Rubriche 2021

Andrea Nozzari, il baritenore per eccellenza

Il 12 dicembre del 1832 moriva a Napoli Andrea Nozzari: oltre ad essere stato il primo Otello nell’opera omonima di Gioachino Rossini (datata 1816), viene ricordato soprattutto per la sua voce particolare, al punto che si può parlare del “baritenore” per eccellenza. Approfondire brevemente la sua biografia ci può aiutare a comprendere questo giudizio relativo alle doti tecniche di cui era in possesso. Nozzari nacque nel 1776 in un minuscolo centro rurale in provincia di Bergamo, Vertova. Si può immaginare come una qualche influenza sia stata esercitata dallo zio materno Giuseppe Viganoni, il quale era un cantante piuttosto affermato sul finire del ‘700. Le prime lezioni di canto, comunque, gli furono impartite da un abate.

Si trattava di Luigi Petrobelli, vicemaestro di cappella presso la cattedrale di Bergamo, rudimenti che gli saranno molto utili. L’apprendimento proseguì poi con il tenore Giacomo David, il prototipo di tenore baritonale del XVIII secolo e creatore di moltissimi ruoli (tra i tanti si può ricordare Ottone in “Adelasia e Aleramo” di Mayr). I progressi erano talmente evidenti che già all’età di diciotto anni, nel 1794, riuscì a debuttare a Pavia: l’anno seguente gli si aprirono le porte della Scala di Milano. La vera e propria svolta, comunque, doveva arrivare all’estero. Il Théâtre Italien di Parigi, infatti, lo ingaggiò e nel periodo compreso tra il 1803 e il 1806 le interpretazioni spaziarono dal genere comico a quello semiserio.

Il giudizio sulla sua voce da parte dei parigini si può ricavare dai commenti della stampa dopo il debutto ne “Il principe di Taranto” di Ferdinando Paër:

La sua voce è piena, pura e flessibile. Il suo fisico è dei più gradevoli. Ha cantato diverse arie con un talento superiore.

E inoltre:

La voce è un po’ più grave rispetto ai tenori ordinari: è quella che gli italiani attribuiscono al baritono.

Ancora:

Nozzari ha una voce superba ed estesa. Viene profusa in maniera uguale nei registri gravi e negli acuti: sa passare abilmente dalle esecuzioni di petto a quelle di testa.

Tra l’altro, Nozzari non lesinava mai abbellimenti e ornamentazioni in diversi passi delle arie, un’abitudine che gli portò comunque più critiche che elogi. Nel 1818 firmò un contratto con i regi teatri napoletani e si disimpegnò spesso anche nel ruolo di basso (ad esempio ne “La gazza ladra” di Rossini). Il suo nome è legato senza dubbio a quello del compositore pesarese, ma gli ultimi anni della carriera si incrociarono con quella emergente di Gaetano Donizetti: il musicista bergamasco gli riservò il ruolo da protagonista in “Alfredo il Grande”, prima di arrivare alla decisione di abbandonare in maniera definitiva il palcoscenico nel 1825. Diventò maestro di canto e tra gli allievi più illustri vantò Giovanni Battista Rubini e Nicola Ivanoff.

Perché Nozzari è considerato il baritenore per eccellenza? Il termine indica evidentemente la fusione delle parole “baritono” e “tenore”: il cantante lombardo era in grado di sfruttare nel migliore dei modi la zona medio-grave della tessitura, con il canto di coloratura messo in secondo piano rispetto a quello più declamato e ampio. Gli staccati furono il principale punto di forza della sua carriera, tanto è vero che i contemporanei notarono addirittura come “la voce riuscisse a battere l’incudine”. Le due ottave venivano superate senza problemi e gli acuti e i gravi erano ugualmente netti.

Ecco il motivo per cui Gioachino Rossini lo impiegò numerose volte per i suoi ruoli drammatici, la voce di Nozzari era l’ideale per i personaggi malvagi e violenti, gli antagonisti in poche parole. C’è chi ha definito i baritenori come dei “tenori-bassi”, più precisamente tutti quei cantanti che sono stati descritti come tenori nel corso del ‘700. Quando l’opera italiana cominciò a servirsi con maggiore frequenza dei castrati, i baritenori diventarono voci normali e, secondo alcuni, volgari, ridimensionando di gran lunga le interpretazioni.

Se si guarda alla sola opera francese, i baritenori moderni sono dei semplici baritoni. La vita di Nozzari si concluse in una fredda giornata autunnale a cinquantasei anni, dopo aver comunque lasciato un’impronta fondamentale nell’opera lirica. Per descriverlo al meglio ci si può affidare a uno dei giudizi, sempre illuminanti, dello scrittore Stendhal, melomane incallito:

La sua magnifica figura, imponente e malinconica, lo aiutava molto a rendere certi effetti ai quali il librettista non aveva probabilmente mai pensato. Ricordo che i napoletani notarono con stupore la bellezza dei gesti e la grazia tutta nuova che Nozzari aveva nella parte di Otello. Non era abituato a tanto.