Mattia Battistini, alla scoperta del Re dei Baritoni
Una voce morbida e dal timbro molto simile a quello tenorile, oltre che conoscitrice di ogni segreto del chiaroscuro: sono queste le caratteristiche migliori che si possono ricordare di Mattia Battistini, considerato insieme ad Antonio Cotogni uno dei migliori baritoni del XIX secolo. Raccontare la storia della sua vita significa anche addentrarsi in settantadue anni di successi e portenti, una carriera che non ha conosciuto alcun tipo di macchia. Battistini nacque nel 1856 a Roma, da una famiglia piuttosto agiata. I suoi lineamenti signorili erano stati senza dubbio resi più profondi e marcati dalla nobiltà dei suoi genitori, ma la sua eleganza fu anche di tipo intellettuale.
Dopo gli studi classici, si iscrisse alla Facoltà di Medicina, ma nel frattempo cominciava ad approfondire la musica. Già nel 1876, infatti, era diventato socio filarmonico, prendendo parte alle più importanti esecuzioni del coro, ma fu il 1878 l’anno della svolta per quel che riguarda il dover affrontare la scena lirica. L’11 novembre di quell’anno si doveva rappresentare la Favorita di Gaetano Donizetti al Teatro Argentina di Roma, con l’ottima Isabella Galletti nel ruolo di Inès: l’impresario Boccacci, però, aveva scritturato anche due baritoni per la parte di Alfonso, ma il pubblico capitolino aveva disapprovato in maniera evidente. Fu quasi una fortuna che Battistini si presentasse al direttore d’orchestra, Luigi Mancinelli, per essere ascoltato; il ragazzo aveva appena ventidue anni, ma non si trattava di un timido esordiente e tutti si accorsero di avere a che fare con un astro nascente.
Da quel momento, la strada fu in discesa per il giovane baritono e la carriera assicurata: di quella Favorita si parlò parecchio anche successivamente, con i consueti aneddoti che rendono una vita importante anche interessante. In effetti, dopo un’aria parecchio applaudita, dalle quinte spuntò un signore che abbracciò e baciò Battistini e ne aveva ben donde, in quanto si trattava di Venceslao Persichini, uno dei suoi maestri di canto, il quale voleva mostrare tutto il proprio orgoglio per quei tripudi. Non è un caso che le recensioni della giornata successiva siano state tutte positive. Ad esempio, secondo l’Opinione:
Il signor Battistini è stato portato in trionfo. Nessun artista, per quanto valente, è mai stato applaudito a Roma al pari di lui. Né la Galletti, né la Patti, né la Donadio, né il Cotogni ebbero mai ovazioni così fragorose e sterminate. La voce del nuovo baritono è bella e simpatica, la mezza voce è deliziosa. Egli, poi, canta di buona scuola ed è anche abbastanza disinvolto sulla scena.
Insomma, la fortuna era appena cominciata. La sua vasta cultura lo aiutò parecchio ad arrivare fino al cuore dei personaggi che interpretava, cercando di riprodurre fedelmente anche l’aspetto fisico e l’incedere, ragione per cui la padronanza della scena era praticamente assoluta. I trionfi continuarono non solo nel nostro paese, ma anche in Spagna, in Portogallo, in Inghilterra, in Francia e in Russia, ma non riuscì mai a farsi affascinare più di tanto dagli Stati Uniti: il motivo è presto detto, si trattava di una fobia curiosa, con il lungo viaggio via mare che lo spaventava. Fu invece in Russia che accumulò tantissimi estimatori, come ricordava all’apice della carriera:
Ho trovato estimatori a Londra come a Stoccolma, a Parigi come a Berlino, a Vienna come a Bucarest, ma è in Russia che ho avuto forse le maggiori soddisfazioni. Vi sono stato ventisei volte, quante dolci memorie!
L’unica volta che venne fischiato nella sua carriera lirica si verificò non per aver interpretato male un’aria, ma per non aver concesso un bis al pubblico russo, visto che una sua precedente replica di un pezzo aveva destato aspre critiche da parte della stampa. Il repertorio di Battistini comprendeva soprattutto La Favorita, Maria di Rohan, Ernani, Un Ballo in maschera, La Traviata, Thais e Tosca, ma amava ricordare anche titoli più rari, come Lo schiavo, Fosca, Zampa e qualche melodramma donizettiano meno famoso. Perfino a settanta anni suonati riusciva a cantare bene, tanto è vero che il giorno prima di morire, nel 1928, cantò l’inno fascista Giovinezza con immenso slancio, sia per la passione musicale che per quella politica. Significativo è in questo senso un commento di un critico viennese, una frase che può rappresentare l’ideale chiusura della sua biografia: Battistini cantò finché poté respirare, respirò finché poté cantare.