Adelina Patti, la regina del canto
Una voce dal timbro cristallino e, allo stesso tempo, vellutata e rotonda, al punto da riuscire ad andare dal Do basso al Fa sopracuto: è questo uno dei giudizi principali sul canto di Adelina Patti, il soprano che sin dall’infanzia ebbe la possibilità di “respirare” musica ed opera lirica. Nata a Madrid (ma solo per caso) nel 1843 da una famiglia italiana, la sua carriera sembrava scritta già dalla più tenera età. Il padre, infatti, era il tenore siciliano Salvatore Patti, mentre la madre il soprano Caterina Chiesa Barilli. Quest’ultima, poi, era al suo secondo matrimonio, avendo già sposato il compositore Francesco Barilli, da cui aveva avuto quattro figli, tutti cantanti lirici. Ma come ci si accorse delle doti di Adela Juana Maria (è questo il nome con cui il soprano venne battezzata)?
Orgogliosamente italiana, a sei anni amava indossare i costumi della madre e cantare di fronte a un “pubblico” di bambole, una voce ancora da scoprire ma che cominciava a incuriosire. La Patti può essere inserita di diritto nell’elenco delle bambine-prodigio, favorita senza dubbio dalla famiglia e dall’intuito di un fortunato impresario, Maurizio Strakosch, marito di sua sorella Amelia, sicuro di aver scovato una vera e propria miniera d’oro. I concerti cominciarono sin da subito. Il primo spettacolo a Baltimora, però, non attirò molto pubblico, ma si trattava soltanto dell’inizio.
Nelle occasioni successive le sale si riempirono progressivamente e nel giro di due anni la Patti era diventata famosissima. Il contratto prevedeva una paga crescente, vale a dire duemila lire al mese per il primo biennio, tremila per il terzo anno, quattromila per il quarto e cinquemila per il quinto. Per il grande debutto sulla scena lirica, però, bisognerà attendere fino al 1859, quando venne ingaggiata per cantare nella “Lucia di Lammermoor” all’Academy of Music Opera House di New York (città in cui la famiglia si era trasferita da tempo): il successo fu incoraggiante.
La sua Rosina nel “Barbiere di Siviglia” di Rossini venne accolta con entusiasmo, così come anche nelle interpretazioni ne “I Puritani”. L’approdo in Europa era dunque scontato; il pubblico del Covent Garden di Londra la ammirò ne “La sonnambula” di Bellini (14 maggio 1861) e bastò un solo anno per conquistare Parigi. La patria tanto amata, l’Italia, fu costretta ad attenderla fino al 1878: l’accoglienza non poteva che essere trionfale, bastava annunciare il suo nome per ottenere il tutto esaurito in teatro, tenendo conto del fatto che il biglietto d’ingresso non costava mai meno di 10 lire, che le poltrone si aggiravano attorno alle 50 e che i palchi raggiungevano addirittura quota 200.
I suoi impresari, Strakosch in primis, sapevano fiutare gli affari, ma anche la stessa Patti sapeva ben gestire i suoi guadagni: era più che inflessibile nel pretendere il pagamento anticipato, una consuetudine di cui si rese protagonista nello stesso modo in cui lo fu Francesco Tamagno, il primo Otello. Si sono usati tanti aggettivi per descriverla. Fu molto avara e anche fortunata. In effetti, i vari aneddoti che riguardano la sua vita raccontano di numerosi furti, incendi e perfino attentati sventati. Fu, poi, piuttosto capricciosa e golosa. L’amore, invece, arrivò, dopo due matrimoni, con il giovane barone di Cederström, medico svedese di nobile famiglia, più giovane di lei di ben trent’anni.
Vissero felici e contenti nel sontuoso castello britannico della Patti. Gli ultimi anni furono caratterizzati da sue rare apparizioni artistiche: in particolare, partecipò a un concerto di beneficenza a Roma insieme al baritono Toto Cotogni (nel duetto del “Don Giovanni”), senza dimenticare l’audizione a Santa Cecilia nel 1903, il congedo di un’anziana sessantenne che però dimostrò ancora qualche risorsa giovanile ne “Il bacio” di Luigi Arditi. Morì nel 1919, all’età di settantasei anni, nella sua dimora di Craig-y-Nos, nel Galles.
Il suo canto fu giudicato di una perfezione assoluta per quel che riguarda il timbro, la virtuosità dei vocalizzi, l’utilizzo frequente di fiorettature e il metodo. All’inizio della carriera, comunque, la Patti sfruttava fin troppo queste particolarità della sua voce, tanto che Gioachino Rossini, dopo aver lodato i gorgheggi degni di un usignolo, fece finta di non riconoscere più la musica da lui scritta per “Il barbiere di Siviglia”. Per descriverla in maniera sintetica si può usare questo commento di un vecchio giornalista a lei contemporaneo:
Un proverbio arabo dice che la parola è d’argento e il silenzio è d’oro. Se gli arabi conoscessero la nostra Adelina non oserebbero più ripetere una simile assurdità!