Nabucco
La stagione del teatro Petruzzelli prosegue con Nabucco, dal venti al ventisette ottobre, mese, peraltro, in cui ricorre il compleanno del maestro Verdi. Nella carriera del compositore il Nabucco è senz’altro l’opera che gli decretò il successo, dopo il fiasco di Un giorno di regno che Verdi dovette comporre dopo aver tristemente perso la prima moglie, Margherita Barezzi, nonché i due figli, Virginia e Icilio. Il maestro di Busseto era deciso a non comporre più, quando l’impresario Merelli lo convinse a musicare un libretto di Temistocle Solera, già rifiutato da un compositore tedesco. Racconta la leggenda che in una fredda serata d’inverno, a Verdi, da poco rincasato, cadde il libretto accidentalmente e gli si affacciò dinnanzi un verso: “va pensiero sull’ali dorate”. Tanto bastò per convincere il compositore emiliano a tornare a comporre, sciogliendo così l’immenso dolore per i recenti lutti familiari. Il Nabucco andò in scena il nove marzo del 1842 alla Scala, con Giuseppina Strepponi come Abigaille, soprano per cui Verdi scrisse la parte e che sarebbe diventata la sua seconda moglie.
Il Nabucco che va in scena in questi giorni al Petruzzelli vede la regia di Leo Muscato, bella, rispettosa della drammaturgia verdiana e che è caratterizzata da frequenti giochi di luce che valorizzano i personaggi, nonché da imponenti splendide scenografie. Sul podio c’è Renato Palumbo, ispirato e eccellente direttore che definirei senza tema di smentita verdiano. Il maestro è totalmente in sintonia con il compositore, di cui sembra conoscere ogni suo intimo segreto o intenzione. La sua direzione è solenne, maestosa, intimistica, vibrante e concitata nelle cabalette o nei concertati. Con lui l’orchestra respira con i cantanti e partecipa empaticamente ai sentimenti dei personaggi.
Nel concertato di fine primo atto “Tremin gli insani”, l’accompagnamento degli archi si fa trascinante sulla frase pronunciata da Abigaille: “L’impeto acqueta del mio furore”. Il celeberrimo “Va’, pensiero” è diretto con un tempo parecchio dilatato, che si potrebbe definire troppo lento, scelta tuttavia probabilmente pensata dal maestro al fine di conferire a questo splendido coro un carattere particolarmente toccante, quello di un’intima preghiera quasi sussurrata dal magnifico coro del Petruzzelli, il quale regala un bellissimo crescendo nella frase “di Sionne le torri atterrate” e un forte in “Oh mia patria si bella e perduta”, enfatizzando il dolore degli ebrei incatenati sulle rive dell’Eufrate. Inevitabile il ricordo di un festival verdiano a Parma, dove il celebre e commovente coro venne bissato al grido “viva Verdi” che, dispiace dirlo, a Bari non si è udito e non vi sono state richieste di bis, come indubbiamente questa mirabile esecuzione avrebbe meritato. Spiace che la possente colonna di suono di questo ottimo coro sia stata penalizzata dalla non condivisibile scelta di far indossare le mascherine. Un dettaglio non trascurabile riguarda la scelta del maestro Palumbo di dirigere il monumentale capolavoro verdiano senza spartito.
Il ruolo di Nabucco è impersonato dal baritono rumeno George Petean, già Ezio nell’ Attila che ha aperto la stagione scaligera il sette dicembre 2018/2019. Il baritono rumeno è dotato di voce brunita, di buon volume e squillo, il suo è un Nabucco sicuro, regale, che ostenta fino all’atto terzo la sua crudeltà e baldanza. Nel duetto con Abigaille il Nabucco di Petean scende a patti con la realtà: del possente re di Babilonia non v’è che l’ombra e Petean esibisce uno straordinario velluto, sorretto da un ottimo fiato nel cantabile dell’impegnativo duetto, così come nell’intenso “Dio di Giuda”, il re è convertito al Dio degli ebrei e determinato a salvare sua figlia Fenena.
