Allagamenti, morti improvvise e scetticismo: la strana première del Trovatore
È una Roma fredda e allagata quella che il 19 gennaio del 1853 attende la première del Trovatore, la nuova opera che Giuseppe Verdi aveva scritto espressamente per il Teatro Apollo: è la prima volta che il bussetano si affida a questa struttura che si trova proprio a ridosso del fiume Tevere, oggi non più esistente, ma gestita in maniera abile dall’impresario Vincenzo Jacovacci. Sono passati quasi 170 anni dal debutto assoluto di questo dramma in quattro parti spesso definito come troppo triste, troppo buio e troppo tetro. Ma è davvero così? Ripercorrere la storia del Trovatore significa anche analizzare una serie di eventi che hanno addirittura messo in dubbio la rappresentazione di un titolo che, insieme al Rigoletto e alla Traviata, rappresenta uno dei cardini della cosiddetta “trilogia popolare”.
Torniamo indietro all’epoca della composizione. Il Rigoletto ha appena fatto furore a Venezia e ha riservato delle buone soddisfazioni a Verdi, nonostante qualche perplessità iniziale per la nuova concezione che il compositore emiliano sta improntando alla sua musica: i grandiosi “affreschi” storici vengono messi da parte e si lascia spazio ai sentimenti della gente comune. Verdi aveva affidato a Salvatore Cammarano, già suo librettista per Alzira, La battaglia di Legnano e Luisa Miller, l’esame di un dramma spagnolo di Antonio Garcia Gutierrez, El trovador. Il librettista napoletano era però perplesso circa la scelta di questo tema e aveva preferito rimanere in silenzio per diverso tempo. Su pressione di Cesarino De Sanctis, Cammarano spiegò finalmente i suoi dubbi a Verdi. La personalità di quest’ultimo, comunque, finì per prevalere.
Nell’aprile del 1851 viene poi inviata la distribuzione dei pezzi del Trovatore, ma il bussetano non era affatto convinto del lavoro eseguito: Ho letto il vostro programma, e voi, uomo di talento e di carattere tanto superiore, non vi offenderete se io, meschinissimo, mi prendo la libertà di dirvi che se questo soggetto non si può trattare per le nostre scene con tutta la novità e la bizzarria del dramma spagnuolo, è meglio rinunziarvi. Parmi che le due grandi passioni di amor filiale e amor materno non vi siano più in tutta la loro potenza. Insomma, i presupposti non sono dei migliori, in più si aggiunge un grave lutto per Verdi: il 28 giugno del 1851, infatti, la madre del compositore, Luigia Uttini, muore senza neanche avere la possibilità di avvertire il figlio dell’aggravarsi improvviso del suo male. Non si può certo associare la figura di Azucena alla madre di Verdi, ma un pizzico di ispirazione deve essere venuto anche da questa circostanza così triste.
Nonostante qualche tentativo di far rappresentare il Trovatore al San Carlo di Napoli, fu l’Apollo di Roma ad assicurarsi la prestigiosa première per la stagione di Carnevale del 1853. Purtroppo, un altro lutto si aggiunse e più che mai decisivo per il completamento dell’opera. Dopo che il libretto era stato abbozzato e rivisto secondo i dettami della censura per buona parte, il 17 luglio del 1852 moriva a Napoli Salvatore Cammarano, una scomparsa improvvisa che colpì duramente Verdi, anche perché la notizia venne appresa da un giornale teatrale. La collaborazione terminò quindi nella maniera peggiore e in più il libretto stesso era incompleto. Il sostituto fu Leone Emanuele Bardare, anch’egli napoletano e appena trentenne. Le disposizioni del compositore furono precise e fu in questa maniera che gli ultimi versi furono integrati.
Le prove furono roventi a causa della rivalità tra le due prime donne, Rosina Penco, destinata ad essere la prima Leonora, ed Emilia Goggi, la già citata Azucena. In più Verdi fu anche colpito da forti dolori reumatici a un braccio, i quali lo costrinsero a qualche giorno di riposo, sfruttato per abbozzare le prime note di un’opera che sarebbe stata rappresentata per la prima volta due mesi dopo il Trovatore, La traviata. Gli altri interpreti di quella prima di 160 anni fa risposero al nome di Giovanni Guicciardi (il conte di Luna), Carlo Baucardè (Manrico), Arcangelo Baldesi (Ferrando), sotto la direzione di Emilio Angelini. Il successo fu a dir poco entusiastico, nonostante la pessima prova della Goggi. Anche la stampa lodò il maestro, riconoscendo i giusti meriti a un genere nuovo e immedesimato nei caratteri castigliani.
È alquanto difficile cercare di spiegare la storia del Trovatore: il libretto può essere definito a ragione un guazzabuglio. Ogni parte ha un suo titolo (Il duello, La gitana, Il figlio della zingara e Il supplizio). Protagonista assoluta è senza dubbio Azucena, la zingara che in passato ha gettato nel fuoco il suo vero figlio, rapendo il fratello del conte di Luna facendogli credere di essere la vera madre. Vendette, gelosie e grandi passioni si intrecciano in questo dramma che si svolge sempre e soltanto di notte, tra ricordi e allucinazioni. È la musica di Verdi che conquista, fiammeggiante, ricca, appropriata, ma soprattutto appassionata, tanto è vero che arie come Di quella pira, Stride la vampa, Tacea la notte placida e Ah! Sì, ben mio sono conosciutissime e sfruttate dai cantanti lirici come cavalli di battaglia.