Il castello di Barbablù
Il castello di Barbablù di Béla Bartók, rappresentato in questi giorni al Teatro Coccia di Novara, chiude un discorso tematico iniziato con l’opera Le ore delle spose di cui ci siamo recentemente occupati, rappresentata l’otto e il nove ottobre nel misterioso scenario di casa Bossi e creata appositamente dalla produzione teatrale novarese come prologo narrativo all’opera dell’autore ungherese.
Si torna a teatro, dopo il covid, dopo i lunghi lavori di messa in sicurezza, finalmente il Coccia di Novara riapre la sua sala al pubblico e lo fa con un titolo non scontato e di grande bellezza: Il castello di Barbablù di Béla Bartók.
L’opera è stata scritta nel 1911 ma incontrerà una certa fortuna solo a partire dal 1918 con la sua prima rappresentazione al Teatro di Budapest. Per l’Italia dovremo invece aspettare il Maggio Fiorentino del 1938. Se la fonte letteraria primaria è una fiaba di Charles Perrault, nella versione riscritta di Maurice Maeterlinck, l’opera di Bartók su libretto di Béla Balázs cerca di essere molto più di un racconto per bambini andando ad assumere significati più alti e complessi.
All’inizio della rappresentazione assistiamo al breve Dopo l’ultima stanza un utile preludio all’opera, un ponte fra il già citato Le ore delle spose e il Castello, con musica appositamente scritta da Claudio Scannavini e un recitato delle sempre brave Giuditta Pascucci e Carolina Rapillo. Entriamo poi nel castello di Barbablù, che, di rosso vestito, compare in scena insieme alla sua nuova sposa, Judith, in abito bianco.
La grande metafora messa in scena è una riflessione sulla esistenza intera, sette porte da aprire, sette misteri, o aspetti dell’esistenza che la giovane donna vuole indagare: un viaggio iniziatico nella conoscenza della vita e dell’amore. La regista Deda Cristina Colonna e lo scenografo e costumista Matteo Capobianco hanno lavorato per fare “parlare”, al centro della scena il castello di Barbablù, un ettagono bianco con una porta per lato, su cui si riversano proiezioni: una giostra in continua rotazione, come un cerchio della vita che i due protagonisti percorrono e attraversano durante l’opera. Una scena semplice e funzionale ma altamente simbolica, che riesce perfettamente a suggerire il senso mistico dell’opera di Bartók.
Sul fronte musicale il maestro Marco Alibrando sceglie una riscrittura per organico orchestrale ridotto curata da Paola Magnanini e Salvatore Passantino questo arrangiamento risulta sapiente e riesce a mantenere intatte le evocative atmosfere create dalla musica con un ottimo bilanciamento dei vari colori. L’Orchestra del Teatro Coccia diffonde nella sala una musica ora possente ed ora inquietante suonata sempre con grazie e maestria.
Due soli cantanti sono previsti in questa interessante opera, da una parte la voce da basso intensa e profonda di Andrea Mastroni e le sonorità chiare e sopranili della brava Mary Elizabeth Williams.
Andrea Mastroni è un Barbablù che incute inizialmente timore con la voce dal bellissimo colore serotino e dalla notevole potenza. Un personaggio inizialmente forte e enigmatico che nel progredire dell’opera cede all’amore e alle insistenze della sposa mostrando una linea di canto più intimistica e sfumata, una notevole prova musicale sorretta anche dalla bella presenza scenica.
Ottima anche la Judith di Mary Elizabeth Williams; il soprano di origine americana si trova a suo agio anche con la lingua ungherese cantata e tratteggia una giovane inizialmente piena di speranze che si tramutano in dubbi, sorretta sempre da una buona tecnica vocale e una convincente interpretazione scenica, oltre che da un mezzo vocale potente e dal gradevole colore.
Applausi sentiti da parte dei non numerosi spettatori, peccato per chi si è fatto spaventare dal titolo, ha perso una bella emozione.
DOPO L’ULTIMA STANZA
PRELUDIO A BARBABLÙ
Musica di Claudio Scannavini
OPERA
IL CASTELLO DI BARBABLU’
Orchestrazione per organico orchestrale ridotto Paola Magnanini e Salvatore Passantino (Accademia AMO)
Musica di Béla Bartók
Libretto di Béla Balázs
Traduzione di Hannah Gelesz e Deda Cristina Colonna
Direttore Marco Alibrando
Regia Deda Cristina Colonna
Assistente alla regia Hannah Gelesz
Scene e costumi Matteo Capobianco
Barbablù Andrea Mastroni
Judith Mary Elizabeth Williams
Prologo Giuditta Pascucci, Carolina Rapillo
Orchestra del Teatro Coccia
Coproduzione Fondazione Teatro Coccia e Fondazione Pergolesi Spontini di Jesi
FOTO: MARIO FINOTTI