Opere dimenticate: lo strano caso di “Fausta” di Donizetti
Sto in fine della mia Fausta [che metterò in scena] pe’ 12 [di gennaio] del 1832.
Dopo un breve accenno nelle settimane precedenti, Gaetano Donizetti annunciò in questo modo l’imminente debutto del melodramma tragico in due atti “Fausta” su libretto di Domenico Gilardoni. L’opera fu rappresentata per la prima volta in assoluto al Teatro San Carlo di Napoli il 12 gennaio del 1832, dunque poco meno di due secoli fa. Il caso di “Fausta” è molto particolare, visto che il lavoro del compositore bergamasco riuscì a conquistare molte platee italiane (grazie anche e soprattutto a cast di prestigio), cadendo poi nell’oblio. Per quale motivo è diventata una delle tante opere dimenticate nonostante un promettente inizio?
I cantanti di quella prima serata partenopea erano nomi importanti della lirica di allora. La direzione di Nicola Festa e le voci di Antonio Tamburini, Giuseppina Ronzi De Begnis, Edvige Ricci, Virginia Eden, Giovanni Basadonna, Giovanni Revalden e Giovanni Battista Campagnoli assicurarono un franco successo. Dopo il debutto di “Anna Bolena” (1830), Donizetti non era più riuscito a comporre un’opera seria e “Fausta” fu proprio l’occasione giusta, propiziata dall’invito del San Carlo per celebrare degnamente l’onomastico di Ferdinando II, re di Napoli. Il musicista fu ispirato come non mai.
Solitamente, infatti, Donizetti ultimava le proprie composizioni a prove già iniziate, mentre “Fausta” risultava terminata tre mesi prima dell’andata in scena, un vero e proprio “record”. Il tema scelto non fu comunque semplice e “digeribile”. Si tratta della storia di Fausta e Crispo, seconda moglie e figlio di primo letto di Costantino I: la vicenda è dominata interamente dall’amore incestuoso tra matrigna e figliastro e non ci volle molto tempo perchè il Ministro di Polizia del Regno si interessasse all’opera, imponendo il ritiro immediato dalle scene. Si trattò comunque di una minacca passeggera e la prima rappresentazione non venne scongiurata.
Nel dicembre del 1831, dunque pochi giorni prima del debutto, lo stesso Ministro inviò una lettera al Re in cui si sconsigliava il lavoro per lo scandalo che avrebbe provocato. In realtà, Donizetti godeva di grande stima e considerazione in quel momento a Napoli e il via libera ne fu una chiara testimonianza. Un aneddoto curioso è legato alla scelta del soprano, la donna che avrebbe dato voce e musica alla passione della protagonista del titolo. Per il ruolo di Fausta l’impresario Domenico Barbaja aveva suggerito Luigia Boccabadati, subito scartata da Donizetti che ancora non le aveva perdonato il fiasco de “Il diluvio universale” nello stesso teatro.
Con Giuseppina Ronzi al suo posto quella che fu subito considerata la “degna figlia” di “Anna Bolena” fece immediatamente furore, al punto che ci fu una ripresa nel 1833 con un secondo ciclo di rappresentazioni. Anche La Scala di Milano si interessò al melodramma tragico e per l’occasione Donizetti aggiunse una sinfonia, mentre altre modifiche si resero necessarie in occasione della messa in scena a Venezia con Giuditta Pasta (in particolare una nuova introduzione e un duetto nel primo atto). L’ascesa sembrava inarrestabile, al contrario è accertato che l’ultima rappresentazione ottocentesteca è datata 1859, mentre in tempi moderni “Fausta” è stata riproposta nel 1981 al Teatro dell’Opera di Roma.
L’oblio è evidente e c’è anche chi non ha esitato a cercare qualche dettaglio funesto. Ad esempio, il librettista Domenico Gilardoni morì nel 1831 all’età di 33 anni, a pochi mesi dalla prèmiere, come se una semplice coincidenza potesse incidere sul destino di un’opera. In realtà qualche crepa l’aveva notata lo stesso compositore nella struttura complessiva della musica. Le aggiunte successive testimoniano molto bene la consapevolezza di un lavoro ineguale e bisognoso di interventi robusti, soprattutto nella conclusione travolgente che da qualcuno venne giudicata dispersiva, senza dimenticare qualche accusa di eccessiva monotonia nella partitura.
Nell’800 la fama di “Fausta” rimase comunque notevole. La parte musicale di maggiore impatto, un giudizio confermato ancora oggi, è senza dubbio la doppia aria Tu che voli con la vigorosa cabaletta No, qui morir degg’io. Vent’anni dopo il pezzo era ancora molto popolare: Marianna Barbieri-Nini, prima Lady Macbeth nell’opera di Giuseppe Verdi, ne parlò sempre in termini entusiastici, rivelando come quelle pagine fossero più che adatte al suo stile vocale. I cambiamenti preparati per la rappresentazione a Milano furono accolti con qualche mugugno: si trattò del primo passo compiuto dall’oblio prima che ci si dimenticasse quasi completamente di un lavoro che meriterebbe un’occasione in qualche cartellone moderno.