Fëdor Shalyapin, la voce della Russia
Fëdor Ivanovič Šaljapin, un nome spesso traslitterato in Chaliapin o Shalyapin. Comunque si voglia chiamarlo, questo basso russo viene ancora ricordato oggi come una delle voci più potenti in assoluto: la tipica descrizione che si faceva di Shalyapin lo raffigurava come un artista lirico capace come pochi di entrare nello spirito del personaggio che interpretava, grazie a uno studio approfondito e a una grandissima tenacia. Vissuto a cavallo tra ‘800 e ‘900, è stato ricordato anche per le pretese finanziarie, visto che i suoi onorari furono di gran lunga superiori a quelli di stelle come Gigli, Schipa, Lauri-Volpi e Martinelli. Ma si trattava di denaro ben speso.
Shalyapin nacque a Kazan il 15 febbraio del 1873 da una famiglia piuttosto modesta. È per questo motivo che sin da piccolo fu avviato a qualsiasi mestiere di tipo manuale. Prese il suo nome di battaglia dal padrino, visto che il vero nome era un altro e si formò come calzolaio. In realtà, la musica lo sfiorò in più di una occasione, una chiara premonizione del futuro. Ad esempio, un giorno la sua famiglia riuscì a vincere con un biglietto della lotteria un clavicembalo: il piccolo Feodor ne fu completamente rapito, tanto da dormirci sopra, con una voglia irrefrenabile di suonarlo. Purtroppo, però, la miseria costrinse la stessa famiglia a vendere lo strumento per venticinque rubli.
Vicino al suo posto da calzolaio, in una bottega di fornaio, lavorava invece come apprendista quello che sarebbe poi diventato un celebre scrittore e drammaturgo, Maksim Gor’kij. I due non si conobbero, ma fecero entrambi domanda per l’ammissione al coro del teatro locale. Gor’kij aveva cinque anni di più e fu accolto, mentre Shalyapin, la cui voce non era ancora ben sviluppata, fu respinto, una delusione che lo fece addirittura pensare al suicidio. Una vera e propria folgorazione, però, avvenne quando il giovane russo entrò in un tempio in cui si cantavano i Vespri, un coro che lo sedusse letteralmente. Fu scelto anche lui tra i cantori, ma la famiglia accolse questa notizia con grande indifferenza. Ma la strada era ormai segnata in maniera indissolubile.
Ad Astrakan fu in grado di calcare un palcoscenico come comparsa non pagata. La carriere prese una piega evidente, poi, a Ufa, l’attuale capitale e città più popolata della Repubblica di Baschiria: nonostante i timori e i dubbi iniziali, grazie alle buone performance del Trovatore cominciò a farsi conoscere sul serio, tanto è vero che l’impresario teatrale gli concesse una serata d’onore, facendogli scegliere l’opera che volesse. Shalyapin decise di interpretare lo Sconosciuto nella Tromba d’Askold e il successo fu a dir poco strepitoso. A Zlatooust, invece, cantò per la prima volta nel Mefistofele di Boito: il sostegno non manca, ma Shalyapin deve continuare a studiare, nonostante le difficoltà economiche. Fortunatamente, all’epoca esistevano molti mecenati.
In particolare, si interessò a lui l’insegnante di canto del Teatro Imperiale di Tiflis, Ussatow. Lo stesso discorso vale per Mamontow, il quale lo fece cantare sulle scene del suo teatro e gli fece conoscere tutto il mondo musicale a Mosca e Pietroburgo: Shalyapin cantò nell’Aida e nei Pagliacci, con una resistenza vocale che sorprendeva (si parlava addirittura di ventiquattro ore consecutive senza alcuna oscillazione della voce). L’ingresso nella Compagnia dei Teatri Imperiali di Pietroburgo fu determinante, tanto è vero che il basso russo divenne sempre più padrone di sé stesso e disposto a privilegiare la musica del suo paese, di gran lunga preferita a quella italiana. Le sue innovazioni sceniche erano sempre felici, in particolare per quel che riguarda il già citato Mefistofele, il quale doveva essere liberato assolutamente dalle tradizioni teatrali.
Il Boris Godunov di Modest Musorgskij divenne progressivamente la sua predilezione e tormento. Studiò quest’opera dal punto di vista musicale e vocale, ma volle conoscerne anche i caratteri storici. Si può ben capire tale dedizione nel ricordo dell’emozionante prima recita:
Nel giorno della prima m’accorsi d’essere diventato popolare a Mosca. Il mio nome stampato sul cartellone attirò in teatro molto pubblico, che in principio rimase un po’ freddo, ma poi si scosse alla scena dell’allucinazione. Il mio timore si trasformò in orgoglio, pel trionfo che ottenni.
Calcò la cena per più di quaranta anni, anche se nel nostro paese ha cantato raramente: si possono ricordare, in particolare, il Faust all’Argentina di Roma e la tappa al San Carlo di Napoli (nel 1902), oppure la Oskovitana di Rimski-Korsakow alla Scala di Milano (1910).
Ovunque raccolse grandissime ovazioni. Singolare è l’epitaffio che detto per la sua stessa tomba:
Arrestati passeggero. Questa è la mia tomba, la tomba di Shalyapin. Egli è partito per lasciare il posto ad altri. Egli ha vissuto, sofferto, amato, odiato. Ora ha finalmente il riposo eterno. Celebrato e stimato da molti e ora dimenticato da tutti: questa è la sorte del cantante. Morì a Parigi nel 1938 all’età di sessantacinque anni.