Francesco Canneti e il mancato confronto con “I due Foscari” di Verdi
Delle quattro opere romane (cioè rappresentate per la prima volta in un teatro della Capitale) di Giuseppe Verdi, “I due Foscari” è quella più trascurata e sottovalutata (lo stesso destino toccato a “La battaglia di Legnano”). Secondo qualcuno non c’è confronto con il brio e gli sfarzi di “Un ballo in maschera” e nemmeno con l’atmosfera cupa e in tensione de “Il trovatore”, ma anche i tre atti ispirati a un’opera di Byron e che debuttarono al Teatro Argentina il 3 novembre 1844 meritano rispetto. Tra l’altro, questa tragedia lirica è associata a un piccolo “mistero” che non è ancora stato ben chiarito e che vale la pena approfondire.
Verdi aveva 32 anni e il successo di due anni prima del “Nabucco” era ancora vivo nella mente di tutti: le successive rappresentazioni de “I lombardi alla prima crociata” ed “Ernani” avevano confermato le sue doti da compositore. Per la sesta opera della sua carriera ancora in rampa di lancio aveva deciso di puntare su un poema di Lord Byron e su un progetto a cui aveva pensato col librettista Francesco Maria Piave l’anno precedente. In questo contesto si inserisce un’altra carriera artistica, quella di Francesco Canneti, musicista vicentino e di sei anni più anziano di Verdi.
In quel 1844 aveva composto già tre opere, “Emilia” (1830), “Il matrimonio contrastato” (1832) e “Francesca da Rimini” (1843). Per la sua quarta fatica aveva pensato allo stesso soggetto del Cigno di Busseto, ovviamente sul testo di un altro libretto curato da Giulio Pullè. La scoperta che un giovane affermato come Verdi stava per rappresentare lo stesso melodramma deve averlo spaventato al punto da spingerlo a scrivergli direttamente una lettera. Verdi fu umilmente supplicato di non musicare “I due Foscari” per evitare un doppione nello stesso periodo. A parlarci di Canneti è Emanuele Muzio, unico allievo di Verdi e prezioso testimone dei suoi “anni di galera”.
In una lettera indirizzata al suocero e benefattore di Verdi, Antonio Barezzi, Muzio parla in questa maniera del musicista veneto:
Un compositore di musica, non ricordo il cognome, ha scritto al signor Maestro una lettera, ove lo prega e scongiura a non mettere in musica i Due Foscari, perchè anch’egli lo ha musicato, e teme che le succeda della sua opera come dell’Ernani al Mazzucato; il signor Maestro le ha risposto che è già inoltrato, e che non può aderire a questa sua ardente brama.
Dalla missiva si possono ricavare degli interessanti dettagli che riguardano proprio la vicenda.
Anzitutto, Canneti aveva paura che i suoi Foscari sarebbero stati messi in secondo piano a causa della fama di cui godeva Verdi in quel momento. Inoltre, sia Muzio che lo stesso Verdi non devono aver dato tanta importanza alla sua richiesta, tanto da aver dimenticato persino il cognome della persona da cui era giunta. Il 29 maggio 1844 il compositore bussetano rispose comunque con garbo a Canneti: mancano ancora sei mesi alla prèmiere del Teatro Argentina e forse il musicista vicentino si era convinto che la conclusione dei lavori del “rivale” poteva ancora essere evitata. Le parole di Verdi sono educate, ma decise allo stesso tempo:
Se io avessi saputo che Ella stava scrivendo I Due Foscari io avrei scelto altro argomento, ma ora mi è impossibile cambiarlo perchè il libretto è quasi fatto e perchè approvato dalla censura di Roma per cui scrivo. Posso assicurarlo che tra il sig. Pullè e Piave non esiste malumore perchè io avevo ordinato a Piave i Due Foscari fin dal dicembre. Del resto poi cosa importa che due maestri trattino l’istesso argomento: il libretto è diverso; il teatro pure, nè trovo ragioni sufficienti perchè ella non dia alla luce un lavoro terminato, nè ch’io lo sospenda, la qual cosa non potrei neppure fare ora che quest’argomento è promesso.
Le parole di Verdi non convinsero Canneti: oggi conosciamo soltanto “I due Foscari” del bussetano, mentre Canneti abbandonò il progetto, nonostante fosse giunto al termine, come si evince dalla lettera scambiata tra i due. Il confronto non ci fu mai e Canneti preferì dedicarsi all’insegnamento, diventando in seguito direttore dell’Istituto Musicale di Vicenza. L’anno successivo al contatto fugace con Verdi riuscì a far rappresentare “Saul” alla Scala di Milano, anche se la Gazzetta Musicale ne parlò come di un’opera noiosa e inespressiva, nonostante una scrittura accurata. Nel 1858, infine, compose l’ultimo lavoro, “La duchessa di Bracciano” (Teatro Eretenio di Vicenza).