La genesi travagliata di “Edipo Re”, l’ultima opera di Leoncavallo
Sono passati poco più di 100 anni dalla morte di Ruggero Leoncavallo: del compositore napoletano si ricordano quasi esclusivamente due lavori, l’opera “Pagliacci” e l’immortale romanza “Mattinata”, ma in pochi sanno che si tratta dell’unico musicista che fu “capace” di produrre note anche alcuni decenni dopo la sua scomparsa. Le opere postume sono numerose e spesso si discute su quanto sia rimasto dell’autore originale e quanto delle aggiunte successive. Il giudizio di un secolo fa su Leoncavallo non è poi cambiato molto. Ecco cosa scriveva The Musical Times il 1° settembre 1919, poche settimane dopo il decesso del compositore:
La sua vita è stata una successione di fallimenti e di successi, di grandi speranze e delusioni, che hanno reso difficile stimare in ogni momento il vero valore dei suoi raggiungimenti.
L’ultima opera in ordine cronologico del musicista partenopeo è “Edipo Re”, rimasta incompiuta e con un finale aggiustato da Giovanni Pennacchio, una conclusione che ancora oggi non riesce a convincere, un po’ come accade con la “Turandot” di Giacomo Puccini. La prima rappresentazione è datata 13 dicembre 1920, per la precisione presso l’Auditorium Theatre di Chicago. Per la prèmiere europea, invece, furono necessari altri quarant’anni: nel 1958 il librettista dell’opera, Giovacchino Forzano, diresse questa esecuzione al Teatro dei Rinnovati di Siena in occasione dell’evento finale della manifestazione organizzata dall’Accademia Musicale Chigiana.
La vicenda è quella della tragedia resa immortale da Sofocle: Edipo, re di Tebe, ha sposato la vedova del sovrano precedente, Giocasta, e scopre di essere figlio proprio della donna, una scoperta che lo porta ad accecarsi. La trama è nota, molto meno lo è la genesi dell’ultima fatica di Leoncavallo. L’obiettivo di quest’ultimo era quello di mostrare di poter andare oltre l’ispirazione verista e di dar vita a un nuovo linguaggio musicale. In realtà non fu così semplice, come è ben evidente ascoltando alcune arie: Ramingo andar, in particolare, fa immediatamente pensare allo stile di “Pagliacci”, una “catena” di cui il musicista non si liberò mai.
La vedova di Leoncavallo, Berthe, si mise in contatto con il baritono Titta Ruffo, il cantante individuato proprio dal compositore come l’interprete giusto per l’opera. La donna firmò un contratto con Pennacchio nel 1920, concordando un compenso di 2mila lire per il completamento di “Edipo Re”, un progetto da terminare come ultima volontà del marito. Ruffo parlò più volte della scelta di Leoncavallo ricaduta su di lui e della volontà di cantare alla prima occasione possibile. Non esistono lettere dell’autore della musica in cui si parli dell’opera con questo titolo, anche se lo stesso baritono conservò gelosamente la corrispondenza con Leoncavallo in cui si parlava della genesi.
Persino Gastone, il fratello del compositore, fu coinvolto nelle trattative per la prima rappresentazione: ci furono contatti con la Società Francese degli Autori a Parigi, la quale fece sempre riferimento a “Edipo Re” come semplici frammenti musicali. Gran parte dell’opera finale di Leoncavallo deriva da “Der Roland von Berlin”, un altro lavoro commissionato a inizio ‘900 dall’Imperatore Guglielmo II, ma è chiaro l’intento di far prendere forma a un lavoro nuovo e a sé stante. I contatti di Gastone con la Francia furono infruttuosi e la prèmiere transalpina venne accantonata in favore di Chicago, città che era stata accolta con favore da Ruffo. Il direttore fu invece Gino Marinuzzi, chiamato a sostituire Cleofonte Campanini, morto poco tempo prima.
La scomparsa di Campanini fu un ostacolo non irrilevante, visto che il direttore aveva già lavorato parecchio all’esecuzione, ma i preparativi proseguirono in maniera spedita: Ruffo informò Berthe Leoncavallo dello studio appassionato e convinto della parte. Il baritono arrivò a New York nel settembre del 1920 e finalmente due mesi dopo ci fu l’atteso debutto dell’opera. Il cantante pisano scrisse in seguito dell’estrema generosità dei critici presenti a Chicago per quel che riguarda la produzione musicale, nonostante l’assenza di orchestrazione evidente in determinati punti del lavoro incompiuto di Leoncavallo. L’impressione di parte del pubblico, poi, fu che il compositore si fosse limitato a una piccola parte dello spartito, mentre gran parte di “Edipo Re” non poteva essere associata al suo nome.
Va comunque sottolineato come il nome di Pennacchio, proprio colui che aveva terminato il lavoro, non sia stato inserito in nessuno spartito, nemmeno quello per pianoforte. La serata doveva essere un omaggio sentito a Leoncavallo a sedici mesi dalla morte, anche se “Edipo Re” non ha mai convinto fino ad oggi: le indicazioni di Berthe e la grande passione di Ruffo non bastarono a farlo diventare un titolo da mantenere stabilmente nei cartelloni dei teatri. Non sapremo mai quale finale avrebbe scritto il compositore napoletano, la scarsa presenza dell’atto unico nelle proposte teatrali degli anni successivi è un verdetto fin troppo ingeneroso che però difficilmente potrà essere modificato.