Rivelazione della serata è il soprano Maria José Siri che tuttavia col ruolo di Abigaille non si accostava per la prima volta agli irti ruoli da drammatico di agilità del primo Verdi. Anni fa infatti la si era ascoltata come Odabella al teatro Pavarotti di Modena. La Siri si presenta con una voce di grande spessore e notevole volume, pur conservando la sua natura da soprano lirico che, talvolta, le costa un registro grave poco sonoro, a fronte di quello centrale e soprattutto acuto. Impressionante il temibile salto di ottava sulla parola “sdegno”, a conclusione del recitativo “Ben io t’invenni”. L’Abigaille della Siri appare, come indicato nella drammaturgia verdiana, umana e più lirica nel terzetto con Ismaele e Fenena “Io t’amava”, mentre svela la sua natura tenace e pugnace già dal successivo concertato che chiude il primo atto. La parte di Abigaille è irta di difficoltà, che il soprano uruguaiano affronta tuttavia egregiamente. Lo splendido cantabile, “Anch’io dischiuso” permette alla Siri di esibire eterei pianissimo e un invidiabile legato morbido e sul fiato, il colore è avvolgente, caldo, di timbro rotondo e argenteo. La difficilissima cabaletta “Salgo già del trono aurato” è cantata con tecnica sicura, le agilità e i trilli sono eseguiti molto correttamente e il do che conclude la cabaletta è potente, proiettato e squillante. Il fraseggio è di altissima qualità e i versi “Salgo già del trono aurato” nel da capo della cabaletta sono cantati sottovoce, variando rispetto all’esposizione della stessa, perché la sua Abigaille è totalmente immersa nei suoi sogni di vendetta e potere. Al termine dell’opera lo spettatore prova pietà per la sua Abigaille che chiede perdono a Fenena per il male che le ha arrecato. La Siri ha ancora una volta modo di esibire splendidi filati e un canto a mezza voce.
Ottimo il basso Riccardo Zanellato, autorevole e al contempo rassicurante Zaccaria fin dalla sua aria di entrata “D’Egitto là sui lidi”. Il fraseggio è elegante e nobile, sorretto da un potente squillo, velluto e bellissimo legato. Anche lui come Maria José Siri dà senso alle variazioni della cabaletta “Come notte a sol fuggente”, i cui versi iniziali sono cantati con tono più misterioso, quasi sottovoce.
Molto a fuoco anche la Fenena di Nino Surguladze, di timbro scuro da mezzosoprano e bel fraseggio. L’attacco dell’unica aria affidata al suo personaggio, “Oh dischiuso è il firmamento”, grazie al sonoro registro di petto posseduto dall’artista, è meraviglioso. La voce è ben proiettata e ambrata.
Sfortunatamente l’Ismaele di Giulio Pelligra non è apparso molto presente, spesso la sua voce veniva coperta dall’orchestra o dal resto della compagine di canto.
Bene il Gran Sacerdote di Belo interpretato da Andrea Comelli, l’Abdallo di Saverio Pugliese e la Anna del soprano Marta Calcaterra. Non si può, infine, non menzionare il bravissimo maestro del coro Fabrizio Cassi, al quale peraltro, come già per lo stesso Verdi, la città di Busseto ha dato i natali.
Al termine l’esecuzione viene salutata da un giusto e generoso applauso in particolare per Maria José Siri, George Petean e il bravissimo maestro Renato Palumbo.
NABUCCO – GIUSEPPE VERDI
Dramma lirico in quattro parti su libretto di Temistocle Solera,
ispirato al dramma “Nabuchodonosor” di Auguste Anicet-Bourgeois e Francis Cornue, del 1836
Nabucodonosor – George Petean
Ismaele – Giulio Pelligra
Zaccaria – Riccardo Zanellato
Abigaille – Maria José Siri
Fenena – Nino Surguladze
Il Gran Sacerdote di Belo – Andrea Comelli
Abdallo – Saverio Pugliese
Anna – Marta Calcaterra
direttore Renato Palumbo
regia Leo Muscato
regia ripresa da Alessandra De Angelis
scene Tiziano Santi
costumi Silvia Aymonino
disegno luci Alessandro Verazzi
maestro del coro Fabrizio Cassi
Orchestra e Coro del Teatro Petruzzelli
Allestimento scenico | Fondazione Teatro Lirico di Cagliari