Nicolò Gabrielli, il compositore nobile
Il 21 febbraio del 1814 nasceva a Napoli da una famiglia agiata e imparentata addirittura con i Bonaparte Nicolò Gabrielli di Gubbio, conte e barone di Quercita. Si è trattato di un bicentenario dimenticato dell’opera lirica, un’occasione importante per rispolverare la biografia e la carriera di questo compositore e direttore d’orchestra, ma si può rimediare. Il titolo nobiliare non era altro che la conseguenza della nascita nel Regno delle Due Sicilie retto da Gioacchino Murat, ma l’ambiente napoletano favorì e non poco la sua formazione musicale. In effetti, al Conservatorio partenopeo ebbe la possibilità di studiare musica e composizione con diversi insegnanti, tra cui Nicola Antonio Zingarelli e Gaetano Donizetti.
Gabrielli sarà destinato a subire diverse critiche proprio per le sue note, considerate fin troppo facili e scontate, ma è anche vero che per tutta la durata del Secondo Impero francese (dal 1852 al 1870 per la precisione) riuscì a ottenere grandissima popolarità, tanto è vero che nel 1864 gli fu consegnata addirittura la Legion d’onore. Cerchiamo dunque di capire se furono meriti reali oppure dettati dagli stretti legami con il movimento bonapartista. Dopo aver concluso gli studi ricordati in precedenza, Gabrielli capì subito che il teatro era la sua vera vocazione e si dedicò anima e corpo alla composizione. Il debutto avvenne piuttosto presto.
È l’agosto del 1835 e il conte ha appena ventuno anni quando viene rappresentata a Napoli la sua prima opera in assoluto, “I dotti per fanatismo”. Il titolo ci fa capire immediatamente che si tratta di un melodramma buffo, due atti con la prosa in dialetto napoletano che riuscirono a conquistare le simpatie del pubblico del Teatro Nuovo. I due anni successivi sono altrettanto intensi. Il compositore campano scrisse tra il 1836 e il 1837 quattro opere: stiamo parlando anzitutto de “La lettera perduta” (Napoli, Teatro Nuovo), su libretto di Andrea Passaro e capace di raggiungere le cento recite nel 1850.
Nello stesso anno, poi, è il turno de “Il Cid” (la rappresentazione doveva avvenire al Teatro Valle di Roma, ma poi non se ne fece nulla), mentre nel 1837 vedono la luce “La parola di matrimonio” e “L’americano in fiera ossia Farvest Calelas”, sempre su libretto di Passaro e sempre nella città natale, ma stavolta presso il Teatro del Fondo. Nel frattempo, inoltre, cominciò a specializzarsi nella composizione di balletti. In questo stesso periodo si possono ricordare “Il ritorno di Ulisse” e “Ester d’Engaddi”, mentre nel 1839 compose “Il rajah di Benares” per celebrare il compleanno di Ferdinando II delle Due Sicilie.
La produzione successiva fu piuttosto prolifica: in totale si contano venticinque opere comiche e altrettanti balli, per un successo, anche se limitato, sulle scene francesi e italiane. La critica transalpina lo stroncò in parecchie occasioni, ma gli fu anche riconosciuto un incisivo effetto drammatico e la ricca fantasia per quel che riguarda la melodia, senza dimenticare una buona eleganza dal punto di vista stilistico. Le opere non riuscirono ad affermarsi come lo stesso Gabrielli sperava, anche e soprattutto per motivi politici. Eppure gli ingredienti per diventare una stella della lirica c’erano tutti, in particolare la diffusione da parte dell’editore Girard.
Il 1854 fu senza dubbio un anno importante in tal senso, visto che Napoleone III gli offrì la possibilità di trasferirsi a Parigi e di esordire all’Opèra con il ballo “Gemma”. In quella occasione giunse persino una critica in forma anonima e che venne pubblicata sulla Revue et Gazette Musicale de Paris, secondo la quale la musica di Gabrielli era danzante, vivace e con appropriate reminiscenze napoletane. Insomma i riconoscimenti non mancarono, peccato che poi l’intero repertorio sia finito in maniera inesorabile nel dimenticatoio. Quali altri titoli possono essere ricordati a duecento anni di distanza dalla nascita?
Oltre alle opere che sono andate perdute un cenno lo meritano “Una passeggiata sul palchetto a vapore” (opera buffa rappresentata per la prima volta alla Fenice di Venezia nel 1845), “Il gemello” (commedia lirica in dialetto napoletano, Napoli, Teatro del Fondo, sempre nel 1845), “Giulia di Tolosa” (tragedia lirica, 1846), “La regina delle rose” (Vienna, 1852), “Don Grégoire ou Le précepteur dans l’embarras” (Parigi, 1859) e “Le petit cousin” (Parigi, 1859). Il 1870 fu l’anno peggiore della sua carriera, la sconfitta di Sedan rappresentò il suo abbandono della scena artistica a causa dei legami bonapartisti, anche se poi Gabrielli decise di continuare a vivere a Parigi, città che gli aveva dato le maggiori glorie e fortune e in cui morì nel 1891.