltre, è il personaggio: grazie ad un fraseggio sempre partecipato e ben sfumato, la Oropesa offre una visione di Giulietta come una ragazza che vuole combattere per difendere l’amore per il suo Romeo, anche a costo dell’accettazione della morte, mai compassata o ingenua. Una prova da ricordare.
Brilla, al suo fianco, il Romeo di Marianne Crebassa. Il mezzo-soprano possiede un mezzo di indubbio valore, dal suggestivo colore ambrato e screziato, particolarmente sonoro e vibrante nei centri, ma che sa spingersi senza forzature nel registro grave. Se la salita all’acuto, specie quelli più estremi, mostra qualche occasionale tensione (specialmente nell’aria di primo atto), lo slancio passionale con cui l’artista affronta la parte, la forza espressiva infusa nei cantabili conquista il pubblico che le riserva, al termine, un’accoglienza trionfale. Sotto il profilo interpretativo si tratta di una prestazione di ottimo livello, dove spiccano accenti vibranti, accorati e sempre partecipati; un Romeo ribelle ed appassionato, scenicamente disinvolto e molto credibile. Ben riuscito l’affiatamento con la Giulietta della Oropesa, tanto sul palcoscenico, quanto dal punto di vista vocale, grazie ad un buon dosaggio del timbro e del volume delle due artiste.
Il tenore Jinxu Xiahou risulta ben a fuoco nel ruolo di Tebaldo. La voce presenta un bel colore chiaro cui si aggiunge la freschezza e la musicalità di un mezzo che, ad onta di un certo vibratino, risulta di tutto interesse. Vocalmente supera con facilità le esigenze della scrittura, mostrando un buon dominio del settore acuto e dei fiati. L’artista convince anche sotto il profilo interpretativo grazie ad un accento sempre pertinente e opportunamente variegato.
Splendido il Lorenzo di Michele Pertusi. Il basso parmigiano conferma anche in questa occasione l’indubbio valore di un mezzo pastoso e ammantato da un vero e proprio velluto. Il cantante mostra grande familiarità con questo tipo di repertorio e lo si coglie nella maestria con cui appoggia ogni frase. La parte di Lorenzo si staglia prevalentemente nei recitativi, ma tale è la grandiosità di un fraseggio sempre scolpito, che, in questo caso, ci si rende conto di essere di fronte ad un grande protagonista, un personaggio dalla grande umanità, coraggioso e benevolo.
Ben a fuoco anche il Cappellio interpretato da Jongmin Park, in possesso di un mezzo tonante dal timbro scuro. L’interprete risulta sempre composto e pertinente.
Sul podio debutta Speranza Scapucci, giunta a sostituire l’annunciato Evelino Pidò.
Una lettura, la sua, di sicuro interesse, in grado di alternare alcune pagine, quali ad esempio la Sinfonia e i concertati, dove a prevalere sono il ritmo brillante e spedito e le tonalità marziali, ad altre, su tutte le arie dei protagonisti, nelle quali vengono adottati tempi più distesi, sonorità alleggerite e sospese. Una prova di livello, senza dubbio, cui difetta forse la scelta di una certa dilatazione narrativa nella seconda parte dello spettacolo. Un debutto degno di interesse, pur a fronte di un numero ridotto di prove per la già ricordata sostituzione a produzione avviata, accolta con grande favore dal pubblico.
L’Orchestra del Teatro alla Scala coglie perfettamente l’essenza dello stile belliniano creando ai solisti un tappeto sonoro armonico e vibrante, pervaso ora di abbandono estatico, ora di dolente mestizia.
Di gran livello, come sempre, la prova del Coro del Teatro alla Scala, diretto magistralmente da Alberto Malazzi; la compagine, pur scontando le difficoltà legate all’uso della mascherina protettiva, riesce a risultare sempre espressiva e stilisticamente impeccabile.
Caloroso successo al termine da parte di un pubblico che esauriva la magnifica sala in ogni suo ordine, con punte di entusiasmo per le due grandi protagoniste della serata.
I CAPULETI E I MONTECCHI
Tragedia lirica in due atti
Libretto di Felice Romani
Musica di Vincenzo Bellini
Romeo Marianne Crebassa
Giulietta Lisette Oropesa
Tebaldo Jinxu Xiahou
Lorenzo Michele Pertusi
Capellio Jongmin Park
Orchestra e Coro del Teatro alla Scala
Direttrice Speranza Scappucci
Maestro del coro Alberto Malazzi
Regia Adrian Noble
Scene Tobias Hoheisel
Costumi Petra Reinhardt
Luci Jean Kalman e Marco Filibeck
Coreografia Joanne Pearce
Maestro d’armi Mauro Plebani
FOTO: Brescia/Amisano – Teatro alla Scala