“Maria Antonietta”, l’opera inseguita da Puccini per 10 anni
Nelle produzioni musicali dei grandi compositori operistici hanno trovato spesso spazio sia il capolavoro che il rimpianto. Il poco tempo a disposizione e l’infatuazione per altri soggetti hanno spesso fatto la differenza e tanti spartiti sono rimasti nel cassetto di una scrivania a impolverarsi per anni e anni. Uno dei casi più emblematici è quello di “Maria Antonietta”, lavoro che affascinò da subito Giacomo Puccini e che per ben dieci anni sembrò sempre sul punto di essere terminato e rappresentato. I primi accenni di un’opera del genere, infatti, si possono trovare nella corrispondenza del compositore lucchese già nel 1897, mentre l’abbandono definitivo può essere collocato temporalmente nel 1907. Fu soltanto un caso oppure altre circostanze furono determinanti per non far vedere mai la luce a una composizione che prometteva molto bene?
Come già anticipato, verso la fine dell’800 Luigi Illica propose per la prima volta di ricavare un’opera lirica dalla vita di Maria Antonietta. Puccini prese immediatamente in grande considerazione il suggerimento, anche perché la proposta del soggetto era giunta dall’impresario viennese Joseph Schürmann. Il musicista toscano si appassionò davvero al tema della regina francese, anche se dopo una serie di ipotesi e di idee sull’affresco storico da “costruire”, il progetto venne accantonato. Nel 1900 Puccini si riavvicinò all’opera, nonostante ne parlasse non proprio in maniera entusiastica, bocciando soprattutto il “colore” eccessivamente vecchio della rivoluzione francese. Altri cinque anni passarono senza altri sussulti, prima che Illica tornasse alla carica con tutte le buone ragioni per ultimare “Maria Antonietta”.
In realtà il librettista non era rimasto con le mani in mano. Dopo i primi tentennamenti di Puccini si era rivolto a un altro compositore, Pietro Mascagni, pronto a lavorare per Casa Ricordi dopo il flop delle “Maschere”. Il musicista livornese non nutriva però molta fiducia nei confronti degli editori italiani in quel periodo e per la nuova opera da rappresentare non si fidò del progetto storico di Illica, dirottando l’attenzione su “Amica” e la casa francese Choudens. Puccini rimase ancora una volta impressionato dal grande affresco storico, come ben testimoniato da una lettera di quel periodo:
Giove irritato? E di che? Se questa Maria Antonietta ha da risorgere, bisogna che ne parliamo seriamente.
Neanche questa, comunque, fu la volta buona. Persino Giuseppe Giacosa fu abbastanza insistente nella proposta del lavoro. Il 1905 stava per finire e Puccini si era ormai convinto del fatto che “Maria Antonietta” dovesse essere collocata in pieno periodo rivoluzionario, proprio per far partire la musica dalle disgrazie e dai dolori della regina deposta. Il libretto sarebbe dunque stato caratterizzato dal tentativo di fuga dei sovrani dopo l’attacco a Versailles, l’arresto, la prigionia e il processo, oltre alla scena finale nella piazza dell’esecuzione. Un’altra lettera certifica la ripresa dell’interesse per i vari schizzi:
Così l’opera prende un aspetto vivo e messo, da non dar tempo né pensiero d’accorgersi che mancano un vero tenore e un baritono. La folla è la protagonista, e la grande rivoluzione francese nell’atto più grande e barbaro che dir si voglia.
Ma già nel gennaio del 1906 la passione sarebbe scemata inesorabilmente, con Puccini a dir poco insoddisfatto dai canti, dalle grida, dalle passioni e dall’impressione musicale, giudicati tutti eccessivamente monotoni. Tra l’altro, l’assenza del tenore non gli sembrava più un punto di forza, ma un difetto. Le conseguenze di ragionamenti simili furono inevitabili: “Maria Antonietta” venne nuovamente messa da parte e nella mente del compositore trovarono spazio alternative ritenute più valide per il momento. Nel 1907 il copione fu ripetuto praticamente allo stesso modo. Il libretto di Illica venne ridotto a tre scene, vale a dire “Prigione”, “Processo” ed “Esecuzione”, un taglio che non prometteva nulla di buono. Il tenore fu nuovamente eliminato e gli unici protagonisti sarebbero stati la regina, la folla divisa e tante parti secondarie.
Puccini ordinò un tempo complessivo non superiore alle due ore e persino il titolo sarebbe cambiato: niente più riferimenti a Maria Antonietta, ma un semplice e poco accattivante “L’austriaca”. Nonostante i tagli e le revisioni, la corrispondenza con il librettista fu ricca di spunti e schemi, con i suggerimenti relativi all’eventuale presenza del tenore mai del tutto bocciati (la voce poteva essere quella di un fantomatico Toulan, uno dei sostenitori del re). Non potevano mancare, poi, le parti per il Delfino, in modo da suscitare una certa simpatia nel pubblico. Altre idee interessanti riguardarono il secondo atto, sempre all’insegna di un’opera non reazionaria. Gli impegni di Illica (un altro libretto da fornire con urgenza) e la mente di Puccini occupata dalla futura “Fanciulla del West” bloccarono i lavori che stavano procedendo come mai era avvenuto.
Come era successo negli anni precedenti, tutti questi abbozzi finirono senza troppi problemi nel cestino della carta straccia. Il 1907 fu l’anno del definitivo abbandono e una lettera di Puccini a Giulio Ricordi non lasciò molti spiragli:
La Girl promette di diventare una seconda Bohème, ma più forte, più ardita e più ampia. C’è poco da meravigliarsi, dunque, che L’austriaca si sia ammalata e sia morta.
Il compositore non avrebbe potuto essere più chiaro di così: è un peccato che un progetto ben avviato e in grado di scatenare la fantasia di musicista e librettista non si sia trasformato in qualcosa di più concreto. Puccini lo rincorse per dieci anni, dando sempre la precedenza ad altre storie e altre opere, forse il destino di Maria Antonietta non era quello di essere ghigliottinata in teatro.