La Calisto
La Calisto di Francesco Cavalli per la prima volta in scena al Teatro alla Scala di Milano.
Il Seicento e le sue due anime, secolo che da un lato getta le basi, anche scientifiche, per i lumi del Settecento e dall’altro epoca che vive ancora di fantasie, credenze, pitture mirabolanti e stupefacenti, arti e allestimenti scenici votati al puro stupore. Proprio in questa ottica duale si pone l’allestimento di questa Calisto, dramma per musica di Francesco Cavalli che trova la sua prima rappresentazione a Venezia nel 1651, pochi anni dopo la morte di Galileo Galilei. “Il sole, con tutti quei pianeti che gli girano attorno e da lui dipendono, può ancora far maturare una manciata di grappoli d’uva come se non avesse nient’altro da fare nell’universo.” Questa frase, attribuita allo scienziato pisano, che abbraccia la quotidianità della vita reale ed i grandi misteri del cosmo esemplifica perfettamente la scelta operata dal regista David McVicar e dallo scenografo Charles Edwars.
Il sipario si apre su una grande libreria, polverosa, dal mobilio seicentesco, asse portante e perno della stanza un grande telescopio, che rimanda a quello creato da Galileo. Nella volta del soffitto le costellazioni, dalle grandi finestre, grazie a pannelli led scorrono con moto rotatorio, paesaggi della pittura seicentesca, che nel loro incedere suggeriscono l’idea dell’eliocentrismo (video a cura di Rob Vale). Un mondo che sta uscendo dai secoli bui ma che parallelamente vive ancora nella fantasia ben simboleggiata dalla sua arte scenica: ecco allora scendere da una nuvola riccamente decorata un Giove-Re sole, e piano piano fare la loro comparsa tutti i personaggi del mito (l’opera è infatti tratta dalle metamorfosi di Ovidio) ma in splendidi costumi barocchi. Una buona idea registica, che si muove costantemente fra due piani paralleli ma che pecca forse di una certa staticità, la scena, seppur bella, resta sostanzialmente la stessa per tutta la durata dello spettacolo e verso il finale perde un po’ la capacità di incantare. Interessante la scelta di creare una passerella oltre l’orchestra dove i protagonisti camminano cercando di coinvolgere, visivamente il pubblico. Praticamente perfette le luci di Adam Silverman nel loro continuo mutare fra momenti di piena luce, atmosfere da crepuscolo e silenziosi notturni. Un vero trionfo i costumi di Doey Lüthi, ricchissimi, curati in ogni dettaglio e appaganti per la vista.
Dal punto di vista musicale, l’esecuzione di un titolo così raro e desueto, che vede la luce al Piermarini dopo oltre quattrocento anni, richiede non solo una compagnia di artisti specialisti in questo tipo di repertorio, ma anche, e soprattutto, un direttore d’orchestra che sia profondo conoscitore della partitura e del suo autore.
Il Maestro Christophe Rousset, impegnato in prima persona anche nell’esecuzione al cembalo, si trova alla guida di un organico composto da ventiquattro elementi, nove dei quali dall’Orchestra del Teatro alla Scala su strumenti storici e per la differenza da l’ensemble Les Talens Lyrique, compagine fondata, tra l’altro, dallo stesso direttore. Rispetto alla partitura originaria viene adottata una particolare versione critica, pensata appositamente per rendere maggiormente fruibile il capolavoro di Cavalli all’interno di un grande spazio, quale il Teatro alla Scala. Le principali differenze riguardano la tessitura musicale, che grazie all’ampliamento dell’organico, si colora di sonorità rafforzate e la scelta di concludere l’opera con alcune battute di sola musica per agevolare l’uscita di Calisto accompagnata da Mercurio e il successivo radunarsi dei personaggi sulla scena per contemplare la costellazione dell’Orsa in cielo.
Il Maestro Rousset imprime alla partitura una lettura raffinata e delicata, ma anche brillante e vaporosa. Si coglie così pienamente il clima da favola in cui è immersa la vicenda, in una continua alternanza di scene di elegiaco abbandono, pruriginosa sensualità, malinconico struggimento e geloso furore. Una prova maiuscola, quella del direttore francese, che riesce così a creare una tavolozza di colori caratterizzata da molteplici sfumature, mantenendo un ritmo sempre brillante e sonorità morbide che si piegano con facilità al continuo susseguirsi degli episodi che compongono la vicenda. Premiante la scelta di collocare l’orchestra in una buca rialzata rispetto al golfo mistico tradizionale, quasi a simboleggiare un naturale prolungamento del palcoscenico; un espediente che ha assicurato un perfetto amalgama sonoro tra suoni orchestrali e le voci dei protagonisti sul palco.
Nel ruolo della protagonista il soprano Chen Reiss si fa apprezzare per un mezzo caratterizzato da un bel colore lirico, che si espande con morbidezza e naturalezza nel registro acuto, ben appoggiato e squillante. La voce risulta espressiva e ben si piega alle esigenze interpretative del personaggio di Calisto, un ruolo che passa dall’iniziale imperturbabilità della ninfa, alle gioie della scoperta dell’amore, per poi approdare alla mesta quanto dignitosa rassegnazione nell’ accettare il suo celeste destino.
Luca Tittoto presta al personaggio di Giove una voce dal timbro scuro e vellutato, particolarmente sonora e ben tornita. Il fraseggio scolpito e partecipe, la dizione nitida e precisa, rendono perfettamente la regalità e la bramosia della divinità innamorata.
Bravissima Olga Bezsmertna, chiamata ad interpretare Diana, una dea inizialmente vessillo di purezza e castità, colta nel proseguo da dolce, quanto irrefrenabile passione amorosa per Endimione. In questa produzione si è scelto di far interpretare alla stessa cantante anche il ruolo en travesti di Giove, cimento superato grazie ad una pregevole abilità attoriale nonché alla capacità di donare al timbro vocale un maggior spessore e accento vagamente maschile. Vocalmente si fa apprezzare per un colore suadente e la corposità del mezzo che suona intenso e vibrante specialmente nella regione acuta.
Maiuscola la prova di Markus Werba, un magnifico Mercurio grazie ad un timbro prezioso e un bagaglio vocale che si dispiega compatto e musicalissimo in tutti i registri. Irresistibile da un punto di vista interpretativo per la cura dell’accento, sempre pertinente e raffinato, cui si unisce una presenza scenica elegante e disinvolta.
Il controtenore Christophe Dumaux interpreta il ruolo di Endimione cui conferisce un’interpretazione accattivante per freschezza e dolcezza. Vocalmente si fa apprezzare per la liricità di una linea aggraziata e pulita, naturalmente espressiva e scevra da facili affettazioni. Accorato e coinvolgente l’accento, grazie anche ad un’ottima pronuncia.
Ieratica e vendicativa quanto basta la Giunone di Véronique Gens, artista che sfoggia un mezzo opulento e sonoro, ammantato di un colore notturno e vellutato. Il fraseggio sa essere scolpito e ben tornito. L’interprete, avvolta in un bellissimo quanto ingombrante costume nero come la notte, perfettamente immedesimata nel ruolo della sposa del fedifrago Giove.
Ottima impressione desta la Linfea di Chiara Amarù, dotata di un timbro scuro e sonoro, pregevoli intonazione e musicalità nonché ragguardevole facilità nel registro acuto. Spassosissima interprete e gustosissima attrice, padroneggia la scena con naturalezza e disinvoltura.
Convincente Damiana Mizzi, un Satirino divertente e spigliato. La voce, di un bel colore chiaro e brillante, sale educata in acuto e si fa apprezzare per la freschezza di una linea morbida e vaporosa.
Interessante la prova di John Tessier, impegnato nel duplice ruolo di La Natura (prologo) e Pane (favola), ottimo fraseggiatore, vocalmente vibrante e ben sfogato in acuto.
Efficace Luigi De Donato, il dio Silvano, in virtù di un mezzo tonante, solido in acuto e scolpito nel fraseggio.
Di assoluto rilievo le prestazioni del soprano Federica Guida e del mezzosoprano Svetlina Stoyanova, impegnate in doppi ruoli, rispettivamente L’Eternità e Il Destino (prologo) e Le due furie infernali (favola). Le giovani cantanti mostrano materiali vocali ragguardevoli per preziosità del mezzo e musicalità, scenicamente risultano partecipi ed accorate.
Degni di nota, infine, i bravissimi mimi: Claudio Pellegrini, Luca Tomao e Antonio Catalano, simpaticissimi e irrefrenabili salti dagli spiccati impulsi sessuali, Stefania Bovolenta, Elena Dalé e Aurora Dal Maso, ninfe pugnaci quanto elegantemente glamour.
Grande successo al termine, con punte di assoluto entusiasmo per il direttore e tutto il cast impegnato. Un’ottima produzione, un doveroso omaggio alla musica barocca che il pubblico della Scala ricorderà a lungo.
LA CALISTO
Dramma per musica in un prologo e tre atti
Libretto di Giovanni Faustini tratto da Le Metamorfosi di Ovidio
Musica di Francesco Cavalli
Giove Luca Tittoto
Mercurio Markus Werba
Calisto Chen Reiss
Endimione Christophe Dumaux
Diana Olga Bezsmertna
Linfea Chiara Amarù
Il Satirino Damiana Mizzi
La Natura/Pane John Tessier
Silvano Luigi De Donato
Giunone Véronique Gens
L’Eternità/Furia Federica Guida
Il Destino/Furia Svetlina Stoyanova
Ninfe Stefania Bovolenta, Elena Dalé, Aurora Dal Maso
Satiri Claudio Pellegrini, Luca Tomao, Antonio Catalano
Orchestra del Teatro alla Scala su strumenti storici – Les Talens Lyriques
Direttore Christophe Rousset
Regia David McVicar
Scene Charles Edwards
Costumi Doey Lüthi
Luci Adam Silverman
Coreografia Jo Meredith
Video Rob Vale
FOTO: Brescia e Amisano – Teatro alla Scala