Verdi e i londinesi, cosa non funzionò
È il 22 luglio del 1847: il Parlamento inglese ha appena terminato la sua seduta di chiusura e a Londra tutto è pronto per la prima première estera di Giuseppe Verdi. Il giovane compositore bussetano è sulla cresta dell’onda da cinque anni e c’è un contratto da rispettare con l’impresario dell’Her Majesty’s Theatre, Benjamin Lumley. Per Verdi si trattava di un periodo di forte ispirazione shakespeariana: giusto qualche mese prima, il Teatro alla Pergola di Firenze aveva giustamente accolto in maniera trionfale il Macbeth, opera che verrà poi sottoposta a una profonda revisione diciotto anni dopo, mentre per la capitale inglese la scelta era ricaduta su un dramma di Friedrich Schiller, Die Räuber, il quale sarebbe poi diventato I masnadieri.
Il librettista era sempre lo stesso, Andrea Maffei, ottimo conoscitore di lingue straniere e traduttore molto apprezzato proprio di William Shakespeare. Il contratto offerto da Lumley era davvero allettante, vale a dire un’opera nuova l’anno per tre anni e la direzione di tutte le altre che sarebbero state rappresentate a Londra, un impegno che sarebbe stato ricompensato con ben novantamila franchi a stagione, oltre a un alloggio in campagna e la carrozza. Tra l’altro, questa scrittura si caratterizzò anche per lo scaltro comportamento dell’editore Lucca, il quale riuscì a scalzare la concorrenza di Ricordi e ad assicurarsi lo spartito londinese. Verdi lavorò praticamente in contemporanea sia al Macbeth che ai Masnadieri, come sintetizzato efficacemente da uno dei principali biografi del bussetano, Franco Abbiati, con la frase “dando un colpo alla botte di Schiller e due al cerchio di Shakespeare“.
La scelta di Maffei non fu casuale. Si trattava di uno dei suoi principali amici milanesi, marito, anche se da poco separato, di quella Clarina Maffei che fu una delle più fedeli confidenti di Verdi. Inoltre, in quella seconda metà del decennio 1840, egli aveva già tradotto tutti i testi scilleriani in Italia, dunque aveva maturato una buona esperienza. Per capire come sia nato il libretto e poi la musica di questi Masnadieri, ci si può rifare solamente alle testimonianze dell’unico e fedelissimo allievo di Verdi Emanuele Muzio, il quale si recò anch’egli a Londra in qualità di factotum per così dire. Le prove cominciarono all’inizio di luglio, subito dopo gli ultimi ritocchi alla partitura. L’atmosfera era serena e si faceva molto affidamento sul soprano, la svedese Jenny Lind, l'”usignolo” scandinavo che si dimostrò collaborativa come mai era accaduto.
Il tenore Italo Gardoni e il basso Filippo Coletti furono ritenuti eccellenti, ma l’umore del compositore era poco ottimista a causa del libretto: in effetti, Maffei non era riuscito a riprodurre la drammaticità del lavoro originale di Schiller e perfino la prefazione era stata giudicata come noiosa. Eppure, i londinesi tributarono a Verdi elogi e simpatie a profusione, sin dal primo giorno del suo soggiorno, tanto che il Covent Garden registrò ottimi trionfi per quel che riguarda le rappresentazioni di Ernani e dei Due Foscari. Si arrivò così alla famosa prèmiere. Secondo la testimonianza di Muzio, il successo dei Masnadieri sarebbe stato considerevole, dal preludio fino all’ultimo atto: non vi furono che applausi, che evviva e che chiamate e ripetizioni. In molti, però, si sono chiesti a chi andassero davvero queste acclamazioni. Alla musica oppure al nuovo astro dell’opera lirica che avevano lì in carne ed ossa?
Il dubbio è comunque lecito, visto che gli spettatori londinesi trovarono qualche difetto in più già nelle successive rappresentazioni, soprattutto a causa del libretto carente di Maffei. Lumley ritenne conveniente interrompere l’accordo che è stato spiegato in precedenza e altre “prime” a Londra non ve ne furono. Tra l’altro, questi Masnadieri sono spesso considerati, anche se a torto, un’opera verdiana minore e la sua presenza nei cartelloni dei teatri di tutto il mondo non è uguale a quella di altri titoli. Ma la musica merita e Verdi è riuscito nell’impresa di mettere in secondo piano le eccessive libertà letterarie di Maffei. L’opera comincia non con un’ouverture, ma con un preludio orchestrale: come accade spesso nella produzione verdiana, il bene e il male si amalgamano perfettamente grazie alla musica, in particolare lo splendido canto solistico del primo violoncello.
La cabaletta Nell’argilla maledetta, poi, si presenta con un buon ritmo, ma secondo alcuni critici viene resa noiosa dalla ripresa del da capo. L’orchestrazione è senza dubbio molto accurata, tra i personaggi spicca soprattutto Francesco, una sorta di precursore dello Jago di Otello. Forse Verdi avrebbe potuto insistere maggiormente per ottenere da Maffei un libretto meno pretenzioso e troppo moralistico; I masnadieri così come sono mettono in luce una minore convinzione del compositore rispetto ad altre sue opere, ma anche questa tappa del percorso musicale del bussetano merita di essere approfondita.