La Dresda divisa tra Weber e Morlacchi
Dresda, capitale del Regno di Sassonia per quasi tutto l’800, fece parlare parecchio di sé in questo stesso secolo per le lotte intestine che riguardarono i sostenitori dell’opera tedesca e i favorevoli alla tradizione italiana. Fu una sorta di anticipazione del contrasto Verdi-Wagner, ma nel caso di specie i protagonisti della vicenda entrarono a stretto contatto: si tratta di Carl Maria Friedrich Ernst von Weber, grande ispiratore della musica romantica in Germania, e di Francesco Morlacchi, musicista perugino che riuscì ad affermarsi pienamente proprio nella città teutonica, diventando maestro di cappella e ottenendo un contratto molto vantaggioso. Che cosa accadde esattamente nella Dresda di due secoli fa?
L’attuale capoluogo sassone fu privato delle rappresentazioni operistiche in seguito alla battaglia di Lipsia (1813): fin a quando rimase il governatore russo Nikolai Repnin-Volkonsky, i vari gruppi musicali e teatrali furono raggruppati in una singola Staatskapelle. Nel 1815 quest’ultima venne messa da parte e il conte Heinrich Vitzthum fu nominato direttore generale del teatro di corte. Vitzthum era uno dei principali sostenitori dell’opera tedesca e fu anche colui che ideò una compagnia per la rappresentazione dei lavori in lingua locale. Nel 1816, poi, Weber accettò la proposta di guidare questa stessa società. Per l’occasione, il pubblico di Dresda applaudì l’opera “Joseph” di Étienne Méhul il 30 gennaio del 1817.
Weber si dimostrò contrario soprattutto ai cosiddetti “titoli facili da botteghino”, vale a dire quelle manifestazioni considerate troppo spettacolari e suggestionabili. Opere straniere e tedesche non potevano coabitare in alcun modo: se a Berlino si criticava il presunto monopolio di Gaspare Spontini, a Dresda le divisioni furono ingigantite da adepti mediocri e dalle differenze di retribuzione. Weber e Morlacchi potevano contare su due compagnie operistiche ben affermate ed entrambe dipendevano dal sostegno economico del governo. Non esistevano vantaggi per l’una o per l’altra, ma i due compositori cominciarono a guardarsi in cagnesco, nonostante alcune fonti parlino anche di aiuti reciproci.
Il primo importante scontro avvenne in concomitanza con l’arrivo di Weber a Dresda. Egli non sapeva che il suo titolo di direttore musicale era inferiore rispetto alla posizione di Morlacchi, maestro di cappella: in poche parole un italiano a cui veniva riconosciuto un incarico più prestigioso in Germania. In aggiunta, le compagnie puntavano a conquistare un sempre maggior spazio nei cartelloni. Weber intendeva diffondere il più possibile l’opera tedesca, mentre Morlacchi era riluttante e voleva limitarla al solo Linkesche Bad Theater. Questo tentativo di “esiliare” il genere casalingo nei sobborghi periferici non ebbe comunque successo, ma fu il segno tangibile dell’evoluzione operistica dal punto di vista del genere, del linguaggio e delle classi sociali coinvolte.
Il repertorio del musicista umbro dimostrò come l’opera italiana a Dresda non avesse come argomento esclusivo l’amore cortese, ciò nonostante le tradizioni del XVIII secolo erano ancora molto salde. Ecco perché Morlacchi tornò spesso nel Belpaese: in patria poteva far rappresentare le proprie opere e, al tempo stesso, assorbire le novità musicali. Non riuscì a imparare il tedesco in tempi rapidi (secondo Hoffmann Conosce il tedesco come io conosco il cinese), una difficoltà di adattamento che influì notevolmente sul contrasto. Il genere italiano, dunque, mantenne una buona popolarità a Dresda, ma la compagnia di riferimento cominciò ad isolarsi e a diventare sempre più conscia della sua identità nazionale.
L’isolamento fu evidente negli anni Venti dell’800. La posizione di Weber a Dresda fu alquanto diversa. In effetti, poteva contare sul sostegno incondizionato della stampa locale e dell’intero establishment culturale; l’influenza in questione crebbe a dismisura in seguito alla prèmiere berlinese de “Il franco cacciatore” (1821), anche se questa popolarità non era molto importante e strategica per il successo della compagnia da lui guidata. Fu in grado di portare l’opera “borghese” nel centro cittadino, formando una comunità nuova di zecca.
Gli aspetti politici e quelli estetici si combinarono insieme e il teatro d’opera si trasformò nel luogo in cui la cultura aristocratica e di corte diventava qualcosa alla portata di tutti. L’impronta lasciata da Morlacchi a Dresda è stata comunque profonda: nella città tedesca fece rappresentare per la prima volta opere come “Raoul di Créquy” (Teatro di Corte), “Il barbiere di Siviglia” (Teatro Moretti), “Donna Aurora”, “Tebaldo e Isolina”, “La gioventù di Enrico V”, “La semplicetta di Pirna” e quello che è il suo ultimo lavoro completo, il melodramma buffo “Don Desiderio, ovvero Il disperato per eccesso di buon cuore” (1829, su libretto di Bartolomeo Merelli, di lì a poco impresario della Scala).