Errico Petrella e il bicentenario dimenticato
Il 2013 è stato un anno dominato, dal punto di vista operistico, dalle celebrazioni di Giuseppe Verdi e Richard Wagner. In realtà, c’era un altro bicentenario che nessuno si è sognato di ricordare, quello della nascita di Errico Petrella. Questo nome, oggi praticamente caduto nell’oblio, è stato acclamato almeno fino al 1870, quando il compositore palermitano veniva considerato il secondo maggior operista dopo Verdi. Come è stato possibile dimenticarlo in questa maniera? Cerchiamo di rimediare in parte a questa lacuna, ricordando anzitutto che il 24 marzo del 1859 andava in scena alla Scala di Milano per la prima volta Il duca di Scilla, opera seria in quattro atti dello stesso Petrella, uno dei suoi principali titoli.
Si può parlare di un vero e proprio caso per questo figlio di un ufficiale della marina borbonica, in quanto non si è ancora cominciato a riscoprire le sue opere, una situazione assurda se si pensa alla personalità spiccata e alle trovate geniali di molti suoi lavori. Nato appunto a Palermo nel 1813, lo stesso anno di Verdi e Wagner (un anno fecondo verrebbe da dire), dopo aver iniziato gli studi della musica presso l’Istituto San Sebastiano a Napoli, riuscì a entrare al conservatorio di San Pietro a Majella. Qui ebbe come insegnanti Francesco Ruggi e Nicola Antonio Zingarelli. Tra l’altro, anche un giovanissimo Vincenzo Bellini, suo corregionale, si interessò alla sua evoluzione artistica.
In realtà, il debutto ufficiale avvenne nel 1829, ad appena sedici anni, senza aver mai assistito a una rappresentazione teatrale. Petrella venne incaricato di musicare l’opera buffa Il diavolo color di rosa, il cui ottimo successo presso il Teatro napoletano Fenice non impedì l’espulsione dal conservatorio, visto che gli allievi non potevano in nessun caso dare dei saggi in pubblico. Il suo carattere era però più forte di tutto e già due anni dopo fu in grado di ottenere un altro importante successo con Il giorno di nozze (Teatro Nuovo di Napoli, 1831). La città partenopea gli portò molta fortuna, tanto è vero che qui la sua fama era piuttosto solida (sempre al Teatro Nuovo furono date le “prime” di Lo scroccone, I pirati spagnuoli e Le miniere di Freimbergh).
I lavori commissionati aumentarono e fu allora che cominciò a chiedere cifre di denaro davvero elevate, ragione per cui rimase praticamente inattivo come compositore fino al 1851, per ben dodici anni. L’attesa fu ben ripagata, visto che la sua nuova opera, Le precauzioni ossia Il carnevale di Venezia, conquistò un successo clamoroso che valicò i confini napoletani. Ecco allora che il Teatro San Carlo si fece avanti e il Marco Visconti del 1854 non sfigurò affatto nel confronto con il Trovatore di Verdi, precedente di pochi anni. Insomma, i due operisti italiani più importanti del paese erano diventati Verdi e Petrella, una rivalità accentuata dal fatto che il siciliano era stato scritturato come compositore di punta dell’editore Lucca, un modo per contrapposti a Casa Ricordi e al bussetano.
Il confronto venne ripetuto in diverse occasioni. Ad esempio, nel 1858 la nuova opera di Petrella, Jone, fu seguita a breve distanza dal debutto romano di Un ballo in maschera di Verdi. Questa continua “sfida” finì comunque per nuocere più al palermitano, nonostante i buoni risultati ottenuti anche in seguito. In effetti gli anni Sessanta dell’800 possono essere considerati lo zenit del suo successo. Basta pensare che il giornale Il trovatore parlava di Petrella in questi termini:
Durante la stagione di Carnevale a Milano, Petrella è come Figaro nel Barbiere, tutti lo voglio, Petrella qua, Petrella là. Non saremmo certo sorpresi di trovare una sua nuova opera rappresentata alla Scala.
Petrella ci ha lasciato venticinque opere, ma non è stato capace di competere con la popolarità di Verdi, forse proprio a causa della politica dell’editore Lucca, il quale lo inquadrò eccessivamente come un rivale del bussetano, senza sottolineare il tipo di musica che proponeva. C’è poi da dire che la sua carriera cominciò realmente nel 1854 col Marco Visconti, quando Verdi aveva già ultimato la sua “trilogia popolare”. Altro punto a suo sfavore fu senza dubbio la formazione culturale sostanzialmente limitata, nonostante i continui tentativi e l’impegno nel purificare e rinnovare lo stile nel corso degli anni. Petrella può essere considerato l’ultimo esponente della gloriosa tradizione napoletana, ma fu sempre limitato nel suo inserimento in un’ottica musicale più europea. Morì a Genova, poverissimo, nel 1877.