Rubriche 2021

Angelo Masini, il tenore dalla “voce di velluto”

Il “tenore angelico”, ma anche “voce di velluto”: i soprannomi affibbiati ad Angelo Masini non sono certo stati scelti a caso, ma riflettono la straordinaria morbidezza e pulizia del suo canto, tanto da farlo imporre in diversi ruoli da tenore. Non è un caso nemmeno che Giuseppe Verdi abbia parlato di lui in termini entusiastici: “È la voce più divina che abbia mai sentito: è proprio come un velluto“. Questo articolo è l’occasione giusta per ricordare la sua vita e il contributo offerto all’opera lirica. Angelo Masini nacque nel 1844 a Terra del Sole, non lontano da Castrocaro Terme, in una delle zone più interessanti della Romagna. La famiglia era modesta, ma la vocazione del canto cominciò sin dalla più tenera età: gli insegnamenti di Gilda Minguzzi furono determinanti per costruire quella voce che poi lo portò al successo internazionale.

Il debutto avvenne a soli ventitré anni a Finale Emilia, più precisamente nella Norma di Bellini, dunque Pollione fu il suo primo ruolo tenorile in assoluto. Successivamente ebbe altri riconoscimenti, ma andiamo per ordine. Il suo canto non era di eccezionale forza ed estensione, ma la morbidezza e la passionalità erano tali che furono queste doti a distinguerlo dalla massa. La grazia ammirata e riconosciuta da molti nel Barbiere di Siviglia, nell’Elisir d’Amore e nel Fra Diavolo non aveva paragoni, ma anche gli Ugonotti e l’Aida furono forieri di successi. In particolare, sapeva colpire nel profondo dell’anima degli spettatori.

Quello che desta maggiore meraviglia nella sua carriera è senza dubbio la vastità e la varietà della musica che ha interpretato. Masini, infatti, aveva perfezionato degli studi molto speciali di gorgheggio e in questo modo la sua voce era agile e obbediente a qualsiasi tipo di opera. Anche le qualità di attore erano indiscutibili, tanto che non c’erano addirittura confronti nella sua esecuzione degli Ugonotti di Meyerbeer, soprattutto nel celebre duetto del quarto atto. I numeri del suo curriculum sono davvero impressionanti: si tratta di ben 107 opere studiate ed eseguite, con 167 parti in repertorio e altre ventiquattro mai portate in scena. Sono pochi gli artisti lirici che possono vantare un patrimonio musicale di queste dimensioni.

La signorilità del carattere si accompagnava però anche un temperamento piuttosto iracondo. In effetti, sono diversi gli episodi che testimoniano questo atteggiamento. Come quando a Pietroburgo, in pieno inverno, era in procinto di provare I pescatori di perle di Bizet: il teatro imperiale era stato riscaldato a dovere, forse anche troppo e Masini non aveva alcuna intenzione di cantare circondato da quell’aria così secca. Per convincerlo a esibirsi fu necessario aprire tutte le finestre ed ecco il tenore romagnolo accettare di cantare in pelliccia. In un’altra occasione litigò furiosamente con il suo suggeritore, al punto che Masini gli sferrò un calcio violento.

Tra l’altro, egli non cantò mai né a Milano né a Roma per una sorta di ripicca. In pratica, gli inizi della sua carriera erano stati caratterizzati da qualche critica di troppo da parte degli spettatori romani, i quali non seppero apprezzare il volume della sua voce; ecco allora che Masini maturò il giuramento di non cantare mai più nella Città Eterna. Lo stesso discorso deve essere fatto per la Scala, visto che qualche dubbio e diffidenza di troppo sulle sue qualità lo offesero profondamente. Le rivincite non mancarono. Ad esempio, l’editore Ricordi lo propose a Giuseppe Verdi come interprete della sua Messa da Requiem e una importante audizione con il “cigno” di Busseto gli consentì di cantare il capolavoro nei maggiori teatri europei.

La sua carriera durò circa quarant’anni, ma nel 1905 giunse il momento di ritirarsi a Forlì, dedicando il resto della vita all’agricoltura. In tarda età si segnalò per la sua generosità, come quando donò centomila lire per erigere un monumento dedicato ad Aurelio Saffi, senza dimenticare il mezzo milione che mise a disposizione della Casa di Riposto dei Musicisti di Milano e la stessa somma in favore di enti forlivesi di beneficenza. Proprio a Forlì lo colse la morte nel 1926, all’età di ottantadue anni, ma il suo ricordo deve rimanere ben nitido in tutti gli appassionati di lirica per la sua dedizione e cura in ogni lavoro con cui si cimentava, qualità non sempre così semplici da trovare.