Vincenzo Lavigna, il maestro di Verdi
Dichiaro io qui sottoscritto che il Sig. Giuseppe Verdi di Busseto nello Stato di Parma ha studiato il Contrappunto sotto la mia direzione ed ha percorso gli Studi lodevolmente, delle fughe a due, a tre, ed a quattro voci: come pure Canoni, Contrappunto doppio etc. credendo perciò abilitato a disimpegnare la professione al pari di qualunque accreditato Maestro di Cappella. Aggiungo inoltre che la sua condotta meco tenuta in tale frattempo è stata docilissima, rispettosa e morigerata anche nel costume. Tanto dichiaro per la pura verità.
È il 15 luglio del 1835 e con queste parole il professore di musica Vincenzo Lavigna ha una intuizione brillante: il giovane Verdi non era destinato a una semplice posizione a Busseto, il suo avvenire poteva benissimo brillare a Milano. Il presentimento è chiaro, ma chissà se lo stesso Lavigna si sarebbe mai aspettato la carriera che poi Verdi effettivamente avrebbe avuto. Non vedrà mai i progressi del suo allievo più famoso, la morte lo coglierà un anno dopo, ma si tratta di una figura che va senz’altro ricordata e approfondita per capire l’evoluzione artistica del compositore emiliano.
Chi era esattamente Lavigna? L’Italia settentrionale accolse i suoi successi, ma era in realtà pugliese di nascita, essendo nato nel 1776 ad Altamura (nell’attuale provincia di Bari). Gli studi musicali furono approfonditi inevitabilmente a Napoli, nello specifico presso il Conservatorio della Pietà dei Turchini, luogo che comprese subito le sue capacità non certo indifferenti. Fondamentale furono anche gli insegnamenti di Giovanni Paisiello, tanto che Lavigna seguì quest’ultimo perfino a Parigi. La sua raccomandazione, poi, servì per il trasferimento a Milano. La città lombarda accolse ben volentieri il suo primo lavoro teatrale. L’esperienza operistica è comunque circoscritta a un arco temporale piuttosto breve, vale a dire otto anni.
Il debutto alla Scala è datato 14 giugno 1802: si tratta de “La muta per amore, ossia Il medico per forza”, una farsa giocosa per musica, chiaramente ispirata ai lavori di Paisiello e accolta in maniera discreta dal pubblico. Ancora una volta Milano fu la sede della sua seconda opera, “L’impostore avvilito” (1804). Tra il 1804 e il 1807, invece, Ferrara, Parma, Venezia (La Fenice) e Torino accolsero la prèmiere di “L’idolo di sé stesso”, “Coriolano” e “Le metamorfosi” e “Hoango”. Nel 1808 ci fu il ritorno a Milano con “Di posta in posta”, seguito da “Orcamo” (1809). Le ultime due rappresentazioni furono quelle di “Zaira” (nel 1809 alla Pergola di Firenze) e di “Chi s’è visto s’è visto” (1810, alla Scala di Milano). Insomma, un curriculum tutto sommato dignitoso.
Talmente dignitoso che Lavigna venne sempre più apprezzato come maestro di solfeggio al Conservatorio di Milano: le lezioni private furono una immediata conseguenza e Verdi fu appunto uno degli ultimi allievi, la scoperta più brillante. Come era arrivato il Cigno di Busseto a quell’anziano musicista che si era fino ad allora distinto per le melodie originalo e la buona fattura dal punto di vista armonico? Dopo il celebre rifiuto da parte del Conservatorio milanese, a Verdi furono consigliati due possibili maestri. Il primo era il riminese Benedetto Negri, famoso contrappuntista, l’altro Lavigna. C’è chi ha letto nella scelta di quest’ultimo il desiderio di diventare un uomo di teatro, ma in realtà in quel 1832 i pensieri del ragazzo erano rivolti a Busseto e al posto di maestro di cappella.
Verdi gli si presentò a poca distanza dal pensionamento: l’ascolto di alcune sue composizioni fu determinante per accettare l’allievo, nella convinzione che la decisione del Conservatorio era stata completamente errata. I tre anni di studio furono assidui, con ore e ore di esercizi da fare a casa: il bussetano si lamenterà di aver fatto canoni e fughe in tutte le salse, ma poi sarà lo stesso consiglio che elargirà ai futuri compositori nel 1871, quando gli venne offerto il posto di direttore del conservatorio di Napoli. Quello che più conta, comunque, non sono gli insegnamenti di Lavigna in materia di tecnica strumentale e di scrittura musicale, ma altre discussioni e conversazioni.
I due parlavano spesso della carriera alla Scala del maestro, ma non bisogna dimenticare nemmeno gli incontri con altri musicisti importanti del periodo o con gli impresari che erano sempre alla ricerca di talenti nuovi di zecca. La frequentazione del teatro fece il resto, Verdi si appassionò sempre più a un mondo che non aveva mai conosciuto e approfondito fino in fondo, lo stesso Lavigna lo costrinse ad acquistare un abbonamento, ragione per cui si può e si deve dire grazie anche a questo clavicembalista pugliese se abbiamo potuto fruire di tanti capolavori.