“Va, pensiero”, “Fratelli d’Italia” e l’inno di troppo
Giuseppe Verdi e Goffredo Mameli non si incontrarono mai in vita: non sarebbe stato possibile, anche perchè l’autore dei versi del nostro inno nazionale morì ad appena 21 anni, eppure i loro nomi sono stati spesso inseriti nello stesso discorso. Il primo ad accomunare il compositore e il patriota fu niente meno che Giuseppe Mazzini, alla ricerca di un testo che potesse esprimere i sentimenti degli italiani. Il fondatore della “Giovine Italia” fu molto chiaro in una lettera indirizzata allo stesso Mameli:
Mandami un inno che diventi la Marsigliese italiana, e della quale il popolo, per usare la frase di Verdi, scordi l’autore e il poeta.
La collaborazione a distanza portò come risultato “Suona la tromba”, l’inno di battaglia che avrebbe dovuto caratterizzare la rivoluzione del 1848: Verdi spiegò di essere stato il più popolare possibile, invitando Mazzini a bruciare il pezzo se non fosse stato ritenuto degno. “Suona la tromba” finì presto nel dimenticatoio, anche perchè un anno prima Mameli aveva ultimato il “Canto degli Italiani”, messo in musica da Michele Novaro e subito apprezzato dal popolo. Qualche anno prima Verdi aveva invece ottenuto il suo primo e autentico successo in campo operistico con “Nabucodonosor”, lavoro in cui emerse con prepotenza uno dei cori, il celebre Va, pensiero.
Proprio quest’ultimo è stato più volte contrapposto a quello che siamo abituati a chiamare “Fratelli d’Italia”: l’inno di Mameli rappresenta il nostro paese nel mondo, ma c’è a chi piacerebbe vederlo rimpiazzato dal coro verdiano. Tra l’altro, c’è un problema di burocrazia che non deve essere sottovalutato. Nel 1946 il primo governo della Repubblica Italiana stabilì il “Canto degli Italiani” come inno nazionale, tanto che il 4 novembre fu suonato per la prima volta per il giuramento di fedeltà delle forze armate. Sono passati oltre 70 anni da allora e, nonostante le promesse, si attende ancora un decreto che ufficializzi l’inno, come avviene per la Marsigliese, citata nella Costituzione francese a partire dal 1958.
Il primo serio tentativo di varare la legge risale al 2002 e lo stesso è avvenuto nel 2005, ma tutto è rimasto provvisorio. Proprio per questo motivo sono aumentati i sostenitori del Va, pensiero, utilizzato da anni dalla Lega Nord come inno di partito e di identità padana. L’estate del 2001 fu caldissima in questo senso. Il Ministro delle Politiche Comunitarie di allora, Rocco Buttiglione, ipotizzò la “staffetta”, criticando l’inno di Mameli (“Non è un granchè”) e innescando una polemica, non solo politica. L’associazione verdiana “Club dei 27” accolse con entusiasmo l’idea, con il coro del “Nabucco” giudicato più famoso e vicino ai sentimenti degli italiani.
Non sono mancate le esecuzioni del Va, pensiero nelle scuole al posto dell’inno di Mameli, i sondaggi televisivi in cui la maggioranza degli italiani ha votato per Verdi e le accuse al testo del nostro inno nazionale, ritenuto addirittura “maschilista”. Una querelle di questo tipo, però, è sostanzialmente inutile. Di sicuro nel “Nabucco” si possono intuire alcune allusioni (più o meno volute) alla questione italiana. Nel 1842, anno in cui l’opera fu rappresentata per la prima volta, il nostro paese era ancora diviso in stati e staterelli, dunque ci si poteva immedesimare facilmente nella storia degli ebrei costretti all’esilio dai babilonesi.
Nei salotti liberali si cantavano e suonavano diverse arie del lavoro di Verdi, Va, pensiero in primis: il verso Oh mia patria sì bella e perduta! non poteva non far pensare alle sorti italiane e proprio la parola “Italia” sostituiva alla perfezione “Patria”. Mettere in discussione Mameli piuttosto che Verdi non ha senso: “Fratelli d’Italia” fa parte della nostra storia ed esprime i valori e gli onori di chi è caduto per la patria. Come sottolineato più volte da Riccardo Muti, il coro musicato dal Cigno di Bussetto ha un altro piglio, in sostanza è un “canto di perdenti”, oltre che un lamento e una preghiera. Lo stesso Verdi impose un tempo lento e grave.
Gli inni sono solitamente più focosi, senza nulla togliere alla bellezza e purezza della pagina operistica. D’altronde, è stato proprio Verdi a riconoscere l’importanza del “Canto degli Italiani”, come si intuisce perfettamente dalla struttura dell’Inno delle Nazioni, la cantata composta nel 1862 su testo di Arrigo Boito (a sua volta proposto come inno ufficiale del nostro paese): nella parte finale si possono ascoltare “God save the Queen”, la Marsigliese e l’inno di Mameli, sovrapposti in forma polifonica e semplificata. Se anche il compositore emiliano decise di mettere “Fratelli d’Italia” sullo stesso piano dell’inno inglese e di quello francese un motivo ci sarà